E’ tutto collegato, come spiegava il mitico professor Sassaroli all’architetto Melandri
che chiedeva la mano di sua moglie Donatella nel film Amici miei,
sbolognandogli tutto il cucuzzaro: “Vede, è tutta una catena di affetti
che né io né lei possiamo spezzare. Lei ama mia moglie. Mia moglie è
affezionata alla bestia, il cane Birillo, che mangia un chilo di
macinato al giorno, un chilo e mezzo di riso e ogni mattina bisogna
portarlo a orinare alle 5 sennò le inonda la casa. Birillo adora le
bambine. Le bambine sono attaccatissime alla governante, tedesca, due
anni di contratto, severissima, in uniforme. Insomma, chi si prende
Donatella si prende per forza tutto il blocco”.
Ecco, chi
censura lo scoop dell’Espresso innesca una catena di censure che
nessuno può spezzare: gli tocca censurare tutto il blocco. Spatuzza
dice che Schifani era il trait d’union tra i Graviano e Berlusconi & Dell’Utri. In un colpo solo si beve il presidente del Senato, il presidente del Consiglio e il senatore che inventò Forza Italia. Passi per Dell’Utri e i Graviano,
che ci sono abituati: ma come si fa a dare una notizia che accosta B. e
Schifani a Cosa Nostra senz’aver mai scritto un rigo in materia?
Dandola, si dovrebbe accompagnarla con un commentino, tipo quello in
cui tre mesi fa un giornale a caso, il Corriere della sera, chiedeva
conto e ragione a Di Pietro di una foto del ’92 che lo ritraeva a cena
con una decina di ufficiali dei carabinieri e con Bruno Contrada,
all’epoca numero 3 del Sisde e non ancora arrestato per mafia. O tipo
quello in cui un mese fa un giornale a caso, il Corriere della sera,
chiedeva conto e ragione al presidente della Camera Fini di un
alloggetto affittato dal cognato a Montecarlo.
E una richiesta
di spiegazioni a Schifani e a B. non basterebbe ancora a pareggiare il
conto, visto che è impossibile paragonare un’inchiesta per mafia con
una foto con Contrada e con un alloggetto di 65 metri quadri. Dopodichè
un giornale a caso – poniamo sempre il Corriere, ma anche Repubblica –
dovrebbero spiegare perché attaccarono un giornalista, di cui ci sfugge
il nome, che due anni fa raccontò in tv gl’imbarazzanti trascorsi
societari di Schifani con vari tipetti poi condannati per mafia. Meglio
dunque ignorare la notizia (come fa il Corriere) o nasconderla in un
trafiletto a pagina 25 (come fa Repubblica). E,
l’indomani, censurare il comunicato di risposta del presidente del
Senato (come fanno sia il Corriere sia Repubblica sia tutti gli altri
giornali e tg d’Italia, a parte Il Fatto). Tutto ciò
avviene in una sedicente democrazia dove, non appena un politico tira
una scoreggina, emette un ruttino, dichiara che oggi piove o tira
vento, plotoni di telecamere e cronisti da riporto si precipitano a
raccogliere e a rilanciare urbi et orbi la scoreggina, il ruttino e la
dichiarazione. Anni fa Schifani, allora capogruppo di Forza Italia,
diramò un comunicato per rivelare che, non trovando un tavolo libero al
ristorante, aveva “fatto la coda come un cittadino qualunque”. Notizia
epocale, subito ripresa con ampio risalto dal Corriere.
Di
recente, quando un lieve terremoto ha scosso le isole Eolie, giornali e
tg pendevano letteralmente dalle labbra dello Schifani, che in quel
momento passava di lì sul suo veliero, a riprova del fatto che le
disgrazie non vengono mai sole. Poi la seconda carica dello Stato
chiede di essere interrogata dalla Procura di Palermo sulle accuse di
mafia che gli lancia Spatuzza e nessun organo d’informazione lo scrive,
così nessun cittadino lo viene a sapere, salvo i fortunati lettori del
nostro giornale. Gentile presidente del Senato, accetti un consiglio da
amici: la prossima volta che vuol parlare dei suoi rapporti con la
mafia, lasci perdere i comunicati stampa. Ci dia un colpo di telefono:
facciamo prima.
Sempre più difficile. Dopo aver censurato lo scoop dell’Espresso sulle nuove accuse di mafia lanciate da Spatuzza a Schifani, la libera stampa italiana si è vista costretta a censurare anche la replica del presidente del Senato alle accuse di Spatuzza