Nella mattinata di
giovedì 27 ottobre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha
approvato la sua quarta risoluzione sulla Libia, proposta
congiuntamente, secondo l’Ansa, da Russia e Gran Bretagna.
[Tags: cessazione ostilità in Libia risoluzione Onu; termine no-fly zone; fine intervento aereo in Libia; guerra aerea; termine missione Nato in Libia]
Nonostante la richiesta di prorogare la missione, presentata alla Nato dal leader del CNT Mustafa Abdel Jalil e all’Onu dall’esponente libico Ibrahim Dabbashi, la risoluzione, approvata col voto unanime dei quindici paesi membri, mette fine alle famose misure di “protezione dei civili” e di divieto di sorvolo deliberate il 17 marzo con la risoluzione 1973, che scatenò l’attacco aereo sulla Libia.
Ma
c’è un aspetto non meno importante di questo atto del Consiglio di
Sicurezza, che è stato per ora messo completamente in ombra dai media
internazionali. A differenza della risoluzione 2009
del 16 settembre, che si disinteressava sostanzialmente dei crimini di
guerra dei ribelli, allora in pieno corso con l’assedio di Sirte e di
Bani Walid, questa mette addirittura in primo piano le violazioni
compiute dalle autorità libiche e dagli insorti.
Essa richiama infatti esplicitamente nel preambolo la risoluzione 1970 del 26 febbraio, quella che deferiva la situazione libica al Tribunale Penale Internazionale, con queste parole:
“Richiamando la sua decisione di
deferire la situazione in Libia al Procuratore del Tribunale Penale
Internazionale, e l’importanza della collaborazione per assicurare che
quanti si sono resi responsabili di violazioni dei diritti umani e del
diritto internazionale umanitario o complici di attacchi diretti alla
popolazione civile siano chiamati a rispondere delle loro azioni”.
Fin qui si potrebbe pensare ad un’allusione alla mancata cattura del figlio di Gheddafi Saif ul-Islam.
Ma
il testo prosegue esprimendo “grave preoccupazione per le persistenti
notizie di rappresaglie, detenzioni arbitrarie, inique detenzioni ed
esecuzioni extragiudiziali in Libia”: e qui è evidente il riferimento
alle denunce di Amnesty ed alla più famosa fra le presumibilmente
numerosissime “esecuzioni extragiudiziali” perpetrate dagli insorti,
ossia l’uccisione di Gheddafi.
Ma
non basta. Il preambolo continua reiterando l’appello del Consiglio di
Sicurezza “alle autorità libiche perché promuovano e proteggano i
diritti umani e le libertà fondamentali, comprese quelle degli
appartenenti a gruppi vulnerabili, adempiano ai loro obblighi in base al
diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e
le norme sui diritti umani," ed esortando "al rispetto per i diritti
umani di tutte le persone in Libia, compresi gli ex-funzionari e i
detenuti, durante e dopo il periodo transitorio”.
Basta consultare la risoluzione 1970 per constatare che i termini sono gli stessi con cui quella condannava Gheddafi e il suo governo.
Ma
ciò che più conta sono i paragrafi 3 e 4 del dispositivo. Il primo
“Esorta fortemente” le autorità libiche ad astenersi e fare astenere da
rappresaglie, detenzioni arbitrarie, ed esecuzioni extragiudiziali e
“sottolinea la responsabilità delle autorità libiche per la protezione
della popolazione”, esattamente come faceva la 1970 con Gheddafi. Il
par. 4 rincara la dose, esortando “tutti gli Stati Membri a collaborare
strettamente con le autorità libiche nei loro sforzi per mettere fine all’impunità
[corsivo mio] per le violazioni dei diritti umani internazionali e il
diritto internazionale umanitario”, riconoscendo così esplicitamente la
perpetrazione di quegli stessi crimini che, ai sensi della risoluzione
1970, comportano il deferimento al TPI.
Ora,
ai sensi dello statuto del TPI, i presupposti giuridici per il
perseguimento di crimini commessi in uno stato non aderente al suo
trattato istitutivo, quale è la Libia,
sono due: il mancato perseguimento da parte dello stato interessato e
il deferimento al Procuratore da parte del Consiglio di Sicurezza. Non
vi può essere dubbio che questa risoluzione 2016 configuri il secondo
presupposto. Questo significa che, se le autorità libiche non
perseguiranno gli assassini di Gheddafi e tutti gli altri crimini
commessi dagli insorti, il Procuratore del Tribunale è pienamente
titolato a intervenire.
Quanto
precede è espressamente confermato dal capo della Missione Onu di
Supporto in Libia (UNSMIL), nonché Rappresentante Speciale del
Segretario Generale, Ian Martin, che in una conferenza stampa tenuta
lo scorso 20 ottobre, a chi gli chiedeva se le Nazioni Unite avrebbero
indagato sull’assassinio di Gheddafi, rispondeva che “le responsabilità
investigative spettano al Tribunale Penale Internazionale” (sia detto
fra parentesi, il disinteresse di quest'uomo per i crimini degli
avversari di Gheddafi è inquietante).
Cosa
farà dunque il Procuratore del TPI? Staremo a vedere. Il fatto che i
media abbiano messo completamente in ombra la questione non promette
bene, così come il fatto che il deferimento non sia esplicitamente
menzionato nel comunicato Onu che diffonde il testo della delibera.
E’ interessante però che il ministro degli Esteri inglese William Hague abbia sottolineato nel suo comunicato di ieri che
“la risoluzione ribadisce che le autorità libiche hanno il dovere di
tutelare i diritti umani e devono impedire le rappresaglie” aggiungendo
che “questo è vitale”.
E’
interessante, perché sarebbe strano se Hague non percepisse che il
medesimo dispositivo giuridico si potrebbe applicare in teoria anche ai
crimini compiuti dalla Francia e dalla Gran Bretagna, lasciando esenti
solo gli Stati Uniti, che non hanno aderito allo Statuto di Roma e hanno
il veto in Consiglio di Sicurezza.
Chissà
che l’opinione pubblica italiana e internazionale, dopo l’indignazione
suscitata in tanti dall’infamia di Sirte, non sia capace di esercitare
qualche pressione affinché, almeno sui fatti più gravi, i responsabili
siano chiamati a render conto.
Ecco qui di
seguito la traduzione del dispositivo della risoluzione, con i passi
pertinenti del preambolo. L’originale è reperibile qui.
Il Consiglio di Sicurezza
Richiamando le sue risoluzioni 1970 (2011) del 26 febbraio 2011, 1973 (2011) del 17 marzo 2011, e 2009 (2011) del 16 settembre 2011
[…]
Richiamando la sua decisione di
riferire la situazione in Libia al Procuratore del Tribunale Penale
Internazionale, e l’importanza della collaborazione per assicurare che
quanti si sono resi responsabili di violazioni dei diritti umani e del
diritto internazionale umanitario o complici di attacchi diretti alla
popolazione civile siano chiamati a rispondere delle loro azioni,
[…]
Esprimendo preoccupazione per la proliferazione delle armi in Libia e il suo potenziale impatto sulla pace e la sicurezza della regione, e esprimendo altresì la sua intenzione di tornare prontamente ad affrontare tale problema,
Reiterando
il suo appello alle autorità libiche perché promuovano e proteggano i
diritti umani e le libertà fondamentali, comprese quelle degli
appartenenti a gruppi vulnerabili, adempiano ai loro obblighi in base al
diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e
le norme sui diritti umani, ed esortando
al rispetto per i diritti umani di tutte le persone in Libia, compresi
gli ex-funzionari e i detenuti, durante e dopo il periodo transitorio,
[…]
Agendo in base al Capo VII della Carta delle Nazioni Unite,
1. Esprime apprezzamento per i positivi sviluppi in Libia, che miglioreranno le prospettive di un futuro democratico, pacifico e prospero per il paese;
2. Attende con favore il rapido insediamento di un Governo transitorio inclusivo e rappresentativo, e ribadisce
l’esigenza che il periodo transitorio sia caratterizzato da un impegno
per la democrazia, il buon governo, la supremazia della legge, la
riconciliazione nazionale e il rispetto dei diritti umani e delle
libertà fondamentali di tutti in Libia;
3. Esorta fortemente le autorità libiche ad astenersi da rappresaglie, comprese le detenzioni arbitrarie, si appella
alle autorità libiche perché compiano tutti i passi necessari per
prevenire rappresaglie, inique detenzioni ed esecuzioni extragiudiziali,
e sottolinea la
responsabilità delle autorità libiche per la protezione della
popolazione, compresi i cittadini stranieri e i migranti africani;
4. Esorta
tutti gli Stati Membri a collaborare strettamente con le autorità
libiche nei loro sforzi per mettere fine all’impunità per le violazioni
dei diritti umani internazionali e il diritto internazionale umanitario;
Protezione dei civili
5. Decide
che le disposizioni dei paragrafi 4 e 5 della risoluzione 1973 (2011)
cesseranno di aver effetto dalle 23.59 ora locale libica del 31 ottobre
2011;
No-Fly Zone
6. Decide altresì
che le disposizioni dei paragrafi 6-12 della risoluzione 1973 (2011)
cesseranno di aver effetto dalle 23.59 ora locale libica del 31 ottobre
2011;
7. Decide di restare attivamente investito della materia.”
N. B. Prego tutti di non copiare questo scritto e la traduzione senza la mia autorizzazione. Basta riportare il link.
N. B. Prego tutti di non copiare questo scritto e la traduzione senza la mia autorizzazione. Basta riportare il link.
Un aggiornamento (28.10.2011, ore 17.30).
Apprendiamo
adesso che nelle stesse ore in cui il Consiglio di Sicurezza approvava
la risoluzione che precede, Abdul Hafiz Ghoga, vicepresidente e
portavoce ufficiale del CNT annunciava che “chiunque sia responsabile di
questo [la morte di Gheddafi] sarà giudicato e avrà un equo processo”.
Quale sia la vera finalità di questa iniziativa è evidente: evitare che
sia il TPI a giudicare i colpevoli. Il che conferma che il deferimento
c'è. C’è da aspettarsi, o da temere, che i colpevoli siano trattati in
Libia più o meno come i responsabili della strage del Cermis furono
trattati negli Stati Uniti.
Va tuttavia ribadito quanto già rilevato in un precedente post:
le tre principali potenze belligeranti sono anch’esse direttamente
responsabili della morte di Gheddafi, in particolare la mano americana
che ha guidato il Predator a bombardare il suo convoglio. Per il diritto
vigente, questo è un grave crimine di guerra. Ma il diritto vigente,
naturalmente, non lo perseguirà. Ribadisco che, a mio parere, ciò non
significa che il diritto vigente vada buttato a mare perché è solo una
grande presa in giro. Significa che bisogna battersi per renderlo più
equo e più efficace.
Vale la pena di aggiungere che, secondo Impact (vedi qui),
“questa indagine sul presunto omicidio dell’ex-dittatore è il primo
passo di un percorso che comprenderà anche una dettagliata
investigazione sulle ancor più inquietanti circostanze dell’assassinio
di Al Muatassim Al-Qathafi (figlio del dittatore), che sarebbe
stato messo a morte quello stesso giorno da un commando affiliato alle
brigate di Misurata, nonché sulle presunte uccisioni sommarie di più di
trecento lealisti di Gheddafi nella città di Sirte”.
Sarebbe
bene tenere d’occhio anche questo. Non so quale sia la fonte di questa
notizia. Non certo Ghoga, che ieri dichiarava testualmente, in
riferimento alla morte del colonnello: “Ci sono state alcune violazioni
da parte di soggetti che vengono sfortunatamente definiti rivoluzionari.
Sono sicuro che quello è stato un atto individuale e non un atto dei
rivoluzionari o dell’esercito nazionale” (vedi qui
).
Non è un buon inizio
per quegli “sforzi per mettere fine all’impunità” di cui parla la
risoluzione di ieri. Anzi, c’è il caso che Ghoga si sia dato la zappa
sui piedi: perché una dichiarazione come questa dimostra di fatto che lo
stato interessato non intende perseguire tutti gli altri crimini e
configura dunque il secondo presupposto per l’iniziativa della Corte
dell’Aia. Che ci sia qualche speranza di giustizia?
Un'ultima nota
tecnica: quasi tutti gli organi di stampa, italiani e internazionali
(compreso perfino Il Sole-24ore), affermano che questa risoluzione 2016, ha
alleggerito il blocco sui fondi libici, rimosso l'embargo sulle armi e
quant'altro. Non è vero. La risoluzione si limita a richiamare nel
preambolo quanto già disposto in materia con la risoluzione 2009 del 26
settembre. Mi sembra di capire che si tratti di un'errore della
Associated Press, poi ripreso da tutti gli altri.