«J'accuse al fascismo, caro Bracco lei è come Zola»

di Alessandro Chetta - 02/06/2017
La lettera inedita di un attore francese spedita al drammaturgo napoletano nel periodo del totale isolamento orchestrato dal regime. Viene pubblicata nel libro di Francesco Soverina che fa il punto sulla figura dimenticata del grande autore

«Non vi ho subito risposto», caro Bracco, «perché non sapevo veramente che rispondere al desolante resoconto della vostra situazione». Il destino del drammaturgo tacitato dal Duce lasciò interdetto Armand Bour, attore francese anni ’30, come lascia ancora esterrefatti noi, oggi. Un solidissimo autore napoletano di fama internazionale che però il Novecento postbellico si perse per strada invece di beatificarlo, sia per meriti artistici che per intransigenza antifascista quale nessun altro intellettuale non politico strictu sensu. Storia nota, ma non a tutti. Come la vicenda del Nobel che il fascismo praticamente gli strappò dalle mani.

E torniamo a Bour, che scrisse una lettera a Bracco perché vinto dal suo genio dopo aver recitato in alcune piéce: Francesco Soverina ha recuperato e tradotto nel libro Il caso Bracco – Una ferita non sanata(Alessandro Polidoro editore) la missiva, inedita, di cui abbiamo citato l’incipit e ora indicheremo l’epilogo. Questo: «(…) anche Zola dopo il suo J’accuse venne insultato da tutti e i suoi ultimi anni furono deplorevoli. Ma fu reso più grande dal suo comportamento. Vivete questa idea che è la sola vera. L’avvenire non è arrivato. Esso è per voi». Vi si compara dunque il coraggio dei due letterati, Zola e Bracco, l’uno per il caso Dreyfus l’altro per il diniego assoluto del Ventennio. Bour sbaglia però la previsione. L’avvenire non è stato per l’autore, morto a Sorrento nel ’43, a una manciata di settimane dalla destituzione di Mussolini (altra beffa).

La copertina del libroLa copertina del libro

Scambiamo due chiacchiere con Soverina, che riaccende col suo testo l’attenzione sul «caso»; richiamino necessario, a mo’ di vaccino, giacché nonostante taluni sforzi storiografici Bracco non è stato ancora pagato.
Come ha scoperto la lettera di Armand Bour?

«L’ho trovata nel Fondo Bracco-Del Vecchio conservato nell’archivio dell’Istituto campano per la Storia della Resistenza, dell’antifascismo e dell’età contemporanea - spiega -. Nel 2007 la nipote, Aurelia Del Vecchio, ha versato tutta la documentazione in suo possesso raccolta nel corso degli anni dal grande drammaturgo. È una fonte preziosa che comprende anche un cospicuo epistolario. La lettera dell’attore Bour è particolarmente significativa per il suo contenuto, in quanto fa esplicito riferimento al momento in cui fu scritta (maggio 1933), segnato dal dilagare della protervia fascista contro gli artisti liberi».

Perché Bracco è stato dimenticato? Persino la pagina su Wikipedia, generalmente compilata dagli ammiratori più che da studiosi, è striminzita.
«L’individuazione e l’analisi delle ragioni della mancata riscoperta sono tra gli aspetti principali del mio libro. Si è trattato di un caso artistico e politico. Fu condannato al silenzio dal fascismo e colpevolmente rimosso dall’Italia repubblicana. Sarebbe risultato imbarazzante rinverdire il ricordo di un artista che durante il Ventennio - a differenza di tantissimi altri intellettuali - non aveva accettato compromessi, rifiutando vantaggi e onori pur di non piegarsi. Un percorso esemplare e istruttivo, dunque, quello di Bracco, che rinvia all’accantonata resa dei conti, da parte degli italiani, con il fascismo, tassello cruciale del loro recente passato. A ciò si aggiunga il reinsediamento o il perdurare, in posti-chiave delle istituzioni afferenti al mondo del teatro, di uomini compromessi con il regime come Nicola De Pirro, Leopoldo Zurlo e Silvio D’Amico. Ha pesato pure, non poco, la pigrizia, la mancanza di coraggio dell’editoria e degli ambienti teatrali».

«Il piccolo santo» di Bracco sembra anticipare un po’ la figura del prete di Walter Siti che nell’ultimo libro, «Bruciare tutto», scrive di un sacerdote che pur attratto da un ragazzino non cede alla tentazione. Ha fatto scandalo (feroce dibattito sui media, ecc.). E il prete ‘santo’ di Bracco come venne accolto negli anni Venti?
«L’opera, messa in scena per la prima volta al Mercadante di Napoli nel 1912, riscosse un grandissimo successo. Un regista del calibro di Luigi Squarzina, che negli anni ’80 aveva in animo di rappresentarla, la considerava un capolavoro, il migliore testo teatrale italiano del Novecento unitamente al Cardinale Lambertini di Giovanni Testori. Al di là del tema scabroso per l’epoca - l’attrazione di don Fiorenzo per una giovane, figlia della donna sposata di cui il sacerdote si era innamorato prima di diventare prete, ma con cui non aveva imbastito nessuna relazione - Il piccolo santo si è ben presto segnalato come un’opera che esplora il subconscio dei personaggi, anticipando di alcuni anni il «teatro del silenzio», dell’«inespresso», lanciato in Francia da Jean Jacques Bernard. Per tali motivi andrebbe riproposta sul palcoscenico quest’opera di Bracco, nonché l’altro suo capolavoro, I pazzi, il cui testo appena uscito (1922) ricevette ben 200 recensioni e fu al centro di un’aspra polemica fra Adriano Tilgher e Lucio D’Ambra. Sarebbe la via principale per far conoscere un autore a lungo trascurato, a cui il regime fascista negò la possibilità di concorrere al premio Nobel, non appoggiando la sua candidatura, la quale era stata avanzata da un gruppo di intellettuali scandinavi, a riprova della stima e della fama di cui Roberto Bracco godeva in Europa».

Come mai anche la sinistra napoletana (e italiana) non ha mai ripreso, sia pure in maniera interessata, la figura di Bracco quale paradigma di «militanza» antifascista?
«Innanzitutto vorrei ricordare sia il numero de L’Italia liberata (aprile 1944) - pubblicazione del Partito d’Azione interamente dedicata a Roberto Bracco - sia la commemorazione data alle stampe nel 1945 dal comunista nolano Vincenzo La Rocca, che nel 1947 terrà alla Camera dei deputati un’orazione sul drammaturgo napoletano. Tuttavia, è vero che la figura di Bracco non è stata valorizzata quale paradigma di ‘militanza’ antifascista e questo perché non rientrava nei canoni - per così dire - classici dell’antifascismo clandestino di sinistra. Sul piano generale, non sono da sottovalutare il clima da guerra fredda e l’imperversare dell’anticomunismo che nel secondo dopoguerra hanno fortemente condizionato il radicarsi di una coscienza antifascista nel Mezzogiorno e le politiche della memoria. Comunque, sia pure in maniera intermittente, sono stati esponenti della sinistra cittadina o studiosi vicini ad essa a rievocare il percorso di un antifascista che, dopo essere stato oggetto della violenza squadristica - gli venne devastata la casa nel 1926 - e del controllo poliziesco della dittatura mussoliniana, è diventato idealmente a Napoli l’anello di congiunzione tra l’Italia del dissenso esplicito e l’Italia del dissenso carsico. Due componenti, due pezzi d’Italia che, insieme con quella delusa e duramente provata dalla guerra, hanno scritto la pagina resistenziale, che si è aperta proprio qui, a Napoli, con l’insurrezione delle Quattro Giornate».

Quanto sarebbe utile la lezione di Bracco oggi sia in politica – terra di trasformisti – sia nel campo morale laddove l’etica pubblica è resa liquida, relativa, ambigua dal parlamentare scomposto su internet?
«Sicuramente controcorrente risulterebbe la sua ‘lezione’, e proprio per questo utilissima, anche se - temo - sarebbe poco ascoltata. Nell’Italia di oggi, dove il trasformismo e la corruzione sono fenomeni palesi e corposi, la sua dirittura morale, la sua coerenza intellettuale sono beni difficili da trovare. Questo vale anche per l’Italia dell’epoca fascista. Mentre Roberto Bracco veniva oscurato, non pochi gerarchi del regime - tra cui Farinacci - accumulavano ingenti patrimoni, e numerosi intellettuali, dopo aver talvolta compiuto veri e propri voltafaccia, si mostravano inclini al più bieco opportunismo e servilismo».

Bracco si distinse da altri intellettuali italiani in modo evidente.
«Un altro insegnamento o monito ci viene dalla sua figura: il dovere - in un certo senso - per l’intellettuale, per l’artista di non rincorrere le mode, di non inseguire il successo per il successo, ma di farsi interprete del suo tempo, di fornire, con gli strumenti che gli sono propri, chiavi di lettura per comprendere, per decifrare il presente nelle sue dimensioni e implicazioni, assumendo - se è il caso, se le circostanze lo impongono - posizioni non dettate da tornaconto personale, ma dai principi e ideali in cui ci si riconosce. Bracco l’ha fatto in tre momenti cruciali per la storia italiana ed europea, manifestando la sua disapprovazione per l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale; firmando nel 1919 - insieme con Croce, Einstein, Russell, Barbusse, Zweig e altri - la Déclaration di Romain Rolland per l’autonomia degli intellettuali dal potere politico; schierandosi nel 1924 contro il fascismo al fianco di Giovanni Amendola».

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