La crisi del governo esalta i limiti del Pd

di Renzo Penna - Paneacqua.eu - 10/08/2010
Mentre il governo Berlusconi arranca e va in crisi, la principale forza d'opposizione, il Pd, come segnalato da molti commentatori, non esce dalla condizione di subalternità

Manca una prospettiva forte e condivisa di programma su molte parole d'ordine come il lavoro, la scuola, la formazione, il ruolo pubblico dell'economia. E la questione dell'identità labile si ripropone con forza

 Può sembrare paradossale, ma la lacerante crisi del governo Berlusconi sta evidenziando i limiti e le contraddizioni dell'opposizione e, in particolare, le preoccupazioni e i timori della principale forza, il Partito Democratico, nei confronti delle più che probabili elezioni anticipate.

Così la pensa Antonio Padellaro che, su "il Fatto Quotidiano", giudica curiosa questa situazione, e invita il vertice del Pd a chiedersi come sia possibile che il loro partito sia l'unica forza d'opposizione in Europa a non guadagnare terreno nei confronti di un governo pessimo e disastrato. Mentre per Barbara Spinelli, sui temi della legalità, dell'etica pubblica, della libera informazione e del conflitto di interessi, che caratterizzano le volontà autoritarie del capo del governo e della cricca dei suoi amici più fedeli, la sinistra non ha avuto il coraggio e l'anticonformismo del presidente della Camera. E così, secondo l'editorialista de "La Stampa", Fini ha fatto su questi aspetti più passi avanti di tanti uomini dell'ex Pci, per i quali i problemi erano sempre altri e mai la tenuta dello Stato di diritto, l'informazione televisiva manipolata, la dilagante corruzione. Tutte questioni classificate dagli esponenti di punta del Pd come "antiberlusconiane" e, per questo, non ritenute importanti da combattere in quanto non "gioverebbero al centro sinistra".

Per ultimo uno sconsolato Massimo Cacciari, su "l'Unità" di domenica, di fronte agli spazi politici enormi che si aprono con la crisi del governo e la novità rappresentata dall'iniziativa di Fini, prende atto della incapacità dell'opposizione ad approfittarne ed invita a constatare con realismo che l'esperimento del Pd non ha funzionato. Meglio quindi separarsi che convivere malamente continuando ad illudersi di trovare una sintesi tra storie tanto diverse. Secondo il filosofo di Venezia esiste in Italia una forte tradizione socialista e socialdemocratica che potrebbe tranquillamente allearsi con espressioni di cultura cattolica e liberale. Senza l'obbligo di stare nello stesso partito.

Come non essere d'accordo con questa, ancorché tardiva, autocritica di Cacciari da parte di chi ha, da sempre e in minoranza, considerato una grave anomalia della sinistra italiana l'assenza di una forte presenza della cultura socialista con la riproposizione dei principi fondanti dell'eguaglianza, della libertà e della difesa intransigente della democrazia. L'aver sin qui cercato di evitare in Europa l'appartenenza al Partito socialista europeo e in Italia il richiamo alla storia socialista - che si è voluto ritenere conclusa nel 1989, mettendo sullo stesso piano la fine tragica dell'esperienza comunista con quella socialista e socialdemocratica - ha dato esiti del tutto insoddisfacenti. Ha contribuito a consegnare alla destra un cospicuo consenso elettorale e ha prodotto, per dirla con Giorgio Ruffolo, una identità debole e artefatta.

E' evidente che questo insieme di sollecitazioni critiche rivolte al Partito democratico, questa sua incapacità a rappresentare una credibile alternativa al Governo e al berlusconismo sono state accelerate dalle vicende italiane, ma dipendono dagli effetti devastanti della crisi economica internazionale. E, in particolare, dal fatto che questa crisi conclude nel modo peggiore la fase liberista che ha riguardato il mondo intero e contaminato, non poco, anche la sinistra in Europa e il centro sinistra in Italia. Le cui difficoltà dipendono, il larga misura, proprio dai cedimenti dimostrati nei confronti delle mode liberiste.

Qui gli aspetti sui quali recuperare progettualità e visione strategica sono molteplici. Riguardano, ad esempio, il senso e la dimensione del ruolo pubblico per contrastare la privatizzazione di servizi e di funzioni pubbliche essenziali contrapponendo a questa tendenza una nuova coscienza dell'interesse generale. Esattamente l'opposto dell'attuale governo che pensa di privatizzare beni pubblici e servizi fondamentali come l'acqua. Ma sono in corso tentativi ancora più pesanti che riguardano la scuola dell'obbligo e le struttura pubbliche dell'Università, degli Enti di ricerca e della sanità, in un connubio di interessi economici e di sottocultura. Mentre con la creazione di "Difesa Spa" e "Protezione Civile Spa si e cercato di "esternalizzare" lo Stato. E solo la scoperta da parte della magistratura delle malefatte commesse dalla cricca che si muoveva attorno a Guido Bertolaso ha permesso, per il momento, di limitare i danni. Questioni che hanno sin qui visto il maggiore partito del centro sinistra incerto se non succube del governo e, comunque, incapace di un indirizzo alternativo e una ferma opposizione. Basta ricordare la recente indisponibilità del Pd a sostenere il referendum in difesa dell'acqua pubblica con molti dei suoi elettori che, al contrario, si sono messi in fila per firmare ai tavoli.

Ugualmente decisiva la necessità di mettere all'ordine del giorno il lavoro e la sua centralità iniziando ad eliminare i disastri di una flessibilità che è diventata, soprattutto, precarietà. Occorre prendere atto che da anni è in atto un attacco preordinato nei confronti dei diritti e delle tutele del lavoro. E riconoscere che questa offensiva, sostenuta dalle nuove politiche conservatrici e rivolta contro il lavoro e i sistemi di welfare, si è insinuata, ha trovato spazio e giustificazione, se non esplicito sostegno, anche nella cultura politica della sinistra. La sinistra ha subito l'idea, sbagliata, per cui la globalizzazione e la rivoluzione informatica imponevano la deregolazione dei mercati, lo schiacciamento dei salari, la compressione dello Stato sociale.

E se i cambiamenti dei modelli di produzione richiedevano, certo, forme di flessibilità nell'organizzazione del lavoro, per impedire che la flessibilità si trasformasse in precarietà, erano necessarie nuove forme di regolamentazione, controlli rigorosi e un giusto equilibrio tra le nuove esigenze della produzione e i bisogni individuali e collettivi delle persone. Ma così non è stato, la flessibilità invocata ha preteso di saltare il confronto, il controllo e la contrattazione del sindacato, ha imposto lo stravolgimento del mercato del lavoro attraverso una quantità inusitata di forme contrattuali precarie, con l'unico scopo di rendere incerta e ricattabile la condizione lavorativa. Rendendo, nei fatti, come da tempo, inascoltato, ci insegna Luciano Gallino, merce il lavoro.

Il tema del lavoro e della buona occupazione, da perseguire e tutelare, dell'adeguamento dei salari, con il superamento delle attuali insopportabili diseguaglianze, debbono tornare ad essere centrali nella riflessione di una nuova sinistra capace di liberarsi dalle suggestioni liberiste e fare i conti con i propri errori. Mentre una competitività basata sui bassi salari nei paesi sviluppati non ha senso, in primo luogo, dal punto di vista economico e può solo scivolare verso l'estendersi del lavoro nero, il peggioramento delle condizioni di lavoro, la cancellazione dei diritti e della sicurezza in una spirale senza fine, visto che i salari nei maggiori paesi emergenti, in particolare Cina e India, sono per noi inarrivabili: da cinque a dieci volte più bassi con paghe inferiori a un euro l'ora. Solo tornando a ragionare di politica industriale, di qualità dello sviluppo e delle conseguenze dell'innovazione tecnologica sarà possibile, di fronte ai propositi della Fiat e alle vicende di Pomigliano e Mirafiori, avere una elaborazione autonoma, aiutare i lavoratori e il sindacato, evitando di essere solo spettatori o, peggio, finire per fare, nella sostanza, il tifo per Marchionne.

Questo analogamente vale per la scuola e la formazione, le politiche di welfare, la riforma del fisco, la tutela dell'ambiente e la ricerca di un modello di sviluppo sostenibile. Ma, in questa sede, mi interessa evidenziare come divisioni, incertezze, subalternità culturale e politica, e debole opposizione del centro sinistra a livello nazionale finiscano per riprodursi nella dimensione locale.

Qui i temi riguardano, ad esempio: a) una posizione di merito sulla compatibilità della continuità produttiva e occupazionale della Solvay di Spinetta Marengo con la tutela della salute di lavoratori e cittadini; b) una iniziativa a sostegno dell'Università per fare con sedi e servizi per docenti e studenti di Alessandria una città universitaria; c) un ripensamento sulla situazione del nodo idraulico della città e dei territori a valle, una volta verificato che l'abbattimento dei ponti e, in particolare, del Cittadella non ha risolto i problemi della sicurezza i quali rimangono legati alla riduzione delle portate del Tanaro a monte dell'abitato; d) la costruzione della mobilitazione in difesa del sistema domiciliare di gestione e raccolta dei rifiuti urbani che ha dimostrato di funzionare ed essere ben accolto dai cittadini e che il sindaco, con una decisione sbagliata e culturalmente arretrata, ha deciso di smantellare; e) analogamente, in difesa del diritto alla salute dei cittadini, la messa in campo di iniziative per la qualità dell'aria: mobilità sostenibile, trasporto pubblico, zone a traffico limitato nel centro urbano, zone pedonali, ciclabilità, verde e parchi. E via elencando.

Invece di essere preoccupato per la sfida politica avanzata da Nichi Vendola il Pd, a livello nazionale e sul territorio, dovrebbe seriamente e con modestia lavorare - abbandonando definitivamente idea e atteggiamenti di autosufficienza - alla costruzione partecipata e plurale di una alternativa di programma al governo Berlusconi. Per dare senso e valore ad una rinnovata alleanza di centro sinistra. Capace, a sinistra, di suscitare nuovo protagonismo tra i molti elettori che, in questi anni, si sono allontanati dalla politica e dalle formazioni progressiste non avvertendo una significativa differenza di proposte, contenuti e valori nei confronti della destra.

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