Ha voluto andarsene offrendo alla stampa la caricatura di se stesso. Per ammettere l'indiscutibile sconfitta e per annunciare le sue dimissioni non ha voluto rinunciare a un discorso, trito come un disco rotto, tutto all'attacco per rivendicare lo strepitoso lavoro svolto nella legislatura, la superiore saggezza della riforma costituzionale e della connessa legge elettorale.
 
          Il suo insuccesso continua ad apparirgli impossibile e
            immotivato. È il prodotto di quel "destino cinico e baro"
            tanti anni fa maledetto da un antico leader sconfitto.
          Evoca la necessità di una profonda riflessione critica
            di cui si dimostra irrimediabilmente incapace. Vorrebbe
            tornare indietro nel tempo per poter imporre le elezioni
            politiche nel momento in cui avrebbe potuto vincerle,
            vorrebbe rifare la campagna referendaria per poter
            convincere gli italiani a votare Sì. Vorrebbe fare il
            salmone: risalire indietro nel tempo come il pesce risale la
            corrente del fiume.
Coerente con la sua pulsione egotista e autocratica
            stabilisce, prima ancora che il partito si esprima, che il
            PD starà fermamente all'opposizione.
          La percezione mesta della realtà sta tutta
            nell'esaltazione retorica del suo, naturalmente bellissimo,
            futuro lavoro: lui, che con le mani in tasca aveva
            annunciato al Senato che quella era l'ultima volta che un
            presidente del consiglio entrava per comunicazioni
            nell'aula, farà il senatore di Firenze e Scandicci. 
          Senza una parola di ringraziamento per i cittadini che
            il 4 dicembre 2016 gli hanno conservato il prezioso posto di
            lavoro.

 
    
