Il lavoro dipendente nel mirino

di Francesco Piccioni - Il Manifesto - 27/10/2011
L'età pensionabile («vecchiaia») sarà elevata a 67 anni da qui al 2026, sia per gli uomini che per le donne. Per le lavoratrici del settore privato inizia già a gennaio il progressivo aumento dagli attuali 60 anni ai 65, per arrivare infine alla nuova soglia

Sembrava d'esser tornati ai tempi del cardinale Richelieu, con segreti messaggeri che percorrono l'Europa portando nel giustacuore una lettera ancor più misteriosa. Dei contenuti reali di questa missiva - che ieri a pranzo Gianni Letta correva a «rettificare» qui e là - non si riusciva a sapere molto.
Ma siamo in realtà nell'era della Rete. E non appena gli staff dei capi di governo dei paesi non-euro sono usciti dalla prima riunione - intorno alle 19 - se n'è cominciato a sapere qualcosa di più. E a capire che non era cambiato l'orizzonte «filosofico» sacconiano dell'attuale governo: la crisi debbono pagarla quei «fessi» che lavorano tutta la vita, in qualsiasi regime contrattuale l'abbiano fatto. E basta.
La volontà persecutoria del lavoro dipendente esce fuori chiaramente dalle uniche «voci» che non erano comprese nelle bozze precedenti. Elenchiamo dunque le misure principali.
Libertà di licenziamento «per motivi economici». «Entro maggio 2012» il governo varerà una legge per cui ai dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato sarà dovuto solo un risarcimento monetario (neppure quantificato in mesi di stipendio), ma non più il diritto al reintegro sul posto di lavoro tramite ricorso al giudice. Nella normativa attuale siste già questa possibilità, ma come licenziamenti collettivi in seguito a dichiarazione di uno «stato di crisi», verificato e certificato dalle istituzioni pubbliche. In assenza di dettagli, quindi, si è costretti a immaginere che questi «motivi economici» saranno sostanzialmente «autocertificati» dai datori di lavoro, e usati per colpire singoli dipendenti, magari «scomodi» per ragioni sindacali.
Dal lato opposto si parla di realizzare una «stretta» sull'abuso dei contratti atipici, in modo da favorire l'assunzione stabile dei più giovani. Idem per l'apprendistato e l'incentivazione del lavoro femminile. In pratica si realizza un doppio tritacarne: maggiore «flessibilità in uscita» (tradotto: licenziamenti) e un pizzico di minore flessibilità «in entrata». Il controllo della «docilità» del singolo lavoratore verrà fuori comunque da un numero di anni trascorsi tra contratti precari, apprendistato o salario d'ingresso.
In secondo luogo, viene confermato il blocco del turnover dei dipendenti pubblici (ormai decennale), aggravato dalla volontà di «mettere in mobilità» 300.000 statali e parastatali. Il meccanismo è caro al ministro Brunetta: i dipendenti pubblici «in eccesso» in alcune situazioni verranno trasferiti d'ufficio ad altra sede o incarico, anche fuori dal comune di residenza. Avranno due anni di tempo per accettare la destinazione, dopo di che verranno licenziati.
Terzo nodo feroce: l'età pensionabile («vecchiaia») sarà elevata a 67 anni da qui al 2026, sia per gli uomini che per le donne. Per le lavoratrici del settore privato inizia già a gennaio il progressivo aumento dagli attuali 60 anni ai 65, per arrivare infine alla nuova soglia.
Abbiamo dunque un combinato disposto piuttosto evidente. I lavoratori vedranno allontanarsi sempre di più l'età del ritiro in pensione, mentre le aziende vengono rese di fatto libere di mandarli via quando vogliono. Specie per le mansioni meno qualificate e più logoranti, è facile prevedere che verranno messi fuori scaglioni interi di ultracinquantenni, sostituibili con giovani senza garanzie, salari bassi e sindacalizzazione vietata (alcuni licenziamenti «selettivi» saranno più che istruttivi).
La «filosofia» imprenditoriale di questo governo è dunque singolarmente retrograda: eliminare le difese del lavoratore risulta l'unica «politica di sviluppo» che riesca a pensare. Oltre tutto, si tratta di decisioni «facili» da prendere per decreto, ma di difficile - se non impossbile - quantificazione economica. Quanto «sviluppo» produce un licenziamento?
Il resto è ordinario saccheggio del patrimonio pubblico. Le dismissioni dovrebbero essere varate gia a fine novembre, e produrre almeno 5 miliardi l'anno per tre anni. Ulteriore «ristrutturazione» di scuole e università, con chiusure selettive e aumento delle rette a discrezione locale. Un «piano straordinario per il Sud» che si riduce a utilizzare i fondi strutturali europei senza aggiungervi la quota italiana. La «privatizzazione dei servizi pubblici locali» (ma «non l'acqua... dicono).
Il tutto in un profluvio di chiacchiere senza numeri su liberalizzazioni degli ordini professionali (la «tariffa minima» diventa un «punto di riferimento derogabile»), «zone a burocrazia zero», riduzione della «litigiosità» nella giustizia civile, ecc. Naturalmente fioccano le promesse sulla riduzione del numero dei parlamentari e l'abolizione delle province. E, in un angolo una pericolosissima «riforma costituzionale» per «rafforzare il ruolo dell'esecutivo e della maggioranza». Somiglia a un golpe, è disegnato come un golpe. Forse andrebbe chiamato così...

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