La Paura fa Quaranta: il Governo ricorre alla Consulta contro i referendum

di Pierpaolo Farina - 05/06/2011
“I referendum sono inutili e fuorvianti, ma il governo si rimetterà alla volontà dei cittadini; l’esito del referendum non ha nulla a che vedere con il governo: se i cittadini non vorranno il nucleare, il governo ne prenderà atto.“ Silvio Berlusconi

Non deve affatto pensarla così il premier, se il 1° giugno, con una lettera firmata da Gianni Letta, ha chiesto all’Avvocatura generale dello Stato di “intervenire” all’udienza della Corte costituzionale sull’ammissibilità del nuovo quesito sul nucleare dopo il via libera dato dall’Ufficio per il referendum della Cassazione. Con il mandato chiarissimo di “evidenziare l’inammissibilità della consultazione“.

Dunque gli avvocati dello Stato martedì chiederanno che ai cittadini sia impedito di votare sul nucleare. E la ragione è evidente: la partecipazione rischia seriamente di andare oltre il 50% + 1 richiesto per l’ammissibilità del referendum. E quindi, non solo l’acqua rimarrà pubblica e le centrali nucleari non verranno mai costruite in Italia (non che oggi vi sia la realistica possibilità), ma la legge tornerà uguale per tutti.

Ma da cosa deriva la speranza del Cavaliere in un ribaltamento del verdetto della Cassazione? Dall’avvicendamento ai vertici della Corte tra Ugo De Siervo e Alfonso Quaranta, che ha di per sè qualcosa di insolito: a differenza della prassi consolidata di scegliere il candidato più anziano a guidare la Corte, il passo indietro di Paolo Maddalena (unicum in quasi 60 anni di attività della Corte Costituzionale), apre la strada alla “presidenza lunga” di Quaranta, vicino al Cavaliere, ma che pare abbia una grande capacità di dialogare anche con altre aree.

Quaranta si insedierà lunedì, il giudizio sui referendum è dato per martedì: a 5 giorni dal voto. Ma non c’è solo il giudizio sui referendum, in sospeso ci sono altri due conflitti di attribuzione, sollevati contro i magistrati di Milano: uno dalla Camera, per il Ruby gate e uno da Palazzo Chigi, per Mediaset-diritti tv.

Uno dei motivi con cui Maddalena, in una lettera ai colleghi, avrebbe rinunciato alla Presidenza sarebbe stato quello che il suo mandato sarebbe scaduto il 30 luglio, quindi sarebbe rimasto in carica per soli 54 giorni (anche se ci sono stati mandati più brevi nella storia della Corte, es. Vincenzo Caianiello, 48 giorni). Di certo questo passo indietro di un giudice di area cattolica “illuminata”, che ha votato contro tutte le leggi ad personam del Cavaliere, non può che dargli la speranza che la Consulta smetta di essere un covo di giudici comunisti.

C’è da augurarsi, per il bene dell’Italia, che non sia così.

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