Una giornata particolare

di Barbara Fois - Liberacittadinanza - 10/05/2009
Si ricordano tutte le vittime del terrorismo

Nove di maggio, 1978. In via Caetani, in una Renault4 rossa, viene rinvenuto il cadavere di Aldo Moro. Una vicenda quella del sequestro e dell’omicidio del leader democristiano, che avrebbe cambiato il corso della vita politica di questo paese, per tutti i retroscena e le implicazioni che vi sono connessi e che vanno ben oltre un atto di terrorismo delle Brigate Rosse.
Nove di maggio, 2009. Il capo dello Stato Napolitano, nella giornata che ricorda con Aldo Moro tutte le vittime del terrorismo, invita al Quirinale anche la vedova di Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico, fermato dalla polizia per la strage di piazza Fontana nel 1969 e volato da una finestra del commissariato, non si sa come e perché. Con la voce spezzata dalla commozione il Presidente Napolitano riabilita un uomo innocente, diventato un’altra vittima delle bombe di piazza Fontana.
Ma la cosa non finisce qui. Fra gli altri familiari delle vittime di atti terroristici c’è anche la vedova del commissario Calabresi, sospettato della morte di Pinelli e per questo, così almeno si dice, a sua volta ucciso, ma non si sa bene da chi, anche se c’è Adriano Sofri che - altra cosa poco chiara davvero - sta in galera come istigatore e mandante.
A un certo punto la signora Calabresi si alza dal suo posto e va a stringere la mano della signora Pinelli.
Ammesso che fosse davvero necessario, forse avrebbe dovuto essere la signora Pinelli ad andare a stringere la mano alla signora Calabresi. Non foss’altro perché il commissario Calabresi è stato sospettato della morte del povero Pinelli e non viceversa.
Ma era necessario questo gesto? Forse no, ma era atteso: tutta la stampa e i media erano lì a vedere cosa sarebbe successo e tutti speravano in un happy ending. Perchè questo non è solo l’ipocrita  paese dei buonisti e dei perdonisti: qui, nella patria dei reality,  prigionieri del grande “Truman show” nazionale, tutti si sentono gli occhi addosso e recitano e sorridono davanti alle telecamere. E tutto avviene sempre pubblicamente, perchè non esiste più niente di privato: miliardi di giornali di gossip che vivono  razzolando nella spazzatura privata dei cosiddetti vip, raccontando e spesso inventando di tutto: amori, tradimenti, divorzi etc, ci hanno abituato a questo. Tutto deve essere esposto, gridato, sbattuto in faccia agli altri, come dovesse sempre fare audience, perché questo è il metro con cui si misura ormai tutto. Ma c’è un effetto collaterale: nessuno è più capace di sentimenti veri, li finge soltanto e mostra solo quello che gli altri si aspettano di vedere. E li mostra secondo il modello preciso in cui li vede esternati da altri in TV, o al cinema. Così ormai si sono formati dei veri e  propri cliché di sentimenti, delle precise tipologie, sul calco di luoghi comuni, e ognuno va applicato a una situazione precisa, come da copione. E’ così che i parenti delle vittime di efferati delitti, due secondi dopo la loro morte, si affrettano a perdonare pubblicamente i massacratori dei propri cari. Perché così devono fare, perché così sono invitati a fare, perché questo è quello che il pubblico si aspetta. Allienarsi sempre, omologarsi sempre, stare sempre dentro il coro.  Del resto perché stancarsi a pensare con la propria testa, quando è già tutto rassicurantemente preconfezionato?

Ma torniamo ai nostri protagonisti veri: all’anarchico Pinelli e al commissario Calabresi.
Noi non sappiamo e forse non sapremo mai cosa successe quella sera al commissariato di Milano. Troppe cose sono state dette: Pinelli si è buttato, è caduto, l’hanno defenestrato…
Personalmente non credo che si sia buttato e nemmeno che sia caduto: era dicembre, faceva freddo e le finestre in quella stagione non sono aperte. Inoltre quelle finestre avevano una ringhiera di sicurezza di 30 cm e Pinelli era alto 1,67, quindi le ipotesi di un raptus o di un malore sono prive di fondamento. Non resta dunque che la terza possibilità: è stato buttato giù.

Casa Pinelli


Ma perché poi buttarlo fuori dalla finestra? E’ una domanda che mi gira per la testa da un po’. Irrita il mio senso logico: non ha infatti alcuna spiegazione e nemmeno molto senso. Potevano accusarlo fintamente, sbatterlo in cella e dimenticarlo lì come il povero Valpreda, anche lui anarchico, anche lui innocente e finito in galera per anni lo stesso, mentre gli assassini veri venivano coperti e protetti.
Quelle bombe alla banca dell’Agricoltura, infatti, erano fasciste, ma nessuno è finito in galera per questo: i fascisti stanno fuori dalle galere. I fascisti vengono perdonati, riabilitati come gli aguzzini repubblichini, gli assassini di Salò, addirittura paragonati ai partigiani. Ecco perchè si chiede l’estradizione per Cesare Battisti, chiuso in una galera Brasiliana, ma non per Delfo Zorzi, accusato delle stragi di piazza Fontana e di Piazza della Loggia a Brescia, che vive in Giappone nella ricchezza e nel lusso, indisturbato e protetto. Non esagero: un testimone chiave, che lo aveva indicato come colui che aveva collocato le bombe, fu pagato per ritrattare, ma poi confessò tutto anche l’imbroglio ed è per questo l’avvocato di Zorzi, Gaetano Pecorella ( ma guarda!) è indagato per favoreggiamento. Non solo: i fondi usati per pagare il testimone pare che vengano da un conto della Mediaset/Fininvest: è venuto fuori da un controllo di certi conti, per via di altre inchieste. Ma il bello è che a gridare all’estradizione di Battisti c’è anche la sinistra, che tace come la destra su quella di Zorzi. Emblematico, no? Poi non chiediamoci perché perdiamo le elezioni.
 
