Un applauso alla violenza, ovvero: perché niente bandiere per la Libia.

di Alberto Cacopardo - 25/05/2011
Sul Foglio dell'altro ieri, Giuliano Ferrara ha pubblicato una roboante “Invettiva contro le anime belle che si sono scordate di Tripoli”. Stia zitto Giuliano Ferrara. Le anime belle sono solo perplesse e confuse, perché i tempi sono duri da decifrare. Ma sono tutt’altro che estinte: eccoci qui. Noi teniamo la bandiera della pace caparbiamente levata nel vento, aspettando.

Sabato scorso, una giovane donna di Rawa, “associazione rivoluzionaria delle donne afghane”, era a Fiesole per parlare di Afghanistan. Una signora del pubblico le ha chiesto come sperava che un’organizzazione così piccola e inascoltata potesse cambiare il destino del paese. Samia Walid ha risposto che la strada maestra è quella dell’istruzione, di cui tutti gli afghani sono assetati. Dopodiché ha aggiunto che, tuttavia, se “il popolo afghano” decidesse finalmente di levarsi in armi contro i “fondamentalisti”, i “signori della guerra” e le forze di occupazione, allora Rawa sarebbe certamente in armi al suo fianco.

Uno dei presenti ha preso la parola per osservare che, se la prima parte della risposta era ampiamente condivisibile, la seconda lo trovava in radicale dissenso. Sia perché in generale, ha argomentato, l’uso della violenza a fini politici dev’essere condannato senza eccezioni, sia perché in un paese come l’Afghanistan, che è in guerra da più di trent’anni, sarebbe ora di mettere fine alla carneficina.

La giovane donna ha risposto: nobile certamente è il proposito di chi pretende di rinunciare alle armi, ma quando ci si trova in situazioni come quella afghana, come si fa a mantenerlo? E ha fatto l’esempio di un episodio di appena due giorni prima, precisamente di giovedì 18 maggio, quando a Taloqan, nel nord-est del paese, una banda Nato a guida americana ha fatto irruzione nottetempo in una casa uccidendo “senza ragione” quattro persone, fra cui due donne, suscitando una generale indignazione che è esplosa in una manifestazione spontanea sulla quale si è sparato, facendo dodici morti e diverse decine di feriti.

(Una <foto> di questa manifestazione sembra “Il quarto stato” di Pellizza da Volpedo).

Quando si assiste a simili ingiustizie, ha argomentato accoratamente Samia, come si fa a non prendere le armi?

La risposta è stata accolta da un applauso. Non fragoroso, in verità, ma è stato l’unico applauso a scena aperta dell’incontro.

Quell’applauso alla violenza è stato per me una specie di pugno allo stomaco. Ma come? Non lo sappiamo che tutte le guerre si pretendono giuste? Non lo sappiamo che chiunque prenda le armi è sempre fermamente convinto di dover combattere una tremenda ingiustizia? Non sappiamo che è proprio questo che li spinge a uccidere? Non è “senza ragione” che quella banda è entrata in quella casa, ma perché doveva eliminare dei pericolosi avversari della giustizia e della democrazia, militanti addirittura dell’Islamic Movement of Uzbekistan, una bieca accolita di “fondamentalisti”, sostenuta da qualche “signore della guerra” che da tempo minaccia la pubblica sicurezza nel Takhar…

Sicuramente quei soldati si battevano per una causa che credevano giusta. Come sicuramente Rawa si batterebbe per una causa che crede giusta.

E in un paese come l’Afghanistan, dove da trent’anni ci si ammazza a smitragliate in nome di cause giuste, noi applaudiano all’intento di aggiungere un’altra giusta causa per cui ammazzare tutti gli altri, “fondamentalisti”, “signori della guerra” e amici delle “forze di occupazione”?

Quell’applauso mi ha profondamente addolorato anche perché additava almeno una delle ragioni per cui non si vedono bandiere della pace per condannare la guerra di Libia. Sarà anche perché Napolitano ha appoggiato l’intervento, sarà anche perché la televisione non ne parla più, sarà anche perché c’è una risoluzione ONU, sarà anche perché il PD non s’indigna, ma se non si vedono bandiere per la Libia è soprattutto, forse, perché quella guerra è stata percepita come guerra per una causa giusta: liberare un popolo da un tiranno che minacciava di sterminarlo. E siccome la causa è giusta, guerra sia.

Non importa se la risoluzione è in conflitto con lo Statuto dell’ONU e col buon senso, non importa se è stata pesantemente violata dalle potenze belligeranti, non importa se nessuno può conoscere la volontà del “popolo libico”, non importa se l’informazione è diventata propaganda, la causa è giusta, è giusto combattere, lo dice Napolitano.

Sul Foglio di ieri, Giuliano Ferrara ha pubblicato una roboante “Invettiva contro le anime belle che si sono scordate di Tripoli”, domandandosi come mai tutti quei pacifisti che si erano riversati sulle piazze per avversare le giustissime guerre americane in Kossovo, in Afghanistan e in Iraq, adesso, davanti a questa guerra così sporca e ingiustificabile, sono tutti ammutoliti.

Non essendo né assiduo lettore, né devoto ascoltatore di Ferrara, non mi è tanto chiaro perché questa guerra gli sembri così sporca, dato che non lo spiega nell’articolo. Posso naturalmente immaginarlo. Ma quali che siano le sue ragioni, non è certo un Ferrara che può arrogarsi il diritto di lanciare invettive contro quelle anime belle, dopo aver plaudito a tutte le guerre più brutte degli ultimi vent’anni. Infatti la sua argomentazione zoppica e la sua invettiva non lo porta a nessuna conclusione sulle ragioni di questo silenzio, se non ad una sconclusionata deprecazione della volatilità delle opinioni pubbliche, con annessa evocazione degli idola tribus, degli idola fori e perfino, bontà sua, degli idola specus.

Qui non c’è da lanciare nessuna invettiva. C’è solo da constatare che il caso della Libia ha attorcigliato il pensiero di molte persone di buona volontà, che non hanno saputo giudicare.

Una delle ragioni è che queste persone di buona volontà, come quelle che hanno applaudito Samia, non si sono mai decise a riconoscere che, nella nostra epoca, è giunta l’ora di mettere fine per sempre al ricorso alla violenza politica, è giunta l’ora di mettere fine per sempre alle guerre. Male hanno fatto i ribelli di Bengasi a prendere le armi, male ha fatto Gheddafi a usarle contro di loro, male ha fatto il Consiglio di Sicurezza ad approvare un atto che consente a giustizieri autoeletti di perseguire i propri interessi con la forza aizzando una parte contro l’altra per dividere e imperare.

Finché non ci decideremo a dare al mondo un ordinamento radicalmente nuovo, capace davvero di impedire le guerre, ci sarà sempre una causa giusta per cui uccidere e farsi ammazzare. Non si tratta di sognare l’utopia. La strada della pace è un cammino concreto e percorribile. Ciò che occorre è un nuovo Patto fra le Nazioni, che vada oltre quello del ’45 muovendo nella stessa direzione. Sempre di più si sta facendo chiaro che è per questo che ci dobbiamo battere.

Dunque stia zitto Giuliano Ferrara, la sua anima brutta la metta a tacere. Le anime belle sono solo perplesse e confuse, perché i tempi sono duri da decifrare. Ma sono tutt’altro che estinte: eccoci qui.

Noi siamo quell’uomo che si è alzato per dire il suo dissenso da Samia. Noi siamo quelli che non si sono scordati di Tripoli. Noi stiamo in piedi davanti ai carrarmati. Noi siamo quelli che mettono sotto accusa tutte le guerre, senza deflettere. Che mettono sotto accusa la violenza, senza demordere. Noi portiamo una profezia sull’avvenire. Noi teniamo la bandiera della pace caparbiamente levata nel vento, aspettando.

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