Carne di cavallo e carne di bovino. Qual è il vero scandalo?

di HORSE ITALIAN PROTECTION - 01/03/2013
Su tutti i giornali europei da qualche settimana è presente la notizia che ignari consumatori avrebbero mangiato carne di cavallo spacciata per bovino

Al di là del fatto che hanno comunque deliberatamente mangiato le carni di esseri senzienti e che fosse bovino, equino o canide filosoficamente fa poca differenza, i consumatori erano davvero tutti ignari? E poi, qual è il vero problema? La frode in commercio o piuttosto la salute pubblica di milioni di cittadini europei?

Nella sola Italia abbiamo un numero di cavalli che, a seconda delle stime, varia da 300’000 a 800’000 circa. Ognuno di questi cavalli ha una vita potenziale che può andare oltre i 30 anni. La vita sportiva media di ognuno di essi è però molto più bassa. A seconda dello sport che viene loro imposto e dei risultati che ottengono può essere anche di due o tre anni. L’eutanasia di soggetti sani non è ammessa all’interno della UE, quindi nemmeno in Italia. Ogni pochi anni l’intero numero di animali è rinnovato. Forse solo cinque anni. Dove vanno questi cavalli quando non corrono/saltano/tirano più con esiti sportivi soddisfacenti? Da qualche parte dovrebbero esserci centinaia di migliaia di cavalli anziani; forse almeno 3 volte il numero di cavalli in attività. Che non ci sono.

L’Italia non è uno dei paesi con il maggior numero di cavalli, né uno dei paesi con la vita media più bassa. In tutta Europa ci sono milioni di cavalli che devono essere “tolti di mezzo” ogni anno perché l’industria dello sport con equini deve rinnovare il “parco macchine”. La sola Gran Bretagna ospita oltre un milione di cavalli, stessi numeri si hanno per Francia e Germania. Anche la Spagna arriva quasi ad un milione. L’Italia è uno dei paesi dove si macellano legalmente il maggior numero di cavalli in Europa ma non è uno di quelli con il maggior numero di cavalli “da eliminare”. Riguardo alle macellazioni illegali che i numeri ci dicono essere possibili in ogni angolo di Europa si sa poco nulla. 

La macellazione di un equino comporta dei rischi per la salute pubblica diversi da quella di un bovino. Infatti mentre un bovino è in ogni caso allevato per la produzione alimentare, un cavallo è nella stragrande maggioranza dei casi allevato per farlo competere o comunque praticare sport. Da qui tutta una serie di norme che dovrebbero evitare che un equino a cui siano somministrati alcuni farmaci possa mai essere macellato e quindi mettere a rischio la salute del consumatore. In alcuni sport la stragrande maggioranza dei cavalli non sono macellabili, per esempio nel salto ostacoli. Chiunque sia un minimo addentro al salto ostacoli sa bene che in teoria in ogni centro ippico ci dovrebbero essere molti cavalli anziani, almeno lo stesso numero di quelli in attività. Questi cavalli però non li ha mai visti nessuno o almeno non in questi numeri. Nell’ippica il numero di cavalli esclusi dalla filiera alimentare è minore ma anche molto maggiore è il turn-over (cioè è minore la vita media di un equide), per cui negli allevamenti di cavalli da trotto e da galoppo dovremmo avere un numero impressionante di cavalli anziani. Che non ci sono. 

Ci sono studi universitari, indagini promosse da associazioni animaliste, documenti della Commissione Europea, note del Ministero della Salute Italiano e dei vari Ministeri competenti degli altri paesi europei, note delle Regioni, che evidenziano che il sistema non funziona e ci fanno capire che i cavalli macellati sono possibilmente di più di quelli macellabili con conseguenze per la sanità pubblica gravissime. Ma perché?





L’industria del cavallo funziona pressappoco così: gli equidi vengono allevati e poi utilizzati per sport per un periodo che può essere da un decimo alla metà della loro vita naturale. Dopodiché vengono macellati. E se non sono macellabili? Come può un allevatore di cavalli da galoppo (è solo per fare un esempio, in tutti gli sport la situazione è la stessa, solo i tempi sono a volte diversi) mantenere per 30 anni un cavallo che a 2 anni ha già dimostrato di non essere redditizio? Secondo uno studio del 2008 circa il 40% degli equidi non è adatto allo sport per il quale è stato allevato. E del 60% che rimane quanti soddisfano le aspettative dell’allevatore? Anche ammettendo che il 60% vadano davvero bene, un allevatore che “produce” 5 cavalli l’anno dovrebbe avere ogni anno 2 cavalli che brucano felicemente l’erbetta per i restanti 30 anni. Cioè dopo venti anni di attività dovrebbe avere 40 cavalli in pensione perché scartati, più altri 45 a fine carriera (considerando 5 anni di attività) e 15 cavalli in attività. Risulta credibile a qualcuno?

Può un’attività economica reggersi pagando fieno, mangime e veterinari per 100 cavalli avendone solo 15 che producono reddito?Chiaramente gli 85 cavalli “a riposo” dell’esempio in questione sono stati già macellati da tempo o sono morti in incidenti. E se non erano macellabili? Questa associazione ritiene che sia plausibile che vengano macellati anche gli individui non macellabili, magari con un po’ di “discrezione”.

Pensiamo davvero che i consumi di carne di cavallo di Italia, Francia, Belgio, Germania e Svezia siano in grado di far girare questo macchinario di allevamento, uso e macellazione di milioni e milioni di cavalli? O forse la quantità di carne di cavallo è più di quanto si dice e, soprattutto, è in parte illegale e a rischio per la salute? Ma chi si prende la briga di bloccare l’industria Europea (ma anche extraeuropea) del cavallo risolvendo in modo definitivo le innumerevoli falle che questa e altre associazioni e perfino istituzioni hanno segnalato in tutte le sedi possibili e immaginabili? E che fine fa questa carne di provenienza illegale? Mescolarla alla carne di bovino potrebbe essere una soluzione efficiente, anche se illegale.

Chi vende un prodotto spacciandolo per un altro commette un reato. Chi macella un animale non macellabile commette un reato.
 Chi falsifica la documentazione commette un altro reato.
 Chi omette di controllare commette un reato.
 Ma se tutte queste personalità criminali lavorano nello stesso settore in apparente sinergia ed è questo modo di lavorare che permette ad un intero settore di non affogare nei propri “rifiuti”, allora significa che quel settore è malato e, benché doveroso, non è sufficiente punire i singoli ma è necessaria una presa di posizione che vada veramente nella direzione di porre fine alla mercificazione della vita (e magari, perché no, ridurre i problemi sanitari da assunzione di carni con residui per chi non ha ancora abbandonato la dieta onnivora).