IL POTERE COSTITUENTE DI UN NUOVO ORDINE MONDIALE

di Luigi Ferrajoli - Chiesa di tutti Chiesa dei poveri - 28/04/2019
Intervento del prof. Luigi Ferrajoli all’assemblea del 6 aprile di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”

Sicuramente alla domanda “che cosa ci sta succedendo?”, si può rispondere che una delle cose più drammatiche è quella espressa dalla questione migranti, una questione che sta portandoci a contraddire tutti i principi su cui si fondano le nostre democrazie, l’uguaglianza, la dignità della persona, i diritti fondamentali; si tratta di politiche che stanno frantumando l’umanità, tra chi ha diritto di sopravvivere e chi non ha diritto di sopravvivere. I migranti, dobbiamo subito dirlo, sono le vittime di una doppia violazione. Innanzitutto sono le vittime del capitalismo selvaggio che le costringe a fuggire; fuggono dalla miseria, fuggono dalle devastazioni ambientali e fuggono dalla fame, dalle malattie non curate, fuggono dai loro territori che sono stati depredati, colonizzati dalle Potenze occidentali che per secoli hanno brandito il diritto di emigrare come fonte delle loro conquiste e delle loro colonizzazioni. Sono dunque le vittime innanzitutto delle politiche dell’Occidente e sono le vittime delle discriminazioni, delle oppressioni, delle espulsioni, dei respingimenti e anche delle morti in mare provocate dall’esclusione, dalla discriminazione dovuta unicamente alle loro differenze d’identità, al fatto che non sono come noi, sono altra cosa, sono alieni, pericolosi nemici e dunque sono le vittime di tutte le nostre violazioni dei diritti umani. Noi dobbiamo essere consapevoli che sul futuro delle migrazioni si gioca il futuro delle nostre democrazie, della credibilità dei nostri cosiddetti valori, cosiddetti perché non potremo più continuare per lungo tempo a declamare uguaglianza e diritti fondamentali in maniera decente, se questi diritti saranno violati in maniera così vistosa, così programmatica, così esplicita, giacché i diritti intanto sono universali in quanto sono indivisibili, in quanto sono diritti di tutti, altrimenti si trasformano in privilegi.

Oggi le nostre politiche sono politiche performative del senso comune della disuguaglianza. La loro gravità risalta anche rispetto al passato. Il ministro Salvini non ha inaugurato queste politiche ma le ha continuate, la novità è che la disumanità viene sbandierata, viene ostentata, viene esibita come fattore e fonte di consenso, con l’effetto di produrre un crollo nel senso comune della moralità corrente. Si sta producendo una fascistizzazione del senso comune, una perversione della cultura di massa, della moralità comune, perché quando la disumanità e l’immoralità vengono esibite a livello istituzionale, inevitabilmente diventano contagiose, inevitabilmente legittimano, alimentano l’immoralità a livello di massa, inevitabilmente producono la logica del nemico che sta per l’appunto diffondendosi come un veleno nelle nostre società. I popoli possono anche ammalarsi, si ammalano soprattutto quando l’immoralità è esibita a livello istituzionale; non capiremmo gli orrori del fascismo, del nazismo nel cuore dell’Europa se non ci fosse stata questa ostentazione della disuguaglianza, della discriminazione, della persecuzione, della tesi che alcune persone sono destinate a morire, non sono come noi. Questa ostentazione della disuguaglianza e della discriminazione è inevitabilmente performativa del crollo del senso morale e cioè del presupposto elementare della democrazia che si fonda sul riconoscimento degli altri come persone, sulla solidarietà, sull’uguaglianza, che non sono soltanto norme giuridiche ma sono percezioni, sensazioni, sentimento degli altri come uguali. E peraltro verso queste politiche si sta  procurando consenso attraverso l’ostentazione della illegalità; infatti queste politiche sono illegali; il ministro Salvini è stato incriminato per un reato e gran parte delle sue politiche sono politiche illegali: non soltanto il sequestro di persona, la limitazione della libertà personale, ma la gigantesca omissione di soccorso diretta o indiretta in quanto centinaia di persone (penso ai 117 naufragati in mare il 18 gennaio) sono naufragate perché non c’era nessuno a salvarli, perché le navi delle ONG, la Marina italiana erano state allontanate. Queste stragi, la violazione delle elementari regole del diritto del mare previste nella convenzione di Amburgo sono illeciti, sono violazioni, e la cosa più grave è che queste violazioni vengano rivendicate.

Il ministro Salvini dichiarò quando ebbe un avviso di garanzia che avrebbe appeso come una medaglia questo avviso; la negazione dell’autorizzazione a procedere ha significato affermare che la violazione dei diritti umani  è nell’interesse preminente dello Stato (questa è la formula della legge), che è nell’interesse preminente dello Stato la violazione della Costituzione. È un precedente gravissimo in forza del quale è stato ribaltato l’assetto istituzionale, la gerarchia delle fonti, perché sarà sempre possibile a un ministro che per definizione gode della maggioranza, far affermare dalla sua maggioranza che i propri delitti sono nell’interesse dello Stato, nel preminente interesse dello Stato; è questo che è successo quando è stata negata l’autorizzazione anche da quanti fino a ieri gridavano “onesta e legalità” ed evidentemente considerano più grave un fatto di corruzione che la strage di centinaia di decine di migranti.

E allora di fronte a questi orrori è molto importante quanto ci diceva stamattina Raniero La Valle,  il valore della parola. Il valore del dare alle cose un nome, come diceva Ruggeri, significa dare alle cose e a quanto succede un senso, e dare un senso significa nominare queste politiche con il loro nome: si tratta di reati, si tratta di crimini, si tratta di crimini di sistema, si tratta di politiche che vanno per l’appunto rinominate come in contrasto con la Costituzione e in molti casi anche con il codice penale; dare un nome alle cose,  rinominare le cose significa anche dare un nome alle immigrazioni che non sono soltanto un fatto di progresso (ce lo dicevano stamattina i ragazzi, l’umanità è progredita nella storia attraverso le migrazioni, attraverso il mescolamento delle culture) ma sono un diritto fondamentale. Ce lo dice la Costituzione, l’articolo 35 che prevede il diritto di emigrare, ce lo dice la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ce lo dicono i patti del ’66; è un diritto fondamentale, il più antico dei diritti fondamentali utilizzato – lo ricordo sempre – da Francisco De Vitoria nel ‘500 quando si trattava di legittimare la conquista dell’America, il diritto di migrare, quando eravamo noi che invadevamo il resto del mondo con i nostri eserciti; e insieme all’affermazione del diritto De Vitoria scriveva che bisognava reagire all’illegittima resistenza contro questo diritto con la guerra. E ciò è appunto quello che è stato fatto, la modernità nasce da un genocidio, quello delle popolazioni americane che sono state sterminate e in seguito per quattro secoli il diritto di emigrare ha fatto parte del diritto internazionale. Perciò chiamare le cose con il loro nome significa dire che emigrare è un diritto, è un diritto sancito nel diritto vigente, è un diritto però che non viene mai nominato; nessun politico dirà mai che è un diritto. La politica non ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Sembra un’eresia, quando sarebbe l’unica politica realistica perché naturalmente, come diceva Carchedi, è ovvio che l’unico modo per dare una risposta razionale alle catastrofi che incombono su di noi è l’integrazione mondiale, è l’aiuto ai migranti che stanno in Italia e non la loro trasformazione in clandestini, la loro espulsione, la loro umiliazione e mortificazione.

E allora io credo che dare nome alle cose equivale a dire che oggi il progetto di riunire l’umanità può perseguirsi  soltanto se concepiremo il diritto di emigrare come il potere costituente di un nuovo ordine mondiale fondato sull’uguaglianza, sulla pari dignità di tutti in quanto persone, solo se considereremo le migrazioni il fatto costituente di questo nuovo ordine mondiale, se assumeremo consapevolezza che le migrazioni non possono essere arrestate dai muri, dei fili spinati che possono soltanto pervertire la nostra identità, mentre  dobbiamo essere consapevoli che l’abbattimento delle frontiere non è soltanto un fatto razionale, non serve soltanto a riconoscere l’uguaglianza e la dignità dei migranti,  serve innanzitutto ad affermare la nostra dignità, la dignità di noi, di noi cittadini, di noi italiani, di noi europei, di noi del mondo ricco che perderemo la nostra dignità su questa questione se continueremo le politiche di esclusione, se continueremo a contraddire in maniera così macroscopica, così vistosa tutti i nostri principi; e allora i migranti vanno considerati il popolo costituente dell’umanità del futuro, un popolo meticcio di diversa provenienza, di diverse culture, che prefigura l’umanità del futuro, umanità di uguali senza cittadini e senza stranieri.  La politica interna del mondo, per usare l’espressione di Habermas, ormai non può non assumere questa posizione; non è soltanto nell’interesse dei migranti ma è nell’interesse della sopravvivenza stessa, della convivenza pacifica delle democrazie, della nostra stessa dignità. Nel momento stesso in cui si assumesse l’immigrazione come fatto costituente, il diritto di emigrare come potere costituente, si aprirebbe la strada alla costruzione di un costituzionalismo globale oltre lo Stato. Questo già sta scritto nelle nostre Convenzioni, siamo pieni di Dichiarazioni e di Convenzioni e Patti sui diritti fondamentali, ma manca la sfera pubblica, mancano le garanzie in grado di dare effettività a questi diritti. Ora è soltanto sulla base di una cittadinanza universale -o ancor meglio della soppressione di quell’ultimo residuo di disuguaglianze e di differenze per status che è la cittadinanza – soltanto sulla base di un’affermata uguaglianza di tutti in quanto persone, può svilupparsi una politica interna del mondo inevitabilmente di pace, una sfera pubblica nell’interesse di tutti, di tutti in quanto esseri umani, in quanto umanità.

Io mi rendo conto che tutto questo sembra utopistico e forse molto improbabile, ma certamente l’utopia maggiore è l’idea che la realtà possa rimanere così com’è senza andare incontro a catastrofi, a catastrofi ecologiche, catastrofi economiche, catastrofi criminali, catastrofe di guerre e catastrofi di contaminazione dell’ambiente. Il vero realismo consiste nel prendere sul serio le promesse fatte all’indomani della seconda guerra mondiale nella consapevolezza che le catastrofi che altrimenti ci attendono potrebbero essere ancora più gravi e non faremo magari in tempo a formulare i nostri “mai più!”.

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