Ai confini della nostra coscienza

di Massimiliano Perna - ilmegafono.org - 28/05/2017

Siamo Occidente e incarniamo perfettamente l’immagine egoista e ostile che gli altri dipingono di noi. Un’immagine parziale, naturalmente, che non tiene conto di quel buono che c’è e che ogni giorno prova a operare nel sociale, nel sostegno, nell’assistenza, nella cultura della solidarietà e dell’uguaglianza. Ma purtroppo la nostra faccia, quella che mostriamo di più al mondo, è la peggiore. Una faccia ipocrita che si bagna di lacrime di fronte ai tanti bambini uccisi a Manchester, ma che rimane indifferente davanti agli oltre trenta bambini annegati nel Mediterraneo. Quel Mediterraneo che abbiamo consapevolmente disegnato come un mostro malvagio che divora corpi, sogni, speranze, vite.

Ma il mare non è mai malvagio. Il mare è solo un luogo naturale, un tappeto d’acqua che cambia umore a seconda dei venti. È un luogo di passaggio nel quale si è mossa la storia del mondo, con i suoi desideri di scoperta, con le battaglie e le guerre feroci, con le flotte di pescatori a caccia di cibo, con i barconi pieni della disperazione di gente scappata dall’inferno, dalla violenza e dalla miseria. Il mare è solo uno spazio naturale fra due terre: è l’uomo ad averlo trasformato in un orrendo campo di morte.

In un confine tra l’umano e il disumano, dove i trafficanti mandano a morire i loro “clienti” e spesso li uccidono per un nonnulla, una parola incompresa o una timida rimostranza. Un confine armato, dove le motovedette libiche sparano addosso ai disperati, li riacciuffano per riportarli dentro i lager nei quali l’Europa e l’Italia vogliono che rimangano. Un confine umido e spietato, nel quale un barcone con centinaia di persone viene lasciato affondare dalle autorità italiane per una ottusa prova di forza con le autorità maltesi. Il Mediterraneo è il confine ultimo della nostra coscienza collettiva, è una grande distesa d’acqua nella quale specchiare le nostre coscienze individuali. Sporche di indifferenza e di ipocrisia.

In quel tratto di mare stiamo assistendo a un genocidio e lo facciamo con la distrazione di chi ha altro a cui pensare (la propria sicurezza, il proprio benessere). Quelle dei naufragi sono diventate semplici notizie che quotidianamente ci giungono e che si aggiungono alle tante tragedie che avvengono al di là del mare, su quelle terre africane o mediorientali nelle quali la violenza sta spazzando via intere generazioni, distruggendo città, nazioni, storie, bellezza. Siamo indifferenti e distaccati perché le nostre responsabilità non siamo pronti ad ammetterle. Sono troppo pesanti. Non sentiremo mai il ministro Minniti prendersi la colpa di quello che sta avvenendo in mare e al di là di esso, di quelle morti che sono parte di un genocidio che ha centinaia di carnefici.

Eppure quei morti sono la conseguenza di scelte politiche precise, di azioni studiate. Così come lo sono gli stupri, le torture, le violenze che avvengono ogni giorno in Libia in maniera meno visibile rispetto ai corpi che galleggiano tra le onde. L’indifferenza e il silenzio si interrompono solo quando si può in qualche modo attribuire la colpa a qualcun altro, anche in maniera grottesca. In quel caso allora parte il coro delle cornacchie, diretto da giornalisti che andrebbero radiati e puniti e che invece fanno da amplificatore alla violenza del linguaggio della politica, sempre meno capace di essere oggetto di distinzione, di differenziazione. L’attacco alle Ong ne è stato l’esempio. Hanno parlato tutti, anche coloro i quali non si sono mai interessati di immigrazione.

L’irresponsabilità di un magistrato dalle imbarazzanti visioni politiche è stata utilizzata per sfregiare l’unica faccia buona che ci rimane: la solidarietà. Solidarietà alla quale le Ong da mesi accompagnano denunce su quanto visto in mare, sulle strategie folli di Frontex, che sta lasciando le acque di competenza della Libia nelle mani dei libici, ossia di uomini spietati che sparano per intimidire e che riportano i profughi nel paese nordafricano, dove vengono trattati senza il minimo rispetto della dignità e della vita umana.

Le Ong denunciano tutto questo, nonché le carenze strategiche e le responsabilità in alcuni naufragi a carico delle istituzioni europee e del loro programma di soccorso in mare. Ecco perché danno fastidio e perché si è scelto di gettare fango sul loro operato, attraverso allusioni o articolati e maldestri formalismi di legge e non certo attraverso prove concrete. Devono sparire, punto. Perché l’obiettivo di questa Europa indifferente e ipocrita è di risolvere la questione immigrazione lasciando che i migranti restino soli, abbandonati nelle mani di trafficanti spietati e di eserciti di criminali. Non importa del loro destino, quel che importa è che non arrivino. Perché fermare gli arrivi significa saziare l’appetito marcio delle pance flaccide degli elettori.

Allora meglio coprire tutto, meglio mostrare la faccia peggiore, meglio voltare le spalle e assecondare la retorica della paura, della sicurezza, piangendo per dei bambini europei della cui morte non ci si sente responsabili, ma non versando una lacrima né spendendo un minuto di cordoglio per bambini africani della cui morte siamo oggettivamente e palesemente colpevoli. Questa è l’Europa di oggi. Un’Europa di raffinati e macabri assassini, in giacca e cravatta, al servizio di un mercato elettorale nel quale la domanda, anche la più becera, assassina e disumana, va accontentata. In cambio del potere.

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