Sull'emergenza Salerno-Catanzaro

di Daniela Gaudenzi - 08/12/2008
Grande allarme e costernazione per il rischio concreto di una giustizia italiana costretta ad esibire la scritta “Chiusa per fallimento” sono stati espressi da molti commentatori, tra cui Giuseppe D’Avanzo, sulle pagine di Repubblica a seguito della “guerra tra le procure”, quella di Salerno e quella di Catanzaro sul “caso De Magistris”

Sotto la dicitura “caso De Magistris” c’è, sarebbe bene ricordarlo, un’inchiesta giudiziaria molto scomoda e potenzialmente dirompente per la casta politico-affaristica, un caso di avocazione senza precedenti, un procedimento disciplinare chiuso in modo a dir poco discutibile dal CSM  con una condanna “esemplare”per il titolare dell’inchiesta, scippato della medesima. Ora tutto  puntualmente torna, per una incoercibile nemesi, a turbare in primo luogo i soggetti istituzionali che avevano liquidato con qualche eccesso di disinvoltura e di ipocrisia, una delle pagine peggiori di insabbiamento giudiziario con tanto di condanna esemplare preannunciata per “il cattivo magistrato”,  reo di aver “interpretato e vissuto una professione come una missione”.

 

Ha ritenuto di dover intervenire, addirittura con tre comunicati in un giorno il capo dello Stato e non nella veste di presidente del CSM, ma di garante dell’equilibrio tra poteri, precisando che si è limitato a chiedere non atti dell’indagine, ovviamente, ma “notizie procedurali” e non processuali sulla vicenda.  Si è sentito in obbligo di intervenire, anche perché chiamato in causa, Nicola Mancino il vice-presidente del CSM, già presidente della sezione disciplinare che ha condannato De Magistris, ritenuto come si ricorderà  “cattivo magistrato” insieme a Clementina Forleo in via preventiva da membri laici dell’organo di autogoverno, come Letizia Vacca.

 

Dalla agenda del factotum, Antonio Saladino, rappresentante di spicco di CL e della Compagnia delle Opere in Calabria, e cardine di Why Not per i suoi rapporti trasversali e continuativi con l’intero mondo politico, magistrati e imprenditori vicini alla mafia, generali e vescovi dediti all’affarismo, risulta anche una telefonata di 138 secondi dall’utenza di Mancino a quella di Saladino. Il vice-presidente del CSM, esibendo a sua volta le sue agende ingiallite, sostiene che quella telefonata non la fece lui ma il suo collaboratore di allora Angelo Arminio che conferma. Ma c’è anche la testimonianza della ex socia di Saladino, che ha poi deciso di vuotare il sacco dando impulso all’indagine, la quale precisa: “Nel corso di questi anni in almeno tre occasioni Antonio Saladino ha avuto modo di riferirmi di incontri avuti con Nicola Mancino anche quando era presidente del Senato”.

 

La circostanza che poi il medesimo Saladino smentisca qualsiasi conoscenza con Mancino e contemporaneamente, dopo che dalle intercettazioni disposte da De Magistris risultano i suoi contatti con tutta la geografia parlamentare ai massimi livelli, senta prorompente l’esigenza di dichiarare che vice-versa conosce Di Pietro, sembra interessante per valutare l’attitudine del personaggio ad adeguarsi alle  “istanze del momento”.  Mancino ha commentato con soddisfazione “Saladino dice la verità, anche gli indagati possono dirla”.

 

Il CSM in seduta straordinaria ha convocato i capi delle due procure e la prima Commissione presieduta da Ugo Bergamo ha disposto la procedura di trasferimento per i capi degli uffici di Salerno e Catanzaro, Luigi Apicella ed Enzo Jannelli sempre rigorosamente all’insegna di “questo e quello per me pari sono”.  Martedì 9 dicembre si conosceranno le motivazioni del provvedimento, ma quello che al momento risulta a dir poco sconcertante è che di una seduta “secretata” e di una vicenda di cui ci si guarda bene dal far conoscere i fatti da cui prende impulso, trapela con enfasi che i PM di Catanzaro sarebbero stati “denudati” dai colleghi di Salerno durante le perquisizioni, in stile Guantanamo o Abu Grhaib.

 

E ovviamente alla indiscrezione “inquietante” si accompagna immediatamente il commento di Mancino “cose sconcertanti”. 

 

Strano invece che a livello istituzionale nessuno sia minimamente sconcertato dall’atto di insubordinazione della procura di Catanzaro che ha reagito alla regolare e legittima inchiesta della Procura di Salerno, competente ad indagare su Catanzaro in quanto investita di un’indagine difficile e complessa che vedeva Luigi De Magistris nelle vesti sia di imputato che di denunciante, con gli avvisi di garanzia per abuso di ufficio contro i colleghi di Salerno e con il contro-sequestro degli atti.

 

E’ strano anche che nessuno, nemmeno tra i commentatori, sottolinei come la procura di Salerno sia intervenuta con il blitz, dopo oltre un anno di indagine che ha portato all’archiviazione di tutti i capi di imputazione a carico di Luigi De Magistris, e solo dopo molte richieste, andate a vuoto, di acquisizione dei documenti oggetto del sequestro.  E’ ancora abbastanza strano che solo su La Stampa  di domenica 7 dicembre vengano riportati alcuni intrecci molto interessanti tra Enzo Jannelli e il “presidentissimo” Chiaravallotti allora presidente della regione Calabria protetto secondo De Magistris dal procuratore aggiunto Murone che si opponeva alla sua perquisizione con argomentazioni decisamente speciose. Da una intercettazione del 13 ottobre 2004 risulta come Chiaravallotti si interessasse con  molto zelo del procedimento riguardante dei parenti stretti di Enzo Jannelli, attuale PG di Catanzaro e di Domenico Jannelli definito dal Chiaravallotti “un pezzo grosso della Cassazione”, nonché mandante dell’ “interessamento”.

