Processo Mediaset, dalla legge del più forte alla legge uguale per tutti

di Daniela Gaudenzi - Il Fatto Quotidiano - 03/08/2013
La legge Severino prevede in caso di condanna definitiva l’incandidabilità per 6 anni e la decadenza immediata per chi è già in carica.

La sentenza irrevocabile di condanna a quattro anni per frode fiscale  a carico di Silvio Berlusconi immediatamente esecutiva, senza alcuna ratifica da parte di nessuno, è già stata inoltrata dalla Cassazione e la procura della repubblica di Milano ha emesso il decreto con sospensione per la rideterminazione della pena accessoria; immediatamente dopo la comunicazione verrà inoltrata al Senato nel rispetto della legge Severino che prevede in caso di condanna definitiva l’incandidabilità per 6 anni e la decadenza immediata per chi è già in carica.

La fotografia in termini giuridici della situazione da condannato con sentenza definitiva del senatore Silvio Berlusconi è molto chiara e semplice, inclusi i “dettagli” ulteriori del ritiro del passaporto e della rinuncia forzata al titolo di cavaliere (Cav per i residui fan) che sarà un motivo di ulteriore prostrazione per Giuliano Ferrara, già in tilt come dimostra l’aggettivazione che ha riservato alla sentenza: “vile e cazzona”.

In effetti la Corte di Cassazione, dal Palazzaccio che rievoca porti delle nebbie antichi e recenti, ha stabilito un precedente pericolosissimo per tutti quelli che da vent’anni a questa parte hanno in modo sempre più consapevole occultato il sistema Berlusconi-Mills, soprattutto dal 2001 in poi quando è stata acclarata in modo inoppugnabile la galassia delle società off shore, ben 64, per alimentare la mole di fondi neri da destinare alla corruzione. 

I giudici della temutissima sezione feriale meno “controllabile” dell’auspicata terza sezione, da poche ore ascritti alla parte di magistratura che lo perseguita per fini politici nel videomessaggio “di lotta e di governo”  post condanna, hanno ristabilito il principio dell’uguaglianza davanti alla legge dopo vent’anni all’insegna della legge del più forte.

A questi giudici “conservatori” ignoti alle cronache giudiziarie e disperatamente accumunati dai pasdaran berlusconiani all’elenco delle toghe “politicizzate” è toccato casualmente di dimostrare che l’impunità, nonostante tutte le forze messe in campo, non è garantita e garantibile all’infinito.  

Per questo la data del 1° agosto 2013 ha mandato in frantumi il sistema spacciato come inamovibile ed insuperabile fondato sulla impossibilità auspicata da tutto il sistema politico, con l’eccezione di chi sta facendo realmente opposizione in questo parlamento, di vedere condannato irrevocabilmente il dominus di una politica putrescente e l’emblema di un conflitto di interessi senza precedenti.

Naturalmente non ci si può aspettare che una sentenza che pure mette la parola fine a tutte le menzogne spacciate per verità e al chiacchiericcio confusionario e pretestuoso di contorno, produca gli effetti conseguenti ed automatici che sarebbero scattati in qualsiasi paese normale e civile.

Il solo fatto che  ”la riforma della giustizia” ,sulla traccia dei cosiddetti saggi, improntata ai precedenti già noti dai tempi della Bicamerale che si propone di accorciare i tempi delle indagini, ostacolare le intercettazioni e mettere il CSM sotto tutela politica con il pretesto di “spoliticizzarlo”, sia stata rilanciata all’unisono dal condannato e dal presidente della Repubblica, a sentenza ancora calda, chiarisce gli intendimenti prossimi venturi.

Letta nipote ha ribadito che sarebbe “un delitto” far cadere questo esecutivo, che ha i numeri per licenziare una simile riforma con prevedibile annessa amnistia.  Ma forse è il caso di ricordare che ha solo i numeri.

Perché il Pd non può pensare di fare ingoiare ancora una volta in modo indolore ai suoi elettore  un colpo di mano di questa portata, soprattutto dopo che il sistema fondato sulla presunta onnipotenza berlusconiana è imploso e nessuno può più dubitare a questo punto che il cadavere si può temporaneamente trascinare solo per merito del suo partner di “larghe intese”.

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