Questo Parlamento non ha titolo per cambiare la Costituzione

di Giuseppe Sunseri - 07/05/2013
Questa è una valutazione politica, più che tecnica. Ma è una valutazione politica che deriva inesorabilmente dal percorso tecnico attraverso il quale questo Parlamento è stato formato.

Nessuno degli elettori espressi dal popolo italiano il 24 e 25 febbraio ha scritto sulla propria scheda il nome di Silvio Berlusconi, eppure Silvio Berlusconi sta seduto in Parlamento; nessuno ha scritto il nome di Pierluigi Bersani, eppure Bersani sta seduto in Parlamento. E si potrebbe continuare così, ovviamente, per tutti i quasi mille parlamentari italiani 'eletti' alle ultime elezioni nazionali per la XVII legislatura.

E' già sufficiente leggere l'articolo 1 della Costituzione per capire come i Padri costituenti hanno inteso edificare la Repubblica italiana: si dice subito infatti che "la sovranità appartiene al popolo". Il popolo cioé è il vero, esclusivo ed effettivo titolare della potestà suprema, e questa sovranità si esercita secondo il modello tracciato di democrazia rappresentativa in cui il corpo elettorale, cioé la parte attiva del popolo avente diritto al voto, elegge i propri rappresentanti ai vertici  degli organi pubblici elettivi per esercitare il potere politico. Gli articoli successivi che disciplinano l'organizzazione ed il funzionamento della Repubblica in tutte le sue articolazioni pongono al centro della vita politica del Paese il Parlamento, luogo istituzionale nel quale si determinano gli indirizzi politici che poi animeranno le strutture dello Stato e che daranno un'impronta netta al governo della cosa pubblica. Il Parlamento è poi composto da due Camere originariamente con diverse funzioni, ma resta inequivocabile che l'investitura di entrambe le Camere viene direttamente dal popolo il quale in questo modo prioritario esercita la propria sovranità.

Non è previsto in alcun articolo invece che il popolo possa delegare ad altri organismi la propria sovranità nella scelta dei parlamentari; ed un Parlamento non eletto direttamente dal popolo toglierebbe significato alla stessa forma di Governo Parlamentare citato nella Carta (Repubblica democratica) in quanto le cariche pubbliche fondamentali (i deputati ed i senatori) non si ricondurrebbero più direttamente al consenso popolare. Se quindi il Parlamento è fulcro della Repubblica democratica e dell'intero assetto istituzionale repubblicano, esso è l'espressione principale della sovranità popolare che gli delega la potestà di dare la fiducia ad un Governo Parlamentare e di approvare le leggi che il Governo disegna o altri aventi titolo propongono. Detto in altro modo, se l'Italia è una Repubblica parlamentare nella quale la sovranità appartiene al popolo, allora è il popolo e solo il popolo che elegge direttamente il Parlamento.

Tutto ciò ci porta a pensare che qualsiasi disposizione di legge che impedisse l'esplicitazione di questa sovranità popolare sarebbe incostituzionale. E questo fa la vigente legge elettorale appunto: si inserisce tra il popolo ed il Parlamento ed impedisce che il popolo abbia un rapporto di fiducia e di responsabilità reciproca con i propri parlamentari ma impone degli intermediari (partiti o altre organizzazioni che siano) i quali scelgono chi candidare. Il popolo non è più sovrano ma dà il voto a quelle organizzazioni le quali indipendentemente hanno deciso quali candidati presentare e con quale probabilità di successo.

Ma anche più avanti la Carta è esplicita nel precisare i propri intendimenti ed agli articoli 56 e 58 dice che "La Camera dei deputati è eletta..." o, ancora più avanti "I senatori sono eletti..." "a suffragio universale e diretto". Questo vuol dire che hanno diritto di voto tutti i cittadini della Repubblica senza distinzione alcuna (suffragio universale) e senza alcun tipo di mediazione (suffragio diretto); mediazione che ben evidentemente la legge 270/2005 (la cosiddetta 'porcellum') introduce. Da questo ancora discende la incostituzionalità e la ostinata perseveranza della legge elettorale vigente, introdotta dal centrodestra e che il centrosinistra ha evitato di modificare per mantenerne la responsabilità agli avversari politici e nel contempo goderne dei benefici.

Per completezza di ragionamento, infine, si può citare l'articolo 67 che recita: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato". In questo modo i Padri costituenti hanno reso ogni parlamentare definitivamente libero di esercitare la propria funzione, esprimendo la sua convinzione e rispondendo di ciò solamente alla propria coscienza ed ai propri elettori con i quali deve mantenere un rapporto di fiducia. Il voto è infatti libero solo se il parlamentare non ha alcun tipo di vincolo, mentre con la legge elettorale attuale si introduce un intermediario (partito o altra organizzazione) al quale il deputato o il senatore è costretto a rispondere se non vuole perdere la possibilità di essere rieletto. Quindi adesso il mandato che riceve il parlamentare non è così ampio come la Carta voleva e non è più possibile esercitarlo secondo coscienza e senza vincoli rendendone conto al proprio elettore e senza farsene condizionare. Il mandato così gli deriva da quei partiti od organizzazioni che lo hanno candidato e fatto eleggere; cade così l'impossibilità di accettare alcuna direttiva circa l'esercizio delle sue funzioni e cade la tutela della sua indipendenza da qualsiasi potere politico, economico o sociale, rappresentando anzi questa legge proprio il mezzo con il quale si può tenere un Parlamento sotto controllo da parte di poteri ben precisi ed in definitiva un passo enorme che allontana dalla democrazia.

A questo punto inquieta notevolmente rendersi conto, in un passaggio storico così delicato, di trovarsi ancora nell'esigenza di dover adeguare parte delle strutture istituzionali alle mutate condizioni socio-politiche, ma anche di dover porre rimedio ad errori fatti relativamente di recente e che rendono questo Parlamento -vista la genesi- non titolato ad operare anche con riforme costituzionali. E va assolutamente stigmatizzato l'atteggiamento della parte politica di centrodestra che insiste pervicacemente affinché ci sia un'elezione diretta del Presidente della Repubblica (probabilmente perché crede di avere un candidato accattivante e vincente) accompagnando questa richiesta con una presunta intenzione di ottenere così maggiore democrazia e maggiore forza politica per la carica che venisse scelta direttamente dagli elettori, quando proprio questa parte politica ha tolto al popolo sovrano la prerogativa principale che era esattamente quella di eleggere direttamente i propri rappresentanti in Parlamento. Parlamento che è il centro della vita democratica e che è stato svuotato di gran parte della propria autorevolezza con una legge clamorosamente incostituzionale. Da una parte, allora, la destra chiede l'elezione diretta del Presidente per conquistare la più alta carica dello Stato, e dall'altra toglie l'elezione diretta dei parlamentari che era sancita dalla Carta come atto fondante sacro. E' una destra antica, che crede sempre nell'uomo solo al comando e non alla democrazia plurale.

Tutto ciò trova inoltre illustre conforto nel parere recentemente dato, informalmente ma pubblicamente, dalla massima autorità competente, il Presidente della Corte Costituzionale Gallo, il quale ha espresso seri e fondati dubbi sulla costituzionalità di questa legge elettorale. Non può allora essere sottaciuto che se un Parlamento così eletto, di dubbia costituzionalità, intervenisse in maniera incisiva sulla Carta Costituzionale cambiandone la struttura portante, le fondamenta, o altre parti determinanti sullo svolgimento del governo della cosa pubblica, e se inoltre lo facesse con accordo fra i gruppi parlamentari e con una maggioranza speciale dei 2/3 (quindi togliendo al popolo la possibilità di esprimersi con un referendum confermativo) allora ci troveremmo davanti ad un atto di una gravità eccezionale, uno di quegli atti che poi potrebbe essere preso come spunto da qualche commentatore stravagante ed irresponsabile per gridare al colpo di Stato. E comunque potrebbe rappresentare un atto che rasenterebbe la denunzia di "attentato alla Costituzione", citato anche dall'art. 90 della Carta per mettere in stato d'accusa il Capo dello Stato (e citato anche nel codice penale, art. 283, come "un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di Governo con mezzi non consentiti dall'ordinamento costituzionale dello Stato").

A proposito allora di questa presunta incostituzionale legge elettorale va precisato che nulla dice la nostra Costituzione in ordine ai sistemi elettorali; la scelta della più opportuna legge per l'elezione delle due Camere è stata volutamente lasciata dai Padri costituenti alla disciplina della legge ordinaria proprio perché sia agevolmente adeguata ai diversi contesti storici e politici, mentre la costituzionalizzazione di queste procedure avrebbe determinato un inevitabile ed inopportuno irrigidimento con successive eventuali modifiche di revisione ben più complesse; ma mai i Padri costituenti avrebbero potuto immaginare che si sarebbe pensata e resa operativa una legge elettorale che va contro gli stessi princìpi da loro emanati togliendo il caposaldo stesso dello spirito costituzionale, la sovranità popolare.

E' evidentemente destino ineluttabile di questi ultimi tempi sciagurati (un ventennio improntato alla massima avversione della cultura ed alla più pura irresponsabilità) quello di accorgersi in tempi successivi di gravi 'vulnus' perpetrati a dànno della cultura giuridica del nostro Paese che hanno permesso atti illegittimi affrontati con assoluta sfrontata superficialità. Solo recentemente è sorto il problema dell'effettiva ineleggibilità di Silvio Berlusconi che avrebbe dovuto farsi valere già nel 1994 al momento della sua prima elezione e continuata poi fino ai giorni nostri con violazione del DPR n. 361 del 30.03.1957 e del DLgs n. 553 del 20.12.1993. E solo adesso viene posto finalmente il problema della costituzionalità della legge elettorale vigente, anche dal Presidente della Consulta; ma è una valutazione squisitamente politica ed un dovere delle più alte cariche dello Stato quello di porre rimedio adesso al misfatto prima che un siffatto Parlamento possa intervenire incisivamente sulla Costituzione della quale esso stesso rappresenta nei fatti una grave disattenzione.

Da questo provvedimento legislativo che riguarda la elezione di deputati e senatori discende allora la incostituzionalità dei Parlamenti succedutisi dopo il 2005 [2006, 2008, 2013], ma anche il crollo conseguente di ogni sorta di rapporto fra la politica e la società italiana, fra ogni parlamentare ed il tessuto sociale territoriale dal quale dovrebbe dipendere. Non ci si deve stupire allora della grande conclamata distanza che si continua a denunziare tra la politica ed i problemi del paese reale quando le strutture territoriali dei partiti, i circoli, le sezioni, sono andate scomparendo sostituite solo in parte da segreterie politiche nelle quali si esercita esclusivamente il potere e la clientela. Non c'è più necessità della presenza politica dei partiti nei territori, vista la legge elettorale; è ben evidente. E' sotto gli occhi di tutti come dal 1994 al 2005 si è inciso negativamente sulla cultura sociale e sulla antropologia stessa degli italiani, anche attraverso le televisioni commerciali, innescando un'avvilente desertificazione morale e culturale da parte sopratutto di quei dirigenti del centrodestra che detenevano il controllo dei media e delle TV, in questo non contrastati dal centrosinistra che nel frattempo interveniva esclusivamente sui propri campi mostrando di ignorare quanto andava avvenendo nella società italiana. Ma dopo questo lungo periodo proprio quella legge elettorale possiamo dire che ha determinato il definitivo inabissamento della comunità italiana che è rimasta senza alcun punto di riferimento serio e saldo (tranne forse il Capo dello Stato) e che si è allontanata sempre più dal sistema politico il quale invece di farne gli interessi inseguiva le  proprie logiche causando così la parcellizzazione della società in tante caste ognuna delle quali con il proprio interesse particolare; si è persa qualsiasi seppur minima omogeneità ed impegno comune, ogni solidarietà, e la struttura stessa dello Stato è sembrata svanire lasciando sul campo forti individualismi ed interessi di gruppo e travolgendo, in definitiva, tutti i più deboli che non avevano la possibilità di difendersi, giovani, donne, anziani, precari, disoccupati.... Sono rimasti operanti e vitali, nonostante attacchi di ogni tipo subìti, solamente i Sindacati, la Magistratura ed alcune Associazioni di varia natura, ambientale, politica e sopratutto religiosa.

Negli ultimi due anni,infine, la sopravvenuta crisi finanziaria mondiale ed europea ha fatto il resto inducendo anche quella forte recessione che stiamo vivendo.

Mentre la classe politica si preoccupava solamente di procurarsi un mandato in bianco da parte degli elettori, cresceva la rete telematica che ha relativamente costituito una parvenza di aggregazione sociale non risolvendo certo i problemi determinati dall'abbandono da parte della classe dirigente, ma rappresentandoli e portandoli avanti. E comunque una 'rete' pur sempre relativa a determinati settori della società ed a ben precise sensibilità che non riuscivano a sopperire alla mancanza di punti di riferimento e di conoscenza, causando anzi un eccesso di convinzioni fluttuanti e di pareri diversi su ogni tipo di argomento. Così piuttosto che una nuova forma di agglomerazione sociale la 'rete' adesso rappresenta una multiforme realtà virtuale generatrice di maggiore dispersione e frastornamento. Anche la 'rete' allora, pur non subendo l'intermediazione dei partiti, non riesce ad esprimere una posizione ferma e rassicurante a cui ancorarsi e non è neppure esente da manipolazioni.

Rimane allora la necessità assoluta di ristrutturare questa società sia culturalmente che politicamente, ma prima di ogni cosa occorre ridarle quella rete sociale di solidarietà e saldezza morale sulla quale poi innestare ogni altro interesse collettivo; e questo può effettuarsi solo attraverso le riforme istituzionali e le leggi indispensabili sui campi del lavoro e dei tributi e della corruzione e della evasione fiscale fino alla rinegoziazione dei trattati europei. Solo in un secondo tempo, con un Parlamento eletto finalmente con una legge costituzionale si potrà passare alle essenziali riforme di adeguamento della Costituzione alle nuove esigenze del Paese. Sarebbe quindi opportuno che questo Governo Letta, appena nato, operasse subito con la elaborazione di una nuova legge elettorale condivisa (che assicurasse una futura governabilità) e che intervenisse sulle criticità più urgenti con legislazioni puntuali e risolutive per poi andare a nuove elezioni ed avere così un nuovo Parlamento per le sole riforme di miglioramento della Costituzione.

Del resto va ricordato che nel giugno 2006 una larghissima maggioranza di italiane ed italiani ha dimostrato in modo inequivocabile di ritenere questa nostra Carta Costituzionale il fondamento della democrazia. La convivenza comune allora deve sempre essere imperniata sui princìpi, i valori e le regole fissate dalla Carta; resta ovviamente non precluso ogni intervento atto a migliorare le tecnicalità della Costituzione per adeguarla alle mutate condizioni di convivenza sociale ed ai panorami politici; ma questo deve essere sempre coerente, come chiaramente espresso dai cittadini elettori, con i princìpi ed i valori della Carta, e compatibile con il suo impianto ed i suoi equilibri.

Inoltre l'andamento ed il risultato del Referendum costituzionale del 2006 ha dimostrato che il popolo sovrano ha affidato un compito ben preciso al Parlamento: ristabilire in maniera perenne il principio della supremazia e della stabilità della Costituzione, mettere cioé fine per sempre alla stagione delle riforme costituzionali di parte ed anche alle riforme non indispensabili e che escludono i cittadini dalla espressione della loro volontà tramite il Referendum confermativo; andrebbe quindi adeguato anche l'art. 138 a queste esigenze.

Questo vuol dire che il prossimo Parlamento legittimamente eletto dovrebbe, si, intervenire sulla Carta per migliorarla (con la riduzione del numero dei parlamentari, con la differenziazione dei compiti delle due Camere -una sola delle quali deve presiedere all'attività di governo mentre l'altra si occupa dei problemi territoriali e particolari delle Regioni-.....) ma dovrebbe anche rinforzare l'art.138 di modo che non sia più possibile cambiarla senza una maggioranza qualificata dei 2/3 (quindi mai più di parte) e senza che i cittadini si possano esprimere (quindi mai più senza referendum popolare confermativo).

Con questo si vuole dire che andrebbero cambiate e riportate alla loro natura originale le effettuate riforme costituzionali di parte (con riferimento quindi alla variazione del Titolo V apportata dal Governo D'Alema e le variazioni effettuate dal Governo Monti sull'obbligo del pareggio di bilancio). In tal modo si otterrebbe la messa in sicurezza definitiva della Carta, come avviene nelle altre grandi democrazie occidentali, in quanto rappresenta il punto di riferimento perenne della volontà di coesione del popolo italiano e della consapevolezza di ritenersi una comunità sociale, culturale, politica e solidale del tutto omogenea ed altresì rispettosa dei princìpi e delle regole che si è data e nelle quali si riconosce.

Solo l'identità costituzionale ci può consentire di riedificare un sistema civile, economico e politico in un momento di crisi profonda. Davanti però a qualsiasi proposta di innovazione bisognerebbe sempre permettere un elemento chiaro ed inderogabile, che cioé al Parlamento i poteri e le garanzie che gli spettano non potranno mai essere sottratti o indeboliti, qualsiasi siano le innovazioni.

Queste accennate sono allora espressione di politica costituzionale alla quale poi si potranno contrapporre altre scelte di diversa politica costituzionale, ma sia chiaro che la contrapposizione in ogni caso non è mai fra vecchio e nuovo (come si vorrebbe mistificare intendendo che il nuovo è sempre migliore e deve spazzare via il vecchio), ma tra una forma di rappresentanza del popolo sovrano, e di governo della cosa pubblica, ed un'altra. In ogni caso quella espressa dalla Carta è sempre il punto di riferimento della cultura democratica ìnsita nel nostro Paese; punto di riferimento saldo che ha la necessità di miglioramento ma che non può essere stravolto sotto la pressione miope ed inconsulta di un malinteso rinnovamento per evitare che ci si avventuri poi in direzioni incognite e dispersive che non hanno via di ritorno ma che restano soggette all'attesa irresponsabile di un nuovo assetto forte atto solo a cancellare l'ordinamento democratico che tanto faticosamente abbiamo conquistato e che non abbiamo intenzione di abbandonare. 

 

Giuseppe Sunseri - Palermo

componente del Comitato referendario costituzionale 2006 e adesso dell'Associazione "Salviamo la Costituzione: aggiornarla non demolirla" nella quale il Comitato si è trasformato con la presidenza di Oscar Luigi Scalfaro.

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