8 MARZO -- DONNE FACCIAMOCI QUESTO REGALO. ACCOGLIAMO L'ANTISPECISMO COME UN VALORE CHE CI APPARTIENE

di Stefania Sarsini - 07/03/2012
Non ci piace parlare di “donne come sesso debole e sfruttato”, piuttosto come persone portatrici di valori. E in questa ottica crediamo che tutte noi abbiamo il dovere di far rientrare tra i temi che ci stanno a cuore, quello dello sfruttamento degli animali, della loro sottomissione perché di specie diverse, e quindi di dare la nostra voce alla loro sofferenza.

 I luoghi di detenzione degli animali sono quasi sempre inviolabili, ben lontani dai nostri occhi.
Noi donne abbiamo il potere e il dovere di smascherare questi luoghi, di capire cosa accade
veramente e di fare qualcosa per interrompere questa immane sofferenza di esseri indifesi.
Parliamo dei luoghi dove esseri senzienti sono rinchiusi e sottoposti alla pratica della vivisezione.
Parliamo dei luoghi dove esseri sottomessi sono allevati, maltrattati, stuprati, separati dai loro figli
per rubare loro latte, uova, carne, pelle, lana…
Parliamo dei luoghi dove esseri sensibili sono rinchiusi a vita per divertire gli spettatori umani.
Potremmo continuare l’elenco perchè purtroppo è lungo. Ma ci fermiamo qui.
Quello che vogliamo dire a tutte voi è che quando un essere viene sottomesso e schiavizzato, sia
esso un animale umano, un animale umano donna, un animale non umano… noi dobbiamo dare
voce a questa sofferenza per interromperla.
Noi donne possiamo farlo.

Non dobbiamo fare l’errore di distrarci o far finta che questo mare di dolore non esita perché non ci
riguarda. La sofferenza degli animali indifesi è anche la nostra sofferenza e come donne dobbiamo
capirla e quindi agire di conseguenza.
Chi meglio di una donna può capire, se solo si ferma un attimo a pensare, quanto strazio può
provare ad esempio una mucca alla quale vengon portati via la sua cucciola o il suo cucciolo.
Questo accade costantemente nel processo di produzione del latte. Noi rubiamo il latte alla madre e
mandiamo al macello il cucciolo maschio oppure, se femmina, la inseminiamo a forza, perché
diventi, come mamma, una produttrice di latte suo malgrado, per poi macellarla dopo pochi anni,
quando esausta, non ne fa più abbastanza.
 
E’ questo che vogliamo?

Animali/donne trattate come
macchine per produrre qualcosa (il latte) che diventa una merce , fonte di guadagno per animali umani?

Facciamo di tutto per cancellare dalla nostra mente la relazione fra i “prodotti” e gli animali ai quali
li rubiamo.
Senza gli animali non potremmo mangiare carne. Ma si parla sempre di carne solo da un punto di
vista gastronomico, il che ci fa sentire meno responsabili della loro morte.
Noi donne non macelliamo la carne, ma la cuciniamo.
Le trasmissioni più seguite in tv sono quelle di cucina. Ma nel linguaggio delle conduttrici, dei
cuochi e delle cuoche, dei VIP che spesso si prestano a cucinare, quando si parla di carne (o altri
prodotti animali) da mangiare, l'animale vivo viene rimosso: si parlerà sempre di carne in termini d
coscia, petto, bistecca, cotoletta, hamburger, salame, prosciutto, formaggio, latte, uova…

La sofferenza che la violenza della morte dell'animale che è stato sfruttato/sottomesso/macellato
viene rimossa nella misura in cui le parti frantumate del corpo dell'animale vengono rinominate per
occultare il fatto che un tempo erano vivi o che appartenevano di diritto a quell’individuo. Dopo la
morte le mucche da latte diventano arrosto, ragù, spezzatino, ecc.


Il linguaggio comune riduce la realtà materiale della violenza sugli animali a metafora quando si
parla di “macelleria sociale”, un luogo comune di questi tempi, per descrivere per esempio,
l'orrenda situazione degli immigrati a Lampedusa.
Oppure si parla di “case di macellazione” e “maison d'abbattage”, per identificare i luoghi dove sei
o sette ragazze servono ciascuna da 80 a 120 clienti per notte. Queste ragazze sono generalmente
immigrate, ucraine, polacche, romene, nere.
Gli stessi attrezzi della pornografia sadomasochista sono collari da cani, frustini, corde, lacci, tipici
elementi di controllo di dominio sugli animali, che anche diventano attrezzi di dominio sulla
donna.
Un ristorante americano (di cui non facciamo il nome) prima di diventare una rivista pornografica
presentava nella copertina del suo menù un sedere di donna e dichiarava :“serviamo le carne
migliori della città”
Natiche femminili sono marchiate come “tagli scelti” nella copertina di un altro menù.
Intervistati nelle loro fantasie sessuali, molti uomini evocano scene pornografiche di pezzi di corpi
senza volto, impersonali: seni, gambe, vagina, culi.
Così come le carni per il consumatore, sono ridotte esattamente a questo: pezzi di corpo, senza
volt
o.

