I crimini israeliani si susseguono in questo agosto rovente, l’invasione di Gaza viene pianificata, le immagini macabre del genocidio in corso ci raggiungono sulle spiagge dove si continua a gioire di piccoli piaceri, a vivere distrattamente come se l’apparenza di un’umanità libera e spensierata, che ama i propri figli e gli animali domestici, piena di buoni sentimenti verso il cameriere di turno a cui lasciare la mancia, potesse resistere all’urto della cruda realtà. Ci sono due guerre in Europa e nel Mediterraneo: non in lande desolate che dobbiamo scoprire sorpresi sul mappamondo, ma nel nostro vicinato. Accanto a noi i ragazzi ucraini al fronte continuano a essere macellati in una guerra che non ha obiettivi strategici ed è già persa. In Palestina le torture inenarrabili di un popolo, di bambini e donne in maggioranza, non hanno fine, per mano del nostro alleato storico Israele, l’unica democrazia del Medio Oriente, come recita il catechismo occidentale. Del resto un ministro del governo Meloni ha comunicato recentemente la sua brillante sintesi, condivisa da una maggioranza di persone per bene, i benpensanti, coloro che fanno le code all’autobus o in un ristorante, esprimendo un grande senso civico: “La Russia è l’aggressore e Israele è l’aggredito”. Date le due minacce, il diabolico Putin e il terrorismo di Hamas, possiamo tornare ai nostri piatti stracolmi mentre la Democrazia trionfa, scannando bambini palestinesi e giovani ucraini.
Ritornando a quanto affermavo nel precedente articolo sulle variabili indipendenti in politica internazionale, mi sembra evidente come le classi dirigenti europee, non a loro nome ma sotto l’influenza di potentati che le coprono, osino oggi ostacolare il tentativo di accordo tra Putin e Trump in Alaska e chiedano a gran voce la partecipazione al vertice di un politico fantoccio, Zelensky, in rappresentanza loro più che del popolo ucraino. Oppure vogliamo credere che Macron, Starmer e Merz, instabili nei loro Paesi, in grado di rimanere a galla in virtù di tattiche imbarazzanti, siano oggi degli statisti che alzano la testa contro l’impero per difendere i valori democratici? Gli stessi che hanno subìto l’attacco ai gasdotti di proprietà anche tedesca e i dazi trumpiani, che balbettano patetiche contromisure accettando di fatto il genocidio a Gaza, bene, questi stessi sarebbero ora statisti che si oppongono nella Nato all’egemone statunitense? Se crediamo in questa narrativa, crediamo a Babbo Natale.
L’Europa e Zelensky non sono variabili indipendenti. Si oppongono alla “pace sporca” per difendere interessi, molto più sporchi, delle oligarchie mondiali. Sono stati messi lì e resistono aggrappati alla loro poltrona per questo. La Meloni, anche lei con le mani sporche di sangue palestinese, si accoda alle sanzioni alla Russia come arma di pressione al fine di ottenere un negoziato più favorevole all’Ucraina. È più scaltra di tanti e si aggrappa alla tesi più realistica e convincente. Peccato che il 18° pacchetto di sanzioni non influirà sul conflitto se non perpetuandolo e convincendo la Russia ad avanzare ancora e a conquistare nuovi territori. Non lo dicono i filoputiniani, ma la realtà, l’esperienza dei passati tre anni. Gli omuncoli al governo dell’Europa condannano Yaroslav, un giovane ucraino al fronte come Zahir a Gaza, aiutati dai pennivendoli che pullulano e dalla morte delle nostre coscienze.
Noi, i filoputiniani, quelli che amano il popolo ucraino e che per difendere le proprie analisi non prendono prebende dall’establishment, quelli sgridati da due anni perché osano parlare di genocidio, noi auspichiamo l’accordo in Alaska, basato sul riconoscimento della neutralità dell’Ucraina, dei territori conquistati a est del Dniper, sull’arresto immediato all’avanzata russa, sull’accettazione da parte di Mosca di un’Ucraina democratica vicina all’Europa (ma non pedina militare antirussa), sul ritiro delle sanzioni. Vorremmo anche la fine immediata di ogni cooperazione politico-militare ed economica con Israele, Stato genocida, da portare di fronte alla Cig come chiedono Sud Africa e Brics.
Purtroppo, data l’opposizione Usa, non sarà possibile un’azione di forza in Europa, Turchia, Paesi arabi moderati per impedire l’invasione di Gaza, né sarà possibile, come suggeriscono alcuni, che l’Assemblea generale dell’Onu grazie alla risoluzione 377/A del 1950 Uniting for peace avochi a sé, data l’immobilità del Consiglio di Sicurezza, le misure coercitive previste dal capitolo VII della carta e invii a Gaza i caschi blu contro il terrorismo di Netanyahu. I rapporti di forza contano e nessuno, né la Russia né la Cina, oserebbe sfidare Israele, pedina Usa e potenza sponsorizzata che tramite la lobby di Israele condiziona la politica americana. Siamo realisti e disperati. La demistificazione del linguaggio del potere continua senza grosse illusioni e concorre forse nel lungo periodo a una trasformazione culturale, prima che politica, della società occidentale.