Debito pubblico e privatizzazione della sanità

di Cristina Quintavalla - 02/02/2019

L'attuale governo italiano, sostenuto da una coalizione tra M5S e Lega, non sta rovesciando gli iniqui indirizzi economici sfacciatamente neoliberisti dei governi precedenti. Non riesce (per i vincoli posti dall'UE) e in parte non vuole ( per la trazione leghista della compagine governativa e gli interessi di classe che rappresenta). Leggi capestro come il Jobs act, lo Sblocca Italia, l'attacco alla sanità e alla scuola pubblica stanno ancora dispiegando i loro rovinosi effetti.

In Italia gli ultimi governi che si sono succeduti – da Monti, a Letta, a Renzi, a Gentiloni- sebbene nominalmente riconducibili ad un'area politica di centro sinistra, hanno offerto agli italiani l'amaro calice delle privatizzazioni dei servizi, dei beni comuni, delle partecipazioni statali, delle più sfacciate agevolazioni alle grandi imprese, alle banche, delle inutili e costose grandi opere, della devastazione dell'ambiente, dello smantellamento delle protezioni sociali e la esternalizzazione della riproduzione sociale.

Tali governi, in sostanziale continuità col ventennio berlusconiano, sempre più apertamente hanno tagliato le risorse destinate alle politiche di welfare e hanno sostenuto i processi di finanziarizzazione e accumulazione privati: non hanno tassato patrimoni e capitali, non hanno contrastato l'evasione fiscale, hanno condotto politiche di privatizzazione e di precarizzazione, in tutti gli ambiti della produzione e riproduzione sociale, hanno elargito sgravi fiscali e incentivi alle imprese, inseguito la finanza parassitaria, con interventi puntuali nel salvataggio delle banche, hannno orientato la spesa pubblica nel sostegno ai grandi poli industriali, a partire da quello con vocazioni industriali – militari.

I diritti sociali, legati a salario indiretto e differito (pensioni, scuola, università, trasporti, sanità, ambiente), che la Costituzione italiana, nata dalla Resistenza, riconosceva universalmente, sono diventati prestazioni sempre meno garantite dallo stato e sempre più subordinate all' offerta privata di banche, fondi di investimento, imprese, di cui possono usufruire solo coloro che possono permetterselo.

In materia di sanità pubblica, come noto, l'Italia nel dicembre del 1978 varò una straordinaria riforma sanitaria, frutto della conquista di un grande movimento di massa in tutto il paese.

Il nuovo servizio sanitario nazionale segnava un cambiamento radicale, perché veniva fondato sui principi di universalità, uguaglianza e solidarietà sociale. Veniva superato il sistema delle mutue, che fornivano prestazioni sanitarie differenziate sulla base della condizione lavorativa e quindi economica, garantiva prestazioni sanitarie uguali per tutti, indipendentemente dalle condizioni economiche, sulla base di un principio estremamente innovativo, secondo il quale tutti, in base alle proprie disponibilità, in modo proporzionale al reddito, contribuivano a sostenere la sanità pubblica: chi aveva più risorse doveva contribuire in modo maggiore, chi non aveva nulla non doveva dare nulla, sebbene tutti avessero diritto in egual misura alle medesime prestazioni, allo stesso trattamento a parità di bisogno, in qualsiasi momento in qualsiasi parte del paese.

Da allora ad oggi è in atto un processo di distruzione del servizio sanitario nazionale, motivato dalla presunta impossibilità di far fronte alla domanda, per gli insopportabili costi della spesa sanitaria.

Molte sono state le bordate mosse ai principi che ispirarono la riforma sanitaria.

Come ha sottolineato V. Tradardi, nel suo intervento al Convegno sui diritti sociali contro la riforma della Costituzione, settembre 2016, un colpo durissimo giunse dal governo Amato, che nel '91 mise a segno una grande controriforma, attraverso un piano di aziendalizzazione della sanità: la sanità diventò una azienda che doveva lavorare in termini di prodotto sanitario, ma soprattutto, concentrando tutti i poteri in capo alle Regioni, che prima erano delegati ai territori, dove operavano le Unità Sanitarie Locali, espressione dei bisogni reali dei cittadini.



