Così la controriforma costituzionale rottama il Parlamento

di Pancho Pardi - 19/06/2012
La maggioranza provvisoria approva in commissione al Senato il suo progetto di riforma costituzionale

Il primo punto è la riduzione del numero dei parlamentari. E’ il mezzo per farla piacere ai cittadini, cui si è parlato di dimezzamento. Ma tra tutte le proposte viene scelta la riduzione più timida e meno incisiva: i deputati scendono da 630 a 508, i senatori da 315 a 254.
Il secondo punto è il superamento del bicameralismo perfetto, che permette a ognuna delle due Camere di rinviare all’altra un disegno di legge modificato. Ma il superamento non c’è: le due Camere restano entrambe titolari del rapporto di fiducia col governo e quindi in condizioni di parità sostanziale. La differenza tra le due Camere è fissata per competenze: alla Camera gli affari di Stato, al Senato gli affari regionali. Ma l’esperienza ha già chiarito come sia impossibile tracciare un confine preciso tra le due categorie e la Corte Costituzionale ha già passato anni a risolvere il dilemma. E anche sul rinvio da una Camera all’altra, formalmente limitato a due passaggi (dalla Camera d’origine all’altra e ritorno) è stata scelta la soluzione meno chiara tra tutte quelle prospettate.
In realtà il bicameralismo perfetto si può davvero superare con l’attribuzione del rapporto fiduciario solo alla Camera e con l’elezione indiretta da parte dei Consigli regionali del Senato, che diventa così la Camera delle autonomie regionali e locali. Ma la maggioranza provvisoria non ha mai considerato questa opzione. Così il bicameralismo diventa imperfetto e molto farraginoso.
Il terzo punto è il rafforzamento del governo. Questo può stabilire una via speciale per i suoi disegni di legge e pretenderne la votazione entro brevissimo tempo senza emendamenti. E’ il cosiddetto voto bloccato: le Camere non hanno alcuna autonomia e non possono incidere sulla decisione governativa. Peggio: se votano contro rischiano lo scioglimento.
E qui si va al quarto punto: il rafforzamento del Presidente del Consiglio. La fiducia non va più al Governo ma a lui solo. Egli aggiunge alla facoltà di nomina dei ministri anche quella di revoca. E per di più acquisisce la facoltà di chiedere al Presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere.
Questo capolavoro di concentrazione del potere nelle mani di un solo soggetto viene rivenduto dalla propaganda della maggioranza provvisoria come accurato bilanciamento tra il rafforzamento del governo e quello del Parlamento. Si dice: anche una Camera può sfiduciare il capo del governo. Sì: a patto di indicare entro ventuno giorni il suo sostituto. Si chiama sfiducia costruttiva: funziona in Germania dove i partiti sono pochi e le coalizione salde. Ma nella realtà politica italiana, dove i partiti grandi rimpiccoliscono e i partiti piccoli si moltiplicano, la sfiducia costruttiva non è uno strumento nelle mani del Parlamento ma un mezzo di ricatto nelle mani del Presidente del Consiglio.
Riduzione dei parlamentari minima. Bicameralismo non superato. Supremazia del governo sopra le Camere. Dominio indiscusso del Presidente del Consiglio sulle Camere e sul suo stesso governo. Parlamento indebolito e intristito. Presidente della Repubblica privato di alcuni dei suoi poteri. Questa è la riforma della Costituzione che arriverà in aula al Senato la settimana prossima. Come il PD potrà giustificare questo capolavoro davanti ai suoi elettori è un vero mistero. Racconterà loro che i nuovi superpoteri toccheranno al PD?
Ma se si poteva pensare di aver visto il peggio ci sarà da ricredersi perché, a quanto pare, in aula il Pdl presenterà un emendamento per introdurre il presidenzialismo e la definitiva rottamazione del Parlamento. Da repubblica parlamentare a repubblica presidenziale con un semplice emendamento in aula! E il PD abboccherà?

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