Prescrizione: nel paese di ‘mafia Capitale’ è la Costituzione la causa

di Daniela Gaudenzi - Il Fatto Quotidiano - 03/12/2014

La prescrizione è ritorna in primo piano in primo luogo per i dati, se possibile ancora più allarmanti, sconcertanti che nei decenni precedenti e totalmente inspiegabili all’estero, almeno nelle cosiddette democrazie avanzate. Nell’ultimo decennio in Italia sono andati al macero per decorrenza del tempo oltre un milione e mezzo di processi e nel 2013 si è verificata un’impennata con 10.000 prescrizioni in più dell’anno precedente. Ma quello che ha voluto sottolineare il viceministro della Giustizia, Enrico Costa è come il 70% dei procedimenti si prescriva già prima del dibattimento.

E la morale, secondo il vice di Orlando in quota Ncd, già  relatore del Lodo Alfano, nonché sostenitore della “natura ministeriale” dell’ ordine di Berlusconi per l’affidamento di Ruby alla Minetti in quanto “nipote di Mubarak oltre che grande indignato per la decadenza del Cavaliere, è che le cause non debbono essere attribuite alle manovre dilatorie dei difensori e agli effetti della ex-Cirielli ma all’obbligatorietà dell’azione penale prevista dall’art. 112 cost. O meglio al “dribbling” dei Pm “politicizzati” che volendo discrezionalmente iniziare solo i processi contro i politici per sete di potere e visibilità, lascerebbero perire nella fase iniziale tutti gli altri: solo che così dicendo è un po’ arduo spiegare la serie di cosiddette  “assoluzioni” per  prescrizione di cui hanno goduto potenti di ogni ordine e grado.

Un modo per ribadire, come si è avuto modo di constatare finora, che il governo non ha nessuna intenzione di procedere in modo netto e determinato sul fronte ogni giorno più drammatico della lotta alla criminalità organizzata politico-mafiosa. E non intende farlo né riducendo i tempi della prescrizione per i reati di corruzione, concussione, falso in bilancio, false fatturazioni riciclaggio e collegati né, tantomeno, introducendo in modo serio il reato di autoriciclaggio, in Italia più “opportuno” che altrove.

Quanto sia stato superato il livello di guardia e come il paese sprofondi in un vortice criminale di qualità e dimensioni che destano stupore anche in chi si occupa di corruzione da decenni lo conferma in queste ore il bilancio di mafia Capitale.    

 

Non ci sono “solo”  i 37 arresti per un’inchiesta su una ramificazione gigantesca di interessi criminali spalmati tra appalti, municipalizzate, finanziamenti pubblici dal 2008 al 2013. C’è un assortimento molto variegato di personaggi, accomunati dal 416-bis (associazione a delinquere di stampo mafioso) che include, tra gli altri, l’ex-sindaco Alemanno e Massimo Carminati  nome storico della banda della Magliana, funzionari infedeli signori degli appalti e una serie bipartisan di consiglieri regionali, un assessore del comune di Roma il presidente del consiglio comunale.

E gli inquirenti hanno evidenziato come mafia Capitale si contraddistingua per “originalità” e “originarietà” pur essendo perfettamente inquadrabile nell’associazione mafiosa dedita alla corruzione, estorsione, falsificazione contabile, turbativa d’asta e tutta la serie completa dei reati che hanno caratterizzato il ventennio dell’affarismo politico-mafioso post Tangentopoli. Emblematica in proposito “la teoria del mondo di mezzo, compà… in cui tutti si incontrano … come è possibile che domani posso stare a cena con Berlusconi” illustrata dal sempreverde uomo di spicco della banda della Magliana, che pensavamo fosse solo un ricordo nefasto dell’Italia dei palazzinari, di Andreotti e dello Ior.

Il segnale della discontinuità sul fronte della giustizia e sul fenomeno abnorme della prescrizione che la vanifica, anzi l’inversione ad U che il paese, non può più attendere è la priorità delle priorità, anche se l’agenda politico-mediatica è troppo concentrata nella fatwa anti-grillo e nella demonizzazione dell’opposizione. Quasi sessant’anni fa l’inchiesta di Manlio Cancogni sullo scempio urbanistico di Roma ad opera dei soliti noti di sempre attraverso gli appalti manipolati, e con il contributo dello Ior, s’ intitolava Capitale corrotta, Nazione infetta.

Nemmeno il peggiore dei gufi avrebbe potuto prevedere che,  in un dicembre di 59 anni dopo,  il titolo sarebbe stato perfetto ma solo con un aggettivo in più: mafiosa.

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