PER UNA PACE INGIUSTA

di Raniero La Valle - 09/02/2024
Una riconciliazione tra palestinesi e israeliani che renda possibile la loro convivenza in un'unica terra non è oggi una iperbole umanitaria né una opzione del buon cuore ma è una soluzione politica, l'unica soluzione politica che finalmente dopo una notte durata più di settant'anni possa porre termine alla tragedia palestinese e anche nostra.
Credo che dobbiamo alzare il livello di coscienza riguardo alla tragedia in atto a Gaza. La guerra di Gaza è di fatto una radiografia della situazione mondiale, è una confessione sullo stato del mondo.

L'evento di Gaza non è una guerra, ma è un genocidio, e come tale rappresenta il punto di caduta della nuova concezione della guerra quale è stata adottata a partire dalle scelte strategiche sulla sicurezza compiute degli Stati Uniti dopo gli attentati alle Torri gemelle dell'undici settembre 2001. In quel frangente veniva affermato che non era più sufficiente la dissuasione dall'aggressione affidata alla potenza militare pronta all'uso e fornita di armi di distruzione di massa: questo non bastava più, una tale strategia veniva considerata ormai insufficiente a garantire la sicurezza. Veniva adottata invece la dottrina della prevenzione basata sul fatto che “la migliore difesa e l'offesa”, che “non si poteva permettere agli avversari di sparare per primi”, che occorreva un’azione “anticipatoria persino nell'incertezza del luogo e dell'ora dell'attacco da parte dei nemici”.

Nei documenti del 12 ottobre 2022 firmati da Biden e dal capo del Pentagono, Loyd Austin, la difesa veniva fatta consistere nella “competizione strategica” per il dominio, dove l’ultimo nemico da abbattere, entro il decennio, era considerata la Cina. Ed è sulla base di questa concezione della “difesa” che ora il segretario di Stato americano Blinken offre una completa copertura ad Israele per la sua guerra ad oltranza contro Hamas.

È come se avessimo perduto la lezione non solo della Shoà, ma di tutta la seconda guerra mondiale con i suoi 60 o 70 milioni di morti. Se a Gaza su una popolazione di 2 milioni e duecentomila abitanti siamo arrivati a decine di migliaia di morti e feriti e un’intera compagine etnica estirpata e distrutta, che cosa sarà mai quando si giungerà a colpire l’obiettivo finale, come il Corriere della Sera chiama il nemico ucciso, rappresentato da un miliardo e 400 milioni di cinesi?

Ebbene, la strage in corso a Gaza dimostra che con tale impostazione ogni guerra diventa un genocidio. Se infatti nella discrezionale percezione della minaccia l'imperativo nazionale della sicurezza è quello della prevenzione, la certezza del raggiungimento dell'obiettivo sta solo nella distruzione anche fisica dell’avversario.

Questo vuol dire che i mezzi tradizionali per porre termine alle guerre non funzionano più. Ormai c’è una sola uscita dalla guerra, che non è la vittoria, ma la riconciliazione. Questa è la vera risposta all’erompere della crisi di Gaza: la riconciliazione tra ebrei e palestinesi, ma anche di palestinesi ed arabi con i fratelli semiti del popolo ebreo della diaspora. Come si fa? Non con le armi, ma nemmeno solo col diritto patrocinato dall’ONU.

Ci vuole la pace, ma non una pace assoluta come sono accusati di volere i pacifisti, ci vuole una pace anche imperfetta, relativa, non una giusta pace, ma ci vuole una ingiusta pace. Perché è chiaro che oggi una pace fatta in queste condizioni sarebbe una pace ingiusta per i palestinesi, ma anche per i coloni, che pensavano di avercela fatta con i loro insediamenti, sarebbe una pace ingiusta perché ancora non in condizioni di costituire i due Stati per i due popoli, sarebbe ingiusta perché non sarebbe in grado di garantire, contro il dr. Stranamore di turno, l’astensione dall’uso dell’atomica e la pace nel mondo. Eppure questa pace ingiusta è l’unica che oggi può salvarci, come ci ha salvato durante la guerra fredda.

Una riconciliazione tra palestinesi e israeliani che renda possibile la loro convivenza in un'unica terra non è oggi una iperbole umanitaria né una opzione del buon cuore ma è una soluzione politica, l'unica soluzione politica che finalmente dopo una notte durata più di settant'anni possa porre termine alla tragedia palestinese e anche nostra.

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