Dopo aver visto un cartellone diffuso nella macellerie che raffigurava il corpo di una donna
sezionato come quello di un animale macellato, con vari pezzi, suddivisi e catalogati, Dario Fo e
Franca Rame hanno scritto una sceneggiatura:
“C'era un disegno di una donna tutta divisa in quarti. Sa, come quei cartelloni che si vedono nelle
macellerie con su la vacca divisa in regioni come la carta d'Italia. Ed ogni punto erogeno era
pitturato con colori tremendi a seconda della sensibilità […]”


Il fatto stesso che gli uomini si definiscono” stalloni” non fa che confermare e rinforzare il modo
peculiare ed aggressivo con cui il termine “carne” viene usato per riferirsi alle donne. Le donne
sono possedute come carne dallo stallone.
Tutto ciò è così radicato nella nostra cultura , caratterizzata da uno spiccato antropocentrismo, dove
l'uomo, maschio, bianco, eterosessuale, cristiano, mussulmano è al centro dell'universo, che le
donne stesse spesso usano il linguaggio maschile senza esserne consapevoli.
Le donne diventano così da soggetti discriminati a soggetti di discriminazione,
riducendo nel loro linguaggio, la realtà materiale della violenza sugli animali a metafore.
Le donne mangiano la carne, lavorano nei macelli, alle catene di montaggio dove i pulcini maschi
delle galline ovaiole, vengono stritolati vivi, senza rendersi conto di essere complici di un sistema di
sfruttamento di esseri senzienti.
Marguerite Yourcenar, premio Nobel per la letteratura, dalla parte degli animali fin dall'adolescenza
ha lasciato di che riflettere nei suoi scritti:
“Mangiare carne è digerire agonie di essiri viventi.” “Gli animali hanno propri diritti e dignità
com
e te stesso. E’ un ammonimento che suona quasi sovversivo. Facciamoci allora sovversivi:
contro ignoranza, indifferenza, crudeltà.”


Le donne come gli uomini usano la parola bestia e nel dire bestia, o bestiale, piuttosto che animale,
si crea un confine maggiore tra noi e loro, tra umani e non umani.
La parola bestia divide: non volto, ma muso, la voce dell'animale non ha voce, ma suoni, i sui arti
diventano zampe, la sua volontà istinto, non c'è intelligenza o emozione e se c'è è irrilevante.
Bestia si usa quando si vuole degradare tutti coloro che non si ritengono degni di far parte della
nostra comunità.
Così come le bestie sono escluse dalla cittadinanza umana, nonostante siano esseri senzienti, cioè
capaci di dolore, di piacere, di amore, di preferenze, così come “bestiali” sono gli umani che il
potere maschile decide di degradare al rango di non cittadini (che macchiano di azioni spesso
lontane dal mondo animale non umano).

Carol J.Adams, americana, femminista/vegan, scrive “quando le femministe radicali usano, come
se fosse letteralmente vero, metafore animali in relazione alle donne, esse stesse si appropriano e
sfruttano metaforicamnete ciò che viene realmente fatto agli animali […] il pensiero femminista
radicale partecipa linguisticamente allo sfruttamento e alla negazione del referente assente […]
Ciò che manca in gran parte del pensiero femminista, che fa uso di metafore basate sull'oppressione
animale per mettere in luce l'esperienza delle donne, è la realtà che si nasconde dietro le metafore. Il
linguaggio delle teorie femministe dovrebbe invece descrivere e sfidare l'oppressione, riconoscendo
fino a che punto queste due forme di oppressione sono culturalmente analoghe ed interdipendenti”
Tratto da “Lo stupro degli animali, e la macellazione delle donne” in Liberazioni “rivista N.1 del
2010.


Noi donne diventiamo complici di quegli uomini discriminatori non solo quando usiamo il loro
linguaggio, ma anche quando, come consumatrici, compriamo oggetti fatti con la pelle degli
animali, con la loro pelliccia, con la loro lana. Dobbiamo sempre chiederci da dove arriva un
“prodotto” che prima è appartenuto di diritto ad un altro essere senziente.
Non è un caso che i mattatoi e gli allevamenti, siano lontani dalla città perchè ciò ci permette di
non sentire il maiale urlare quando ancora vivo viene attaccato ad un gancio per essere macellato,
non vediamo scorrere fiumi di sangue, non assistiamo al cucciolo vitellino che viene portato via
dalla madre appena nato, non vediamo negli occhi degli animali lo sguardo della paura e della
morte.
Se ognuna di noi dovesse uccidere il pollo che mangiamo, il vitellino, la mucca, il maiale, la pecora,
l'agnello… molto probabilmente non saremmo in grado di sentirci artefici di tanta violenza, non
riusciremmo a mangiare la carne delle nostre vittime!
Ma mentre le donne sono comunque trattate come pezzi di carne e si sentono, quando violentate,
emotivamente come macellate, gli animali sono effettivamente ridotti in pezzi di carne.
Immagini e consumo sono strettamente collegati così come consumo e violenza. La cultura
patriarcale, antropocentrica e specista, trasforma gli animali non umani viventi in cadaveri da
consum
o.

Anna Maria Ortese scrive nel “Piccolo Drago”:
“Disprezzo ed ingiustizia sono dell'uomo. […] io sono più che mai dalla parte delle Bestie, mi
sento loro parente, o comunque un amico, un devoto: e grande è la malinconia che provo nel
sapermi appartenere alla specie umana. Non che questa non abbia una sperba bellezza e spesso
bontà: ma perchè tutto ciò che possiede mi sembra frutto di un furto. Come creatura umana - ecco
la disperazione - mi sento da sempre : Assassino e Ladro.”


Concludo quindi dicendo ancora: l’appello che lancio alle donne è di farci carico del dolore
degli animali, condividerlo e diventare parte attiva del movimento antispecista e vegan. Chiedo, in nome della filosodia  antispecista,
a tutte voi di non discriminare e non sopraffare altri esseri senzienti, solo perché li crediamo, a torto,
lontani da noi.

Noi donne possiamo farlo.

 

 

Se mi volete contattare :

stefaniasarsini@hotmail.it