Il suicidio dello Stato

di Michele Ainis - repubblica.it - 01/12/2022
Con l'autonomia differenziata il governo prende potere e il Parlamento si indebolisce

La Repubblica è «una e indivisibile», dice l’articolo 5 della Costituzione. Così come sono indivisibili i diritti: o spettano a tutti oppure si traducono in altrettanti privilegi. Ma l’autonomia differenziata messa in pista dal ministro Calderoli rischia di trasformarci in un popolo di separati in casa, di frantumarci in un mosaico di Repubblichette armate l’una contro l’altra. Si dirà: tuttavia è la Costituzione stessa (articolo 116) che prefigura quest’esito infelice. Non è vero, la Costituzione bisogna leggerla tutta, nelle righe e tra le righe. E la bozza di lavoro presentata l’8 novembre dal ministro ne offende i principi — la ratio, direbbero i giuristi. Per almeno tre ragioni.
Primo: in questo valzer delle competenze, le materie non sono tutte uguali. Altro è il commercio con l’estero, altro la sanità e la scuola. Eppure la bozza elenca 23 materie, anzi le cuoce in un solo calderone. Mescolando la gestione di settori economici (come i porti o le casse di risparmio) con la tutela dei diritti fondamentali (la salute, il lavoro, l’istruzione). Che così diventano à la carte, con garanzie diverse da un capoluogo all’altro. Tutto l’opposto rispetto al monito di Mattarella, pronunziato il 22 novembre dinanzi a 2208 amministratori locali: «Stessi diritti al Nord e al Sud».

D’altronde i diritti costano, nessun pasto è gratis. E infatti nel 2018 — quando il governo Gentiloni siglò tre «accordi preliminari» con Lombardia, Emilia Romagna, Veneto — fu calcolato un surplus di 21 miliardi l’anno, da erogare alle Regioni per l’esercizio delle nuove competenze. Tuttavia la bozza del ministro dispone che il trasferimento avvenga senza maggiori oneri per la finanza pubblica. E dunque, se qualcuno ci guadagna, qualcun altro giocoforza ci rimette. E ci rimettono, in conclusione, i cittadini, o almeno quanti hanno avuto la sventura di nascere nel posto sbagliato. Anche perché i «livelli essenziali delle prestazioni» (uno standard minimo che la Costituzione intende garantire su tutto il territorio nazionale) non sono mai stati stabiliti. E la bozza Calderoli? Li promette, ma un rigo sotto dichiara che se ne può anche fare a meno. Vatti a fidare.

Secondo: nel disegno costituzionale, l’autonomia differenziata rappresenta l’eccezione, non la regola. E l’eccezione — per sua natura — va sempre circoscritta a pochi casi, e va inoltre motivata in base alle specifiche esigenze dei diversi territori regionali. Ma se tutte le 15 Regioni a statuto ordinario possono ottenere tutte le 23 materie in gioco, se per giunta la bozza del ministro non pretende alcuna giustificazione per le singole richieste, allora l’eccezione si converte nel suo opposto, diventa regola, precetto. Svuotando l’articolo 117, che enunzia il catalogo delle competenze regionali. Rovesciando il rapporto con le cinque Regioni a statuto speciale, che a quel punto avranno meno poteri delle sorelle minori, anziché il contrario. E in conclusione frodando l’articolo 138 della Costituzione, che delinea il procedimento delle leggi costituzionali. Perché c’è voluta una legge costituzionale (dunque a maggioranza qualificata, e con l’eventualità del referendum) per le Regioni a statuto speciale. Mentre stavolta, con una leggina, siamo in procinto d’alterare la stessa fisionomia del nostro Stato, trasformandolo in uno Stato federale. Evviva.

Terzo: a proposito delle nuove procedure. Leggendo la bozza Calderoli, emerge il ruolo del governo, s’inabissa il Parlamento. Si disegna infatti questo slalom: la Regione prende l’iniziativa; il ministro avvia un negoziato; trovato l’accordo, il Consiglio dei ministri approva lo schema di intesa; quest’ultimo viene trasmesso alla Commissione parlamentare per le questioni regionali, il cui parere non è comunque vincolante; il governo e la Regione approvano lo schema di intesa definitivo; infine il Parlamento mette un timbro, senza il potere di correggere l’intesa, di proporre emendamenti. Prendere o lasciare. E se prendi, è per sempre: dall’intesa non si può tornare indietro, a meno che non sia d’accordo pure la Regione, facendo harakiri. Nel frattempo va in scena il suicidio dello Stato, e senza nemmeno un funerale.

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