Un contratto di governo oltre la democrazia parlamentare rappresentativa

di Antonio Caputo - 19/05/2018

Leggendo la bozza semidefinitiva di contratto che dovrebbe essere sottoscritto da Di Maio e Salvini, ci assale il dubbio e non solo un dubbio. A prescindere dal fatto che diventi effettivamente documento fondativo della sacra unione tra i due, rivela pulsioni illiberali ovvero lontane dalla costituzione che fanno riflettere.

 

La democrazia parlamentare costituzionale rischia di traballare, mentre dietro il paravento del popolo sovrano, in realtà assente dalla trattativa di chi si presentò alla elezioni proponendo altro, si affaccia un modello di segno potenzialmente autoritario e illiberale.

 

Sul palcoscenico compaiono nuovi/vecchi aspiranti governanti che si proclamano democratici, affermando il popolo è la fonte del potere. Nella realtà c'è aria di democrazia senza democrazia o democrazia recitativa, secondo la feconda espressione del Prof.Emilio Gentile, o oligarchia, nel nostro caso con prevalenza dei due dioscuri autoproclamati "capi", in attesa del primo plebiscito di una serie ulteriore, il gazebo e Rousseau. Democrazia dell'investitura (il capo della forza politica dell'insano Rosatellum) che si fa democrazia dei plebisciti.

 

In particolare, nella parte dedicata pomposamente alle "riforme istituzionali, pagina 23 di quel che viene chiamato contratto, quasi che si trattasse di un negozio di diritto privato che vincola come tale i soli contraenti, il modello di democrazia parlamentare rappresentativa, fondata sul divieto di mandato imperativo per chi rappresentando la nazione, la comunità diremmo, non sia al servizio del capo del partito o della fazione, viene superato.

 

Introducendo il vincolo di mandato con la revisione dell'art.67 della Costituzione. Quasi che il contraente Salvini non abbia abbandonato, tanto per dare l'esempio, il programma con cui è andato alle elezioni del 4 marzo così come il suo gemello Di Maio, entrambi l'un contro l'altro armati il giorno delle elezioni e ora uniti dal bacio del murales romano e non solo, in attesa delle centinaia di nomine che attendono a breve il governo.

Alla faccia della sovranità popolare! Che dovrebbe suggerire a Mattarella di non conferire un mandato a nessuno dei 2. Giovanni Sartori sul Corriere della sera del 6 novembre 2013, a proposito degli stravaganti contratti che venivano firmati dagli aspiranti parlamentari 5 stelle e non solo, scriveva:

"Beppe Grillo è un formidabile attore e demagogo. Probabilmente anche Masaniello lo era nella Napoli del suo tempo del 1600. Ma Masaniello non aveva l'elettricità (intendi: microfoni, televisione, internet e bambini derivato). Masaniello arrivava a Napoli. Grillo arriva a tutta Italia. Poteva essere fermato? Può essere fermato?

L'Italia pullula di giuristi e anche di giuristi davvero insigni. Eppure a nessuno è venuto in mente, a quanto pare, l'art. 67 della nostra Costituzione per il quale ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le funzioni senza vincolo di mandato. Questa disattenzione è spiegabile? Forse sì, perché le nostra facoltà di Giurisprudenza si sono chiuse in "formalismo" così introverso da ignorare una norma inserita in tutte le costituzioni delle libere democrazie europee sin dalla Rivoluzione francese".

Nel celebre discorso del 7 settembre 1789 dell'abate Sieyés all'Assemblea costituente parigina che ha prodotto la Dichiarazione che inaugurò il costituzionalismo moderno nel continente, stanno le ragioni del divieto, a base del principio stesso della democrazia rappresentativa:

"È inammissibile il mandato imperativo come se ciascun deputato fosse il commesso del proprio committente (il collegio elettorale) un deputato lo è della nazione intera; tutti i cittadini ne sono i mandanti ... non c'è né può esservi, per un deputato altro mandato imperativo, o del pari, altre aspirazioni, che quelle nazionali; non deve dar ascolto ai suggerimenti dei suoi elettori se non quando siano conformi ai desideri generali. Il popolo o la nazione non può avere che una sola voce, quella della legislatura nazionale"

E non la voce del partito o del capo partito o oligarchia o fazione.

"Ogni Società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei Poteri determinata, non ha Costituzione", recita l'art.16 della Dichiarazione del 1789 che segna l'ingresso della sovranità popolare nelle Istituzioni attraverso l'Assemblea legislativa dei rappresentanti della Nazione.

È sufficiente leggere il discorso di Sieyés all'Assemblea costituente contro il mandato imperativo del settembre 1789, o il decimo saggio del "Federalista" per comprendere che il frazionamento pluralistico di una rappresentanza elettiva era ciò che questi più temevano; ed il senso di quel "rappresentare la Nazione" (o il popolo) e di agire senza dipendenze è in gran parte rivolto contro gli esiti paralizzanti di un eccessivo frazionamento dell'istituzione, o delle istituzioni, rappresentative e la loro cannibalizzazione in senso oligarchico partitocratico o personalistico e clientelare o tirannico.

Ma c'è un punto del contratto che desta allarme. La parte introduttiva di un contratto sottoscritto da 2 persone fisiche, Di Maio "capo politico", Salvini "segretario della Lega". Con tanto di firma autenticata, come se non avessero fiducia nella identità di chi sottoscriverà o si trattasse di un atto privatistico e personale.

D'altronde entrambi, recita il testo, in quanto contraenti "si impegnano a tradurre questo contratto in una pratica di governo e sono insieme responsabili di tutta la politica dell'Esecutivo", il Parlamento e i parlamentari sullo sfondo.

Compare a questo punto il Direttorio, nella forma di un "Comitato di conciliazione" che interviene "qualora nel corso dell'azione di governo emergano diversità per l'applicazione del presente accordo" o anche per nuove tematiche o qualunque altra questione. In tal caso, "le azioni riguardanti i temi controversi saranno sospese per almeno (sic!) 10 giorni". Almeno!?

Parlamento nell'angolo e nel dimenticatoio, governo esautorato o "sospeso", in attesa della decisione condizionata inevitabilmente dal volere dei capi, in quanto garanti dell'accordo e della sua attuazione. Interpreti ultimi. Comitato composto da presidente del consiglio dei Ministri, "capo politico" dei 2 partiti, presidenti dei rispettivi gruppi parlamentari, ministro competente.

Con la partecipazione come "uditore" del ministro responsabile dell'attuazione del programma, e in aggiunta, "nonché di altri eventuali soggetti indicati dal Comitato"( sic!).

Voce dal sen fuggita? È pur vero che dopo l'anticipazione di HuffPost del testo di cui sopra, nell'ultima versione del 17 maggio si parla o parlerebbe solo di un "Comitato di conciliazione" senza specificazioni ulteriori,è pur vero però che qualcuno dovrà formarlo e il non dire chi lascia liberi i 2 ambiziosi dioscuri di riempirlo a piacimento.

Costituzionalizzando senza rivedere formalmente alcunché la loro volontà di potenza e che, se no?

Direttorio di stampo simil napoleonico (il terzo) che nulla ha a che fare con il Consiglio di Gabinetto previsto dalla legge 23 agosto 1988, n. 400,Disciplina dell'attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

"Il presidente del Consiglio dei Ministri, nello svolgimento delle funzioni previste dall'articolo 95, primo comma, della Costituzione, può essere coadiuvato da un Comitato, che prende nome di Consiglio di Gabinetto, ed è composto dai Ministri da lui designati, sentito il Consiglio dei Ministri".

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