Un' altra bordata provenne dalla decisione di istituire convenzioni coi privati, che in molte regioni venivano concesse a man bassa.



Il meccanismo che sta prendendo piede oggi è ancora più insidioso.



Si sta affermando l’idea che a fianco della sanità pubblica occorra creare una sanità privata integrativa.

Tale idea è stata ampiamente condita in mille salse e declinata in tutte le varianti possibili: “la spesa pubblica in Italia è troppo alta, è la causa principale del debito sempre più insostenibile che ci affligge, ce lo chiede l'Europa, i cui stringenti parametri ci obbligano al pareggio di bilancio, il privato è bello, il pubblico è dato dalla somma dei privati” e via di ipocrisia in ipocrisia, di menzogna in menzogna.

Di vero c'è stato il progressivo taglio della spesa sociale, con particolare riferimento a quella sanitaria. Il definanziamento della sanità pubblica ha proceduto di pari passo con la necessità di istituire un secondo pilasto, finalmente privato. Ed ecco entrare con squilllo di trombe il sistema dei nuovi garanti della salute: le grandi compagnie di assicurazione, i fondi finanziari, le banche.

Il boccone è grosso: si tratta di mettere le proprie rapaci mani su un pacchetto (si fa per dire) di 115 miliardi di euro (spesa pubblica per la sanità), cui vanno sommati i circa 35 miliardi di spesa in forma privata, che il cittadino affronta senza aspettare il servizio pubblico, perché le liste d'attesa sono troppo lunghe, manca il personale, vuole un trattamento personalizzato, o non vuole condividere la sala d'attesa con uno straniero pidocchioso.

Si stanno gettando a capofitto su questo enorme businnes di 140/150 miliardi di euro, con la complicità dello stato sempre più latitante.

Da UNICREDIT My Care Salute, a Unisalute di Unipol, a FAREMUTUACOOPUNIPOL (e chi più ne ha più ne metta) il nuovo mantra è :“Tranquillità è sapere di proteggere le persone a cui tengo”, “La serenità in tre comode soluzioni” (che sono: Noi salute base a 10 euro per socio Coop; Noi salute medio a 120 euro per socio Coop , 100 per il coniuge, 95 per il figlio; Noi salute Plus, a 220 per socio Coop, 200 per il coniuge, 200 per il figlio). Vengono offerte prestazioni differenziate sulla base dell'entità della polizza pagata. Addirittura le banche propongono soluzioni assicurative, il cui premio viene addebitato su conto corrente o su carte prepagate.

Ma ancor peggio ci si mettono i sindacati in Italia a favorire la possibilità per una platea potenzialmente molto ampia di lavoratori di usufruire di prestazioni in forma diretta presso centri convenzionati attraverso i contratti di lavoro. In alcuni contratti nazionali (vedi Federmeccanica) e in tutti i contratti aziendali i diritti sociali sono monetizzati in busta paga, gli aumenti di salario ai dipendenti sono sostituiti da bonus per asili, scuole, assistenza sanitaria, ecc. su offerta precisa di centri ed enti privati prescelti dalla controparte datoriale.

Come mai i datori di lavoro sono così interessati a non corrispondere più gli aumenti salariali ed a sostituirli con polizze assicurative sanitarie? Perchè con l'introduzione di Piani sanitari integrativi nei contratti collettivi, nazionali o aziendali di lavoro, tutte le prestazioni sanitarie (sostituive o integrative che siano) godono di agevolazioni fiscali, con detrazione di imposte. Tutto ciò fa il paio con la modifica sulla tassazione d'impresa introdotta dal Jobs act dal malefico duo Renzi-Poletti: servizi e beni, erogati dal datore di lavoro con un piano di welfare non "costituiscono reddito in capo al lavoratore, ma neppure la base imponibile per il reddito di impresa" (Ivan Cavicchi, Il Manifesto).

Dunque il bonus che un datore di lavoro eroga sotto forma di beni e servizi sarà completamente deducibile, in termini di costo. Da ciò deriva una significativa riduzione dei costi di produzione.

Il contratto stipulato tra FIOM e Finmeccanica il 26 novembre 2016 prevedeva l'iscrizione dei lavoratori al fondo sanitario integrativo "MetaSalute"

Eppure i cittdini italiani già pagano l'assistenza sanitaria pubblica con trattenute fiscali mensili, coi tickets su farmaci e prestazioni. Dovranno pagarsi anche forme di sanità integrativa perchè quella garantita dal pubblico, affamato dai continui tagli alla spesa, non è fornita nei tempi necessari o non corrisponde alle esigenze del malato.

Chi non ha i soldi per pagarsi una polizza assicurativa o non dispone di conti correnti sostanziosi, capaci di coprire le spese sanitarie da affrontare, o si serve di carte a debito, fornite dalle banche avvoltoio, o rinuncia a curarsi. In Italia ad oggi sono 11 milioni i cittadini che rinunciano a farsi curare: la spesa sanitaria (tickets per visite, farmaci ecc.) grava sempre più pesantemente sui bilanci delle famiglie.

E' davvero un serpente che si morde la coda: le esenzioni fiscali riducono le entrate dello stato e dunque i contributi al Fondo sanitario nazionale, viene peggiorata la qualità del Servizio Sanitario, viene favorito il ricorso a forme di sanità integrativa privata, reintrodotto il sistema delle mutue, distrutto l'impianto solidaristico e universalistico su cui si poggiava il sistema sanitario nazionale.

Le nuove forme di governance segnano soprattutto la fine del pubblico, inteso sia come intervento pubblico volto a delimitare l'iniziativa privata, per subordinarne l'operato all'interesse sociale, sia come intervento volto ad attuare politiche perequative e redistributive della ricchezza, sia come difesa dei beni comuni .

Ancor peggio: la fine del pubblico è stata segnata dal paradossale trasferimento di prerogative normative, di controllo e governo dalle istituzioni pubbliche ai soggetti privati (imprese, fondi di investimento, Spa ecc), dediti a speculazioni finanziarie, ed al perseguimento di utili e profitti a beneficio di pochi.

Nonostante il bilancio fallimentare delle privatizzazioni non se ne vede la fine all'orizzonte: anzi vengono coinvolti altri importanti settori come sanità, istruzione, poste, trasporti, pensioni, servizi pubblici locali.

Ben sottolineava Nancy Fraser, filosofa femminista, quando scriveva che questo regime, fondato sul capitalismo finanziario, ha un carattere distintivo, che è rappresentato "dall'inedita centralità del debito". E' sempre più attraverso il debito – ha scritto- che "il capitale oggi cannibalizza il lavoro, colpevolizza gli stati, trasferisce ricchezza dalla periferia al centro ed estrae valore dalla sfera domestica, dalle famiglie, dalla comunità, dalla natura. ...L'effetto è quello di intensificare le contraddizioni intrinseche al capitalismo tra produzione economica e riproduzione sociale.....Il regime ....autorizza il capitale finanziario a vincolare gli stati in funzione degli interessi immediati degli investitori privati, richiedendo tagli pubblici allla riproduzione sociale".

Il nuovo governo italiano, M5S e Lega, non sta cambiando questo indirizzo. La recente legge finanziaria destina 114 mld di euro al Fondo Sanitario Nazionale (un mld in più) rispetto allo scorso anno, pur nella consapevolezza che il tasso di inflazione programmato all'1,2% si mangerà l'apparente maggiorazione ( Legge di bilancio 2019, agevolazioni fiscali per la spesa privata sostitutiva dei Lea: destinate le risorse al servizio sanitario nazionale, appello firmato da varie personalità impegnate nella lotta a sostegno della sanità pubblica).
Rimangono naturalmente le agevolazioni fiscali per le prestazioni fornite dai privati, siano esse dirette o intermediate da Fondi, Assicurazioni, Contratti di lavoro.

Niente di nuovo sotto il sole.

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