Il sistema Mose

di Pancho Pardi - Liberacittadinanza - 16/11/2019
A giudicare da ciò che sta avvenendo e dalle stesse ammissioni dei curatori dell'opera appare sempre più evidente che il progetto é stato immaginato senza tener conto delle dinamiche naturali

Molte pagine sono state opportunamente dedicate all'acqua alta di Venezia e alla questione del Mose. Intendo aggiungere alcune considerazioni. Tralascio di proposito le spese enormi, tutte le ruberie accertate e quelle in attesa di scoperta e concentro l'attenzione solo su temi riguardanti l'ambiente fisico in cui é stato inserito il sistema del Mose.

Il punto essenziale é il moto naturale dell'Adriatico. Le maree, secondo il loro regolare ritmo ciclico, spingono e accumulano temporaneamente verso nord le sue acque. L'Adriatico si rigonfia nella sua estremità settentrionale e ciò comporta il consueto ritorno dell'acqua alta. Quando a questo fenomeno ciclico inevitabile si somma la forza occasionale ma poderosa del vento di scirocco, la duplice spinta della marea e del vento insacca il mare dentro e contro la laguna innalzando in modo parossistico l'acqua alta.

Il progetto del Mose ha proposto e realizzato, con grande lentezza, costi astronomici e tragici difetti, un sistema di paratoie fissate sul fondo delle bocche attraverso cui il mare comunica con la laguna. A giudicare da ciò che sta avvenendo e dalle stesse ammissioni dei curatori dell'opera appare sempre più evidente che il progetto é stato immaginato senza tener conto delle dinamiche naturali.

Vediamo gli aspetti più essenziali. Le cosiddette bocche di porto, attraverso cui mare e laguna comunicano sono punti assai delicati. È evidente che in corrispondenza delle bocche il flusso dell'acqua abbia una maggiore energia, come quando strizzando la manichetta dell'acqua in giardino si aumenta la forza del getto. Le paratoie del Mose devono per forza stare in corrispondenza delle bocche. Ora il fondo della laguna non è fermo, solido e liscio come una superficie di cemento. È un organismo mobile, plastico, in continuo divenire. È fatto di materiali eterogenei: sabbie, limi, fanghi che sono in continuo impercettibile movimento; a seconda delle correnti, verso il mare o l'interno della laguna. Lo spessore dei sedimenti è un habitat di varie specie, organismi dallo scheletro in prevalenza calcareo, che tendono a colonizzare gli oggetti solidi disponibili. Quindi quando immaginiamo le paratoie del Mose dobbiamo vederle non solo nella loro vulnerabilità alla ruggine, che è comunque inevitabile, ma soprattutto nel ripetitivo, costante confronto con i sedimenti del fondale marino-lagunare. Le paratoie sono e saranno sempre, senza interruzione alcuna, smerigliate dalla dinamica dei sedimenti e colonizzate dalle specie locali. E non è affatto detto che la dinamica sia sempre uguale a se stessa: cicli naturali potrebbero modificare in modo apparentemente insensibile la direzione e la forza dei flussi.

I cassoni delle paratoie, logorati dalla ruggine, possono richiedere complicate cure e sostituzioni. In particolare le cerniere che permettono il movimento delle paratoie sono allo stesso tempo l'elemento più essenziale e il più esposto al danno, sia per il movimento standard dell'alza-abbassa, sia per la risposta al moto ondoso, che per definizione è sì ritmato ma irregolare e sorprendente (appare già così in Omero). Che cosa accadrà quando concrezioni calcaree irrigidiranno la rotazione delle cerniere? O, nell'ipotesi più elementare, quando per puro caso l'impaccio sarà più insidioso in un punto qualsiasi determinando un'asimmetria del movimento?

Il peso di questo interrogativo é reso drammatico dalla notizia secondo cui per la realizzazione delle cerniere é stato adottato il metodo più insicuro e meno costoso. Si dà ormai per scontato che, dopo anni di immersione inattiva nell'acqua salata, le cerniere non danno più garanzia di efficacia e durata. E allora si capisce anche la riluttanza dei tecnici a eseguire anche solo delle prove di movimento. Non é azzardato pensare che abbiano un'autentica paura degli effetti.

Ma lo sguardo deve allargarsi dalle bocche di porto all'intera laguna. Molti esperti hanno già esposto fondate critiche alla scelta di dragare in profondità i percorsi delle grandi navi dedite a compiti industriali o turistici. La ragione é semplice: in fondali così delicati come quelli lagunari il dragaggio innesca dinamiche dannose per la stabilità delle isole e della città. La Venezia antica ha sempre posto la massima cura per evitare di ricevere direttamente il moto ondoso: i canali per le navi sono una via brutale attraverso cui il mare si fa sentire direttamente su tutto ciò che dovrebbe essere accuratamente protetto.

Si legge nell'intervista di Alberto Zorzi su Corriere.it che l'ingegner Francesco Ossola dichiara il timore nei confronti del moto ondoso. Viene da chiedersi se progettisti e gestori abbiano mai considerato che cos'è l'onda marina. Pensavano forse che le paratoie non dovessero fronteggiare il moto ondoso? E che cosa allora? Perfino le onde della laguna possono essere temibili, figurarsi le onde marine...

Lunghi anni di gestazione e pacchetti di miliardi spesi non hanno prodotto ancora neanche la possibilità dei collaudi. Spudoratamente ci viene detto che l'opera è compiuta al 93-95% e quindi va finita. Non crediamo che la previsione corrisponda a verità. E non sappiamo se augurarci che l'opera venga finita. Non è imprudente immaginare che se sarà terminata la sua vita normale sarà una continua, costosissima attività di manutenzione e arrangiamento. Candidamente Ossola dice al Corriere che non si poteva fare il tentativo manuale di muovere le paratoie in tutte le bocche perché gli uomini attivi potevano coprire solo una bocca; e garantire la copertura di tutte l bocche è un costo allo stato attuale impossibile. Aspettiamoci il peggio e speriamo che quando l'opera sarà finita le paratoie non debbano fronteggiare la veemenza del moto ondoso. Ma é proprio quello che dovranno fare. Chiederemo clemenza al mare?

Resta aperta la questione dell'innalzamento del livello del mare...

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Pancho Pardi