Per chi lavora Napolitano, che rottama la Costituzione?

di libreidee.org - 25/07/2013
In base alla legge, il presidente della Repubblica dev’essere il massimo garante della Costituzione. Com’è che, al contrario, oggi è diventato il suo rottamatore?

Accade da quando al Quirinale siede Giorgio Napolitano. Qualcuno ha osservato che «Napolitano sta cercando di limitare i danni». Davvero? «Altro che limitare i danni, Napolitano è il danno», protesta Aldo Giannuli: «Per molto meno, l’allora Pds stava per chiedere la messa in stato d’accusa di Cossiga per attentato alla Costituzione». Oggi siamo sull’orlo del baratro, se è vero che a cambiare la Carta non sarà il Parlamento, come prescrive la norma democratica, ma il governo, su diretta “ispirazione” del Colle, che proprio per questo ha “spiegato” che l’esecutivo Letta “deve” durare almeno fino al 2015. «E’ arrivato il momento di dire che siamo ad un passo dalla rottura costituzionale e dal colpo di Stato “bianco”», se Napolitano “impone” un presidenzialismo d’imperio per archiviare la Costituzione antifascista che, secondo Jp Morgan, va ormai cestinata perché col suo sistema di diritti “frena il business”.

Chiudendo la porta ad elezioni anticipate a ottobre, scrive Giannuli nel suo blog, Napolitano «ci ha fatto sapere di un patto i cui termini sono ben diversi da quelli fatti trapelare nell’immediatezza dell’accordo: allora si parlò di un esecutivo di durata breve, con il compito di cambiare la legge elettorale, fronteggiare l’immediatezza della crisi e poi andare a votare. Poi, man mano, la riforma elettorale è andata scivolando in avanti e si è iniziato a dire che il governo “non ha scadenza” e che si sarebbero dovute fare anche altre riforme istituzionali mettendo mano alla Costituzione». Da lì la nomina del comitato dei “saggi” e la scadenza vera, quella del 2015: il tempo necessario per aggirare l’opposizione parlamentare e imporre la ventilata revisione costituzionale, anche di fronte ai ritardi causati dall’eventuale ostruzionismo degli oltre 200 parlamentari M5S e Sel che potrebbe bloccare i lavori per mesi, «anche perché nel processo di revisione costituzionale non è possibile stroncare l’ostruzionismo ponendo il voto di fiducia al governo». Ma niente paura: il governo avanza un disegno di legge di deroga alle procedure previste dall’articolo 138, riducendo ad un mese l’intervallo, oggi trimestrale, fra le due deliberazioni.

«Che nel processo di revisione della Costituzione abbia voce in capitolo l’esecutivo è una novità assoluta», sottolinea Giannuli. «Questa procedura eccezionale consisterebbe in una sorta di deroga una tantum, per sveltire i lavori finalizzati ad una limitatissima riforma costituzionale, come l’abolizione del voto di fiducia da parte del Senato, così da evitare un blocco come quello seguito alle elezioni di febbraio». Ma, come fa notare su “Repubblica” il costituzionalista Alessandro Pace, la proposta governativa dovrebbe essere approvata con procedura ordinaria, «per cui faremmo passare il principio per cui una legge ordinaria può derogare alla Costituzione», e questo «potrebbe essere ripetuto per qualsiasi altra revisione». Di fatto, avverte Giannuli, stiamo aprendo la porta alla disarticolazione dell’articolo 138, quello che garantisce la piena sovranità del Parlamento in materia costituzionale. Se il problema fosse il semplice superamento delle lentezze dell’attuale bicameralismo, basterebbe modificare un paio di articoli, il 94 e l’81. Ma perché allora nominare una apposita commissione di quaranta “saggi”?

«Il dubbio che sorge è che questa specie di Sinedrio debba preparare una revisione organica della Costituzione e che la “deroga” attuale sia solo la legittimazione di ben più sostanziose prossime deroghe», sostiene Giannuli, avanzando il sospetto «che il testo della nuova Costituzione sia già pronto e giaccia in qualche cassetto (della Jp Morgan per caso?)». Attenzione: «Non possiamo tacere che, di fatto, siamo alle soglie di una vera e propria rottura costituzionale: l’articolo 138 fa parte della Costituzione e non può essere modificato con procedura ordinaria». Anzi, proprio per la delicatezza della sua funzione, «è l’ultimo per il quale si possa pensare una procedura tanto disinvolta». La cui regia, dietro le quinte, è proprio di Napolitano: «Tutto fa intendere che la partita della revisione costituzionale – ben oltre che la questione dell’articolo 94 – abbia fatto parte delle trattative che portarono alla rielezione di Napolitano che oggi, infatti, blinda il governo per evitare quelle elezioni che sospenderebbero questo processo così avviato».

Dunque, Letta “deve” durare perché il capo dello Stato vuole che la Costituzione cambi, in tutto o in parte. «Ma dove sta scritto che il presidente della Repubblica possa farsi promotore del cambiamento costituzionale?». Non può essere lui a cambiare la Costituzione, né tantomeno a “rottamarla”. Secondo Giannuli, in teoria Napolitano dovrebbe rifiutarsi di firmare il decreto legge governativo, per palese violazione dell’articolo 138 e quindi della lettera e dello spirito stesso della Costituzione, investendo direttamente la Corte Costituzionale. E magari dovrebbe inviare un messaggio alle Camere per avvertire del carattere anticostituzionale della norma che stanno per varare. «Ma questo non accade e non accadrà, per la semplice ragione che Napolitano è interno al progetto».

Come si è mosso, finora, l’uomo che Kissinger definì «il mio ex comunista preferito»? Negli ultimi quattro anni, continua Giannuli, Napolitano si è premurato essenzialmente di far rispettare i patti internazionali contratti dall’Italia, «per non dire dei patti impliciti rappresentati dai titoli di debito pubblico». Di fatto, più che rappresentare la nazione all’estero, Napolitano «ha piuttosto rappresentato la Ue e la Bce presso il governo e il Parlamento. Una sorta di “commissario agli atti”: e in questa inedita metamorfosi della figura del Capo dello Stato, si sono determinate una serie di alterazioni nei rapporti fra istituzioni della Repubblica». Golpe bianco, dunque, in ossequio ad una “trattativa” segreta per il declassamento dell’Italia, giocata sui tavoli dell’élite finanziaria, al riparo dei media? Mentre la crisi sta stritolando il paese, l’amputazione della Costituzione potrebbe servire a controllarlo meglio, privandolo dell’ultima quota residua di sovranità democratica parlamentare.


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