 

Dell’inchiesta penale aperta a Salerno vi sono ampie tracce anche nelle istanze difensive di De Magistris totalmente e quasi pregiudizialmente respinte  davanti alla sezione disciplinare del CSM che l’ha cacciato da Catanzaro, dopo che era già stato spogliato delle sue indagini e lo ha rimosso anche dalla funzione di giudice monocratico.

 

Forse vale la pena di ricordare che fino al gennaio 2008 la condanna con trasferimento ad altra sede ed altre funzioni era stata riservata a magistrati accusati di aver manipolato inchieste e sentenze per interessi personali, come per esempio tre magistrati di Potenza, oggetto proprio dell’inchiesta “Toghe Lucane”  già sottratta a De Magistris insieme a Why Not, accusati di aver aggiustato indagini e sentenze per ottenere denaro a tasso agevolato o per favorire la carriera di familiari.

 

De Magistris è stato oggetto di un doppio procedimento, quello cautelare d’urgenza promosso dal ministro indagato Mastella e quello disciplinare promosso dalla procura generale della Cassazione, nella persona di Mario Delli Priscoli, che gli ha mosso un’ ulteriore contestazione disciplinare dopo il ricorso dell’ex ministro della Giustizia e che secondo il magistrato trasferito potrebbe essere stato in contatto con persone indagate in “Why Not” e “Poseidone” tramite il figlio. Di tutta la mole imponente del materiale oggetto dell’indagine preliminare di Salerno che ricostruiva i fatti da cui hanno tratto origine le imputazioni disciplinari per i provvedimenti presi da De Magistris senza darne comunicazione ai superiori e che sono stati il fondamento della condanna, nulla è stato preso in considerazione dalla sezione disciplinare.  La sezione disciplinare  ha fatto proprie le ragioni dell’accusa, rappresentata da Vito D’Ambrosio, un magistrato prestato alla politica, per due legislature presidente della regione Marche e poi ritornato a ricoprire la precedente carica di sostituto procuratore generale presso la Cassazione.    

 

Dunque ha rigettato entrambe le richieste difensive e cioè sia il riconoscimento della coincidenza tra le incolpazioni ed i procedimenti penali presso la procura di Salerno con conseguente rinvio del procedimento in attesa almeno della conclusione delle indagini preliminari in corso, sia l’acquisizione delle audizioni dei magistrati di Salerno Gabriella Nuzzi e Dionigio Versani, avvenute il 9 gennaio scorso presso la prima commissione del CSM.

 

Da gennaio l’inchiesta di Salerno è proseguita ed in questi giorni gli atti dell’avocazione di “Why Not” avvenuta con modalità e tempismo eufemisticamente inusuale e della revoca di “Poseidon” sono stati alla fine sequestrati nell’ambito della perquisizione disposta dalla procura di Salerno negli uffici della procura generale e della procura di Catanzaro; tra i magistrati indagati l’avvocato generale dello Stato Dolcino Favi che in qualità di procuratore generale facente funzioni avocò Why Not pochi giorni prima che venisse nominato il nuovo procuratore generale di Catanzaro; l’ex procuratore di Catanzaro Mariano Lombardi, che revocò la delega per Poseidone a De Magistris; il procuratore aggiunto vicario di Catanzaro Salvatore Murone. Tra gli indagati oltre a Saladino, il perno di Why Not, un altro imprenditore ed un commercialista cosentino.  E tra i reati ipotizzati anche il reato di corruzione in atti giudiziari a carico del deputato del PDL Giancarlo Pittelli, l’avvocato con cui solidarizza in consiglio dell’Ordine di Catanzaro che ha indetto uno sciopero contro il “blitz” di Salerno; dell’ex procuratore di Catanzaro Mariano Lombardi; del procuratore aggiunto Salvatore Murone. 

 

Si tratta solo da parte della procura di Salerno del compimento di attività di indagine nell’esercizio delle proprie competenze sulla base di fatti, la delegittimazione  di Luigi De Magistris e l’ostacolo  con ogni mezzo alle inchieste “Why Not”,  “Poseidone”,  “Toghe Lucane”.

 

 Già nel corso di una deposizione del novembre 2007 davanti ai magistrati di Salerno, De Magistris  aveva dichiarato che Why Not gli è stata tolta quando “stavo praticamente per chiudere il procedimento” e “soprattutto stavo facendo degli atti anche molto importanti (….) omissis (…) che riguardavano esponenti di spicco della politica calabrese (Minniti, Tommasi, Adamo, D’Andria).

 

E’ molto comprensibile che una volta cacciato con infamia dalla Calabria Luigi De Magistris, la casta politica senza molte distinzione abbia tirato un bel sospiro di sollievo e purtroppo anche molti esponenti delle istituzioni ai massimi livelli, ritenendo che sul caso fosse calata definitivamente una pietra tombale. Poi però può accadere che nonostante i tempi, non tutto affondi sempre e comunque nel più vicino porto delle nebbie e che ci siano magistrati che contro ogni convenienza continuino ad indagare,  come quelli di Salerno.

 

Allora politica, informazione, istituzioni si saldano, con qualche rara eccezione, nell’occultamento dei fatti e nell’enfatizzazione dello “sconcerto”, nonché nella pratica consolidata della confusione e della strumentalizzazione  per chiudere definitivamente la partita sulla giustizia, auspicabilmente con una Bicamerale Bis.  

 

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