Amministrative, ma non solo

di Francesco Baicchi - 18/03/2012
Il 6 maggio si vota per le amministrative, con la prospettiva di un astensionismo altissimo, conseguenza anche dell'evidente fallimento dello strumento delle 'primarie', inutilmente presentato come compensazione alla arroganza con cui i partiti infarciscono le loro liste di personaggi impresentabili

Come è stato efficacemente spiegato da Mannheimer sul Fatto Quotidiano (ma anche da altri analisti) l'incapacità dei partiti politici di riformarsi e di fare pulizia in casa loro, allontanando maneggioni e corrotti, ha portato la loro credibilità ai minimi termini. Forse sarebbe meglio dire quella dei loro dirigenti, che però non accettano l'idea di ritirarsi, al massimo quella di farsi sostituire da prestanome anagraficamente più giovani.

Ma proprio i partiti sembrano aver capito benissimo che aria tira e in molte città si stanno dando da fare per presentare, a fianco delle liste 'ufficiali' con il loro simbolo, sedicenti 'liste civiche' che verranno spacciate per rappresentanti della 'società civile'. Questo consentirà forse di far approdare nei consigli comunali qualche faccia nuova senza tessera, che un tempo si sarebbe definita 'di area', e renderà il Sindaco ancora più indipendente dalla coalizione che lo presenta.

Con queste liste-civetta in realtà si punta a recuperare consensi nella vastissima area del malcontento, che altrimenti alimenterà l'astensionismo.

D'altronde il rischio rappresentato dalla elezione di qualche figura realmente indipendente, che potrebbe non allinearsi alle posizioni di partito, è minimo, visto che i Consigli con la legge attuale non hanno praticamente alcun potere nella gestione degli enti locali, se non quello, assai problematico, di suicidarsi per far cadere il Sindaco, padrone assoluto della macchina comunale.

Probabilmente ci sarà dunque un fiorire di simboli più o meno fantasiosi, che però per la loro eterogeneità è prevedibile non riescano a rappresentare la dimensione dell'area del crescente dissenso, e, proprio perché tanti, è certo che non riusciranno a farla incidere nelle scelte politiche. In barba ai Principi Costituzionali che assegnano al 'popolo' la sovranità da esercitare con metodi democratici.

La prima condizione per definire un Paese 'democratico' è proprio che il maggior numero possibile di cittadini siano coinvolti nelle scelte, mediante l'elezione di loro rappresentanti negli organismi assembleari e l'esclusione dalla rappresentanza mediante ingegnerie elettorali, come nell'attuale Parlamento nazionale, di ampie fasce di opinione pubblica è costituzionalmente inaccettabile.

Non occorre certo ricordare che, fra poco più di un anno, è all'orizzonte proprio il rinnovo del Parlamento, e queste amministrative avrebbero potuto essere una buona palestra per quanti intendessero effettivamente cercare di rappresentare quel rinnovamento dei metodi della politica che almeno metà della opinione pubblica sembra pretendere. Ma questo avrebbe richiesto una vera volontà unitaria, la rinuncia a protagonismi individuali e, soprattutto, alla spartizione di poltrone e strapuntini che spesso è (in modo trasparente) l'unico vero collante delle coalizioni che si stanno formando.

L'assenza di un soggetto unico in grado di puntare a un consenso ampio lascia inoltre campo libero a formazioni sì nuove, ma con caratteristiche localistiche, qualunquiste o massimaliste.

Così rischiamo di perdere un'altra occasione di rinnovamento e di trovarci ancora più divisi a dover fronteggiare le minacce di stravolgimento della Costituzione che, questa volta, se sostenute dalla 'grosse coalition' che sostiene Monti, rischiamo di non poter impedire nemmeno con un referendum.

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