Perché il Jobs Act deve essere modificato

di Il Manifesto - 07/11/2014
L'analisi. Un gruppo di giuslavoristi di tre riviste sul lavoro evidenzia tutti i rischi legati all'attuale formulazione del ddl delega. Con la speranza che possa cambiare alla Camera

opo l’approvazione del Jobs Act da parte del Senato le cri­ti­che e le pole­mi­che non si sono pla­cate. Anche tre rivi­ste scien­ti­fi­che spe­cia­liz­zate sui temi del lavoro – Diritti Lavori Mer­cati; Lavoro e diritto; Rivi­sta giu­ri­dica del lavoro – sono inter­ve­nute, in vista della discus­sione del testo alla Camera, offrendo un con­tri­buto (il testo inte­grale è sca­ri­ca­bile dal sito della Cgil). E così – secondo il loro parere – va con­di­visa l’esigenza, espressa dal governo, di sem­pli­fi­care la legi­sla­zione del lavoro. Tut­ta­via il dise­gno di legge delega numero 1428 (ora A. C. numero 2660) merita un serio ripensamento.

Sono stati evi­den­ziati i rischi di inco­sti­tu­zio­na­lità del ddl delega, lad­dove esso pro­pone di «eli­mi­nare» e «sem­pli­fi­care» le norme «inte­res­sate da rile­vanti con­flitti di inter­pre­ta­zione». Per la nostra Costi­tu­zione la delega va sem­pre pre­ci­sata, oltre­ché negli oggetti, anche nei prin­cipi e cri­teri diret­tivi, per evi­tare il potere asso­luto del governo nel disci­pli­nare mate­rie ordi­na­ria­mente di spet­tanza del Parlamento.

D’altra parte nella legi­sla­zione del lavoro sono mol­tis­sime le norme che hanno dato luogo a con­flitti inter­pre­ta­tivi: se si vogliono evi­tare ope­ra­zioni al buio, l’esautoramento del Par­la­mento e futuri inter­venti demo­li­tori della Corte costi­tu­zio­nale occorre dun­que pre­ci­sare fin dall’inizio quali sono le norme da cam­biare e in quale dire­zione. Lo stesso può dirsi in mate­ria di san­zioni; altret­tanto vaga è l’auspicata nuova disci­plina di con­tra­sto del lavoro nero; infine non appare chiaro quale sia l’obbiettivo della sem­pli­fi­ca­zione nel rifor­mare l’universo dei lavori atipici.

La con­trad­di­zione con il dl Poletti

Ancor più deli­cato è il tema del con­tratto a tutele cre­scenti: non si com­prende – osser­vano le tre rivi­ste – quale sia la base di par­tenza dei diritti garan­titi fin dall’inizio, né come tali diritti cre­sce­ranno nel corso del tempo, né quale sarà l’approdo finale. Non è chiaro nem­meno se que­sto nuovo con­tratto eli­mi­nerà, come dovrebbe essere, il con­tratto a ter­mine senza causale.

Se infatti nei primi tre anni il con­tratto a tutele cre­scenti è sog­getto a licen­zia­mento libero, non ha senso pre­ve­dere un con­tratto a ter­mine anche di poche set­ti­mane privo di moti­va­zione. Il con­tratto a ter­mine dovrebbe ritor­nare a essere quello di un tempo: valido cioè solo in pre­senza di esi­genze azien­dali tem­po­ra­nee e specifiche.

Lo stesso discorso vale per l’apprendistato, che dovrebbe risco­prire la sua voca­zione essen­ziale di auten­tico con­tratto for­ma­tivo. E quand’anche l’uno e l’altro con­tratto venis­sero rifon­dati, reste­rebbe comun­que un pro­blema: come evi­tare che ven­gano licen­ziati i lavo­ra­tori anziani, ancora bene­fi­ciari delle vec­chie tutele, per assu­mere ex novo con le norme meno garantiste?

È poi dav­vero sin­go­lare che ven­gano esclusi dalla gesta­zione della riforma i sin­da­cati e le altre forze sociali; il loro coin­vol­gi­mento è neces­sa­rio per­ché pre­vi­sto sia dalla Costi­tu­zione ita­liana (arti­coli 39, 40, 46) che dalla Carta dei diritti fon­da­men­tali dell’Ue. D’altra parte chi meglio di loro è in grado di pilo­tare la risi­ste­ma­zione legi­sla­tiva in modo che tenga effet­ti­va­mente conto delle tra­sfor­ma­zioni del mer­cato del lavoro?

I muta­menti inter­ve­nuti richie­dono comun­que un’attenta ride­fi­ni­zione della nozione di “lavo­ra­tore subor­di­nato”; nozione che nell’attuale con­te­sto eco­no­mico si deve poter espan­dere, onde ammet­tere a tutela ogni lavoro pre­stato personalmente.

Nel corso della riforma occorre evi­tare, poi, di rele­gare ancora una volta nell’ombra il lavoro pub­blico “pri­va­tiz­zato”. Dimen­sione que­sta fon­da­men­tale non solo per una sana parità di diritti e di doveri tra lavo­ra­tori “pub­blici” e pri­vati, ma soprat­tutto per una vera riforma della pub­blica amministrazione.

La nuova rego­la­men­ta­zione, tanto recla­miz­zata, sugli ammor­tiz­za­tori sociali, sui ser­vizi per il lavoro e sulle poli­ti­che attive non si inne­sta ancora in una pro­spet­tiva di un wel­fare moderno, dina­mico, vale­vole per tutti. Appa­iono discu­ti­bili alcune dispo­si­zioni: la pre­vi­sione che con­di­ziona le tutele alla «sto­ria con­tri­bu­tiva dei lavo­ra­tori»; la ridu­zione degli oneri con­tri­bu­tivi (con pro­ba­bile ridu­zione delle pre­sta­zioni); il diniego della cassa inte­gra­zione in caso di ces­sa­zione di ramo d’azienda; le dispo­si­zioni rela­tive alla dispo­ni­bi­lità dei dati circa la sto­ria per­so­nale dei lavo­ra­tori che, ove resi acces­si­bili alle agen­zie pri­vate, con­sen­ti­reb­bero nuove pra­ti­che di black listing.

La deroga nel con­tratto aziendale

E infine non si può più riman­dare una rego­la­men­ta­zione che fac­cia chia­rezza sulle que­stioni gene­rali: a quali con­di­zioni ecce­zio­nali un con­tratto azien­dale può dero­gare a norme di legge? D’altra parte occorre final­mente una disci­plina che chia­ri­sca per chi è effi­cace il con­tratto col­let­tivo e come ren­derlo effet­ti­va­mente inde­ro­ga­bile; chi ammet­tere alle trat­ta­tive sin­da­cali; come bilan­ciare l’alleggerimento delle tutele indi­vi­duali con il con­trollo col­let­tivo dei lavo­ra­tori sulle poli­ti­che aziendali.

***Sin­tesi di un docu­mento pub­bli­cato dalle rivi­ste: Diritti Lavori Mer­cati; Lavoro e diritto; Rivi­sta giu­ri­dica del lavoro. All’interno dello stesso arti­colo il link al testo integrale.

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