Cosa è successo dunque quella sera a Milano? Perché buttare un indagato dalla finestra? Ci deve essere una spiegazione logica. E l’unica possibilità che viene in mente è che  Pinelli fosse già morto e in qualche modo si dovesse giustificare la sua morte. Ed è ovvio che in questo caso sia morto sotto interrogatorio. In questo caso ci sono infinite possibilità, vediamo quelle più probabili: trattenuto com’era senza uno straccio di prove, senza nemmeno una accusa precisa, torchiato senza tregua per tre giorni, per la stanchezza, lo stress, la mancanza di sonno e magari d’acqua e di cibo il cuore gli ha ceduto. Oppure: è stato picchiato al punto che è morto, così buttarlo dalla finestra poteva coprire anche lividi e fratture. O ancora, invece, proprio perché non riuscivano a cavargli niente ( e cosa poteva dire, poveretto, che era estraneo a tutto??), per spaventarlo e indurlo a parlare possono verlo fatto spenzolare fuori dalla finestra e poi gli è sfuggito di mano… Comunque sia qualcuno si è lasciato prendere dal panico e ha pensato che fingere un incidente poteva salvare tutti da una inchiesta imbarazzante, da sanzioni gravi… chissà. Ma dire che è stata una azione maldestra è dire poco. I poliziotti presenti non si accordarono sulla versione da dare, si contraddissero sui particolari, apparvero insicuri e poco credibili. Tutti dissero comunque che Calabresi non era nella stanza nel momento in cui Pinelli volò fuori dal davanzale. E allora? La responsabilità morale è comunque sua. Perché lo ha lasciato torchiare per tre giorni, senza alcuna prova? Perché poi non ha detto la verità? Dopo tutto quelli erano i suoi uomini e lui doveva sapere come erano andate le cose. Invece li ha coperti. O forse ha coperto un superiore? E magari è proprio questo che gli è costato la vita? Mah… In questo paese succede di tutto e ogni cosa è possibile.
Sta di fatto che se qualcuno voleva coprire un reato con una apparente disgrazia, non ci riuscì di sicuro. Nessuno credette all’ipotesi dell’incidente, e anzi: subito nella a sinistra giovanile prese a circolare una canzone che, sulla musica della vecchia ballata anarchica contro il “feroce monarchico” Bava Beccaris, cominciava così:
Quella notte a Milano era caldo
Ma che caldo che caldo faceva,
“brigadiere apra un po’ la finestra”
una spinta e Pinelli va giù….
La si canta nei cortei, nelle manifestazioni, davanti alle questure, la si grida con rabbia e con dolore. E per tutti i giovani della sinistra è Calabresi il colpevole, l’assassino di Pinelli. Noi tutti ragazzi della sinistra di allora lo abbiamo odiato con tutto il nostro cuore e – inutile negarlo – abbiamo gioito della sua morte. L’ho detto, l’ho scritto e lo ripeto: nessuno di noi fu innocente di quella morte. Fummo forse incolpevoli, ma non innocenti. Ma anche Calabresi non era innocente della morte di Pinelli: anche lui forse era incolpevole, ma non innocente. Non lo pensavamo solo noi ragazzi, però: il 13 giugno del 1971 ben 800 intellettuali firmarono un documento contro Calabresi, definendolo un torturatore e il responsabile della morte di Pinelli. Nemmeno un anno dopo, il 17 maggio 1972 Calabresi fu ucciso.

Eppure a leggere il libro di suo figlio Mario - che aveva solo 2 anni nel 1972 quando suo padre fu ucciso – si scopre un commissario Calabresi molto diverso da quello che era allora nel nostro immaginario collettivo. Si scoprono rapporti di frequentazione e quasi di amicizia col Pinelli e una dimensione umana insospettabile. Ma resta sempre una domanda inevasa, che non riesce a sciogliere il nodo di diffidenza e di sospetto che è ancora vivo in noi: cosa è successo davvero quella notte fra il 15 e il 16 dicembre del 1969, quando Pinelli si sfracellò nel cortile della Questura di Milano? Chi lo ha buttato dalla finestra e perché?Ecco.Qui sta il punto e non cambia niente che due donne si stringano la mano. Perché quello è un fatto privato, riservato, personale,  intimo, insindacabile, ma non può cancellare un aspetto che è pubblico, politico, giudiziario e altrettanto irrinunciabile: sapere la verità.
Chi ha ucciso Pinelli? Chi ha ucciso Calabresi e perché? Forse la pressione pubblica, la campagna di odio contro di lui era diventata così insopportabile da indurlo a parlare? Da fargli dire cosa era veramente successo? E soprattutto chi era il colpevole?
Ci sono due uomini che si conoscevano e che sono morti e nessuno dei colpevoli della loro morte è stato arrestato. Questa è la storia di sempre, in questo paese. E non serve a niente credere che tutto finisca e che torni la pace e la verità con una stretta di mano.

Barbara Fois

http://archiviostorico.corriere.it/2005/luglio/01/Dall_inchiesta_Fininvest_tracce_pagamento_co_8_050701040.shtml


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