Contro il “premierato assoluto”. Intervista a Luigi Ferrajoli

di Duccio Facchini - Comitato per il NO alla riforma costituzionale - 04/11/2016
La riforma della Costituzione e l’Italicum riducono la democrazia parlamentare. Ecco perché il Professore L. Ferrajoli invita a votare “No” al referendum del prossimo 4 dicembre

La retorica del “si” è che questa “riforma” è l'occasione per superare il bicameralismo. Lei al contrario ha sostenuto che ne uscirebbe un “monocameralismo sommamente imperfetto”, che cosa intende?

Ne risulterebbe un momocameralismo imperfetto per due ragioni.

In primo luogo perchè il monocameralismo implica il sistema elettorale proporzionale, esattamente rappresentativo dell'intero elettorato, grazie al quale i governi e le maggioranze si fanno in Parlamento mediante il confronto pubblico e trasparente e restano poi subordinati alla volontà di un'unica Camera. Con un sistema maggioritario come quello introdotto dal cosiddetto Italicum, che è sostanzialmente una riedizione del vecchio Porcellum, la sera delle elezioni non si saprà soltanto chi ha vinto, come vantano i suoi sostenitori, ma anche che per cinque anni saremo governati da un “capo”, espressione di una minoranza trasformata automaticamente in una maggioranza assoluta che ben difficilmente sarà in grado di sfiduciarlo. Avremo così la trasformazione della nostra democrazia parlamentare in quella che Leopoldo Elia chiamò un “premierato assoluto”, ben più autocratico di qualunque regime presidenziale nel quale, come negli Stati Uniti, parlamento e funzione legislativa sono totalmente separati e indipendenti dall'esecutivo. Il Parlamento italiano si ridurrà ad un organo decorativo di ratifica plaudente alle decisioni del governo, a questo legato da un rigido rapporto di fedeltà.

 

Il secondo ordine di ragioni dell'imperfezione di questo strano monocameralismo consiste nel fatto che il Senato non è affatto abolito, ma è sostituito da un Senato eletto non dai cittadini, come vorrebbe il principio della sovranità popolare, ma dai Consigli regionali “in conformità” - non è chiaro in quale forma e grado - “alle scelte espresse dagli elettori”, e tuttavia dotato di molteplici competenze legislative. Resterà dunque un bicameralismo perfetto per una serie di leggi importantissime, come le leggi costituzionali, le leggi di revisione costituzionale, le leggi elettorali ed altre di rilevanza istituzionale, in ordine alle quali sarà richiesto come oggi l'approvazione di entrambe le Camere. Per altri tipi di leggi si richiederanno gradi diversi di partecipazione del Senato. Avremo perciò più tipi di fonti e procedure, differenziati sulla base di materie ad esse attribuite, con conseguente incertezza sulle fonti volta a volta competenti e perciò contenziosi continui su questioni di forma che finiranno per allungare i tempi dei procedimenti e per investire la Corte costituzionale di una mole imprevedibile di ricorsi di incostituzionalità per difetti di competenza.

 

Quali sono i punti ed i passaggi del combinato Ddl costituzionale-legge elettorale? Qual è il “rischio” più grande?

 

Il rischio più grande, determinato dall'azione congiunta della riforma costituzionale e della nuova legge elettorale, è quello di cui ho già parlato: l'involuzione in senso autocratico dell'assetto istituzionale, l'emarginazione del Parlamento, la crescita della distanza fra sistema politico e società. Del resto questi processi sono in atto da anni e la riforma serve sostanzialmente a costituzionalizzarli.

 

La costituzione italiana, inoltre, non sarà più la stessa. Per il clima di scontro nel quale è stata approvata, sarà percepita come frutto di un colpo di mano, di un atto di prepotenza e prevaricazione sul parlamento e sulla società. Sarà la costituzione non della concordia ma della discordia; non del patto pre-politico, ma della rottura del patto implicito in ogni movimento costituente: una costituzione, in breve, che divide e non che unisce come dovrebbero invece fare tutti i patti costituzionali.

 

 

Se c'è una questione che non ha nulla a che fare con le funzioni di governo è precisamente la Costituzione. Come giudica il comportamento dell'esecutivo, fin dalla sua proposta originaria?

 

Piero Calamandrei diceva che in occasione del dibattito parlamentare sulla Costituzione i banchi del governo dovevano restare vuoti. Questa invece è una riforma interamente promossa e gestita dal governo, al punto che su di essa il Presidente del consiglio è giunto al punto di mettere la “fiducia” da parte dell'elettorato, manomettendo il ruolo del referendum costituzionale, da lui trasformato in un plebiscito politico su se stesso.

 

A proposito del Ddl costituzionale, nell'ambito di diversi interventi, ha fatto riferimento a un “oltraggio al costituzionalismo”

 

Mi riferisco a tre oltraggi al costituzionalismo, cioè al ruolo e all'idea delle costituzioni in quanto tali, inferti da tre aspetti della riforma.

 

Il primo radicale aspetto di legittimità, di solito ignorato, è l'indebita trasformazione del potere di revisione costituzionale previsto dall'art 138, che è un potere costituito, in un potere costituente non previsto dalla nostra Costituzione e perciò anticostituzionale ed eversivo. La legge di revisione Renzi-Boschi, infatti, investe l'intera seconda parte della Costituzione: ben 47 articoli su un totale di 139. Non è quindi, propriamente, una ”revisione”, ma un'altra costituzione, diversa da quella del 1948.

 

Ebbene, il potere di revisione previsto dall'Art. 138 è un potere costituito, il cui esercizio può consistere solo in singoli e specifici emendamenti onde sia consentito ai cittadini, come ha più volte stabilito la Corte costituzionale, di esprimere consenso o dissenso, nel referendum costituzionale, ad ogni singola revisione. E' una questione elementare di grammatica giuridica: l'esercizio di un potere costituito non può trasformare lo stesso potere del quale è esercizio in un potere costituente, che è un potere sovrano che l'Art 1 della Costituzione attribuisce al popolo e solo al popolo. Ci troviamo insomma di fronte a un eccesso o peggio a un abuso di potere, per di più da parte di un parlamento di nominati eletto con una legge dichiarata incostituzionale e interamente subalterno all'iniziativa governativa.

 

Il secondo oltraggio al costituzionalismo consiste nel metodo con cui questa riforma è stata approvata.

 

Non è così che si trattano le costituzioni. Le costituzioni sono patti di convivenza, che stabiliscono le pre-condizioni del vivere civile, idonee a garantire tutti, maggioranze e minoranze, e che perciò richiedono il massimo consenso. La Costituzione di Renzi, come ho già detto, divide: una costituzione neppure di maggioranza, ma di minoranza, essendo stata approvata poco più che dal partito di governo che alle elezioni aveva preso il 25% dei voti, corrispondente a poco più del 15% degli elettori, trasformati però, dalla legge elettorale Porcellum dichiarata incostituzionale, in una fittizia maggioranza assoluta, per di più compattata dalla disciplina di partito e dal trasformismo governativo di gran parte dei suoi esponenti.

Non solo. Questa minoranza ha imposto