Gino Strada:la lezione del Covid. La sanità è pubblica, basta con le Regioni

di Gino Strada - lastampa.it - 19/12/2020
Troppi tagli sconsiderati e soldi ai privati: il diritto alle cure mediche non è negoziabile. Ogni anno se ne vanno in convenzioni circa 25 miliardi, pari al 20,3% della spesa sanitaria
Caro direttore,
sono passati dieci mesi dalla scoperta del primo caso di Covid-19 in Italia. Come sempre succede nell’emergenza, all’inizio abbiamo stretto i denti, elogiato infermieri e medici e sperato nel futuro, facendo grandi propositi di cambiamento. Dieci mesi dopo il quadro è molto diverso: numeri impressionanti di contagi e di morti, un po’ di paura e molta insofferenza, e in più una crisi economica che allunga le file delle persone che hanno bisogno di un aiuto anche per mangiare.
Le riflessioni che sembravano urgenti nei primi mesi dell’epidemia paiono evaporate. Eppure è ormai evidente che la pandemia ha disvelato le gravi fratture in cui abbiamo vissuto negli ultimi anni, ignorandole. L’ambiente, il sistema economico, la sanità dovrebbero essere argomento di dibattito quotidiano.
La sanità è un compito essenziale dello Stato perché lo Stato deve assicurare a ogni cittadino il diritto a essere curato. Al contrario, la pandemia ha messo in evidenza l’estrema fragilità del nostro sistema sanitario: nel mezzo della pandemia ci siamo resi conto che non avevamo materiali di protezione, che le terapie intensive non erano adeguate, che la sanità territoriale era inesistente, che al di fuori degli ospedali tanti malati non venivano curati ma semplicemente abbandonati al proprio destino.
Siamo stati travolti, come la quasi totalità degli altri Paesi, da un’emergenza incontestabile. Molte delle nostre difficoltà si devono a questo, ma non possiamo ignorare che si tratta perlopiù di problemi strutturali, non emergenziali.
Le persone che sono morte in casa senza essere mai state visitate da un medico, ad esempio, hanno poco a che fare con l’imprevedibilità dell’evento e molto con il fatto che negli ultimi anni la sanità di base è stata progressivamente smantellata. Nel decennio 2010-2019, tra tagli e definanziamenti al Sistema sanitario nazionale, sono mancati circa 37 miliardi, con un investimento che non recupera neanche l’inflazione.
Oggi spendiamo in sanità circa 120 miliardi ogni anno, l’8,7% del Pil rispetto alla media europea del 9,9%. Gli ospedali sono stati trasformati in aziende e i mantra degli ultimi anni sono stati il «contenimento della spesa ed efficientamento dell’esistente», i piani di rientro e il pareggio di bilancio. Il focus del dibattito pubblico è sempre sugli aspetti economici, trascurando la questione centrale: di quale sanità hanno bisogno i cittadini?
La risposta è semplice: una sanità pubblica, unica e non regionale, gratuita e di alta qualità. Quanto deve spendere lo Stato per realizzarla? Quanto serve: non un euro in più, non un euro in meno.
Non sono un ingenuo, so cosa significa misurare le risorse disponibili sui progetti da realizzare. Ma le risorse ci sarebbero, e in abbondanza: basterebbe eliminare i fondi destinati al privato dal budget della sanità pubblica. Ogni anno se ne vanno in convenzioni con ospedali e varie strutture private circa 25 miliardi, pari al 20,3% della spesa sanitaria complessiva. Recuperare al pubblico quel fiume di denaro significherebbe avere a disposizione, all’incirca, un Mes ogni anno da investire nella sanità – personale, ricerca, strutture – per rinforzare il nostro Sistema sanitario nazionale.
Essere curati è un diritto universale e un bene comune, ed è conveniente per la società che venga tutelato nell’interesse di tutti. Invece, pur con differenze regionali, una quota sempre maggiore del budget sanitario va in convenzioni e accordi con il privato innescando una spirale pericolosa.
Questo è il risultato della scelta di far entrare il profitto nella sanità, di permettere che questa zona sacra – che dovrebbe essere inviolabile – venga invece resa disponibile agli investitori. Investitori in un mercato garantito: possiamo scegliere di comprarci o non comprarci un’auto, ma non scegliamo se ammalarci.
Tutti i tentativi di riforma si sono scontrati sempre con quel punto centrale: è lecito o no il profitto nella sanità? È conveniente, è utile per i cittadini?
Sia chiaro, non ho nulla contro il privato. Chi vuole ha il diritto di costruire e gestire ospedali e cliniche, laboratori e case di cura. Ma dovrebbe farlo con i soldi propri, e non attingendo ai soldi pubblici. Come comunità dobbiamo riflettere sul fatto che un bene comune così importante come la salute sia soggetto al profitto. L’idea di entrare nella medicina per investire e ricavare denaro sulle sofferenze altrui è inconciliabile con il concetto di cura come diritto umano.
Il diritto a essere curati non sembra essere stato una priorità per i nostri governi, non negli ultimi decenni. Anche di fronte agli enormi bisogni sociali generati da questa pandemia, si trovano sempre risorse per aumentare le spese militari, il 6% in più di quanto speso nel 2019. E solo 9 miliardi dei 209 del Recovery Fund verranno usati per investimenti nel settore sanitario. Poco più del 4% per un settore fondamentale per la vita di tutti noi.
Se neanche una pandemia epocale – con quasi 70 mila morti in Italia – riesce a farci riorganizzare le nostre priorità, stiamo perdendo l’ultima occasione per riformare le basi della società in cui vogliamo vivere.

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