Esattamente tra una settimana, sabato prossimo, l’Italia civile scende in piazza a Roma
 con la parola d’ordine “realizzare la Costituzione”. Dopo il voto di 
fiducia al governo Lettalfano dei berlusconiani di ogni risma e del 
Delinquente di Arcore in prima persona, e dopo la proposta della Giunta 
del Senato perché l’assemblea plenaria, entro venti giorni, decreti la 
cacciata di Berlusconi da Palazzo Madama, alcune cose devono essere 
chiare.
Primo: impegnarsi per “realizzare la Costituzione” 
significa combattere il governo Lettalfano senza se e senza ma. Non solo
 perché questo governo, con la legge che aggira ignobilmente l’articolo 
138 della Costituzione, è intenzionato a rottamare la Carta repubblicana
 anziché realizzarla, ma perché tutto il suo programma è improntato alla
 difesa dei privilegi anziché a una politica di “giustizia e libertà”, 
l’unica che possa far uscire l’Italia dalla crisi. Il candidato 
democratico a sindaco di New York, Bill De Blasio, sta avanzando un 
programma di rilancio accentuato del welfare. A chi gli chiede dove 
troverà i soldi per finanziarlo, in questi tempi di crisi, risponde 
soavemente “togliendoli ai ricchi”. Non risulta che De Blasio sia un 
pericoloso bolscevico, tutt’altro. In effetti la redistribuzione del 
reddito e delle ricchezze è l’abc di ogni politica riformista e 
gradualista. Non realizzarla significa mettere politica e governo al 
servizio di banchieri-biscazzieri e ogni sorta di profittatori, fino 
all’intreccio politico-corruttivo-mafioso. 
La Costituzione ha 
certamente bisogno di alcuni cambiamenti, che la rendano più coerente 
rispetto alla sua logica di fondo ispirata a “giustizia e libertà”. Ad 
esempio l’abrogazione dell’articolo 7, del recente obbligo al pareggio 
di bilancio, e anche del bicameralismo (con riduzione radicale del 
numero dei deputati). A parte una versione più o meno light del terzo 
punto, per il resto i famosi “saggi”, nominati prima da Napolitano e poi
 dal governo, hanno lavorato in una direzione opposta, che infligge 
picconate proprio all’impianto “giustizia e libertà” della Carta, 
edulcora la divisione dei poteri, inserisce elementi autoritari, e via contro-riformando. 
Secondo:
 impegnarsi per “realizzare la Costituzione” significa battere in 
breccia ogni peccaminosa tentazione da “sepolcri imbiancati” per quanto 
riguarda il ruolo che il Presidente Napolitano sta svolgendo in questa 
temperie di contro-riforma (tanto per non fare nomi: il presidente 
dell’Arci, parlamentare Pd, se non sbaglio ha votato per l’aggiramento 
del 138, e l’Anpi pone come condizione della sua partecipazione che non 
si prenda posizione sul governo). Non c’è commentatore che non 
sottolinei, con peana di prosternata ammirazione, come da mesi e mesi 
(in realtà ben prima della rielezione), il Colle più alto sia la cabina 
di regia di tutte le vicende politiche e istituzionali italiane. Il 
governo Monti prima e il governo Letta poi sono sue creature, volute e 
ottenute sulla desertificazione di ogni altra ipotesi, benché 
chiarissimo fosse il risultato delle urne: due terzi di italiani che 
esigevano la fine del ventennio del berlusconismo e degli inciuci.
Dunque,
 non si può essere contro il governo Lettalfano senza sottoporre a 
critica ineludibile l’azione del Presidente Giorgio Napolitano, e non si
 può essere per la “realizzazione della Costituzione” senza combattere 
il governo Lettalfano. La conclusione è sillogistica. Non trarla 
significa rinunciare a “realizzare la Costituzione” e perfino diluire la
 semplice “difesa della Costituzione” a dosi omeopatiche. I cittadini 
che sabato 12 ottobre scenderanno in piazza ne sono perfettamente 
consapevoli.
 Non si può essere contro il governo Lettalfano senza sottoporre a critica ineludibile l’azione del Presidente Giorgio Napolitano, e non si può essere per la “realizzazione della Costituzione” senza combattere il governo Lettalfano.
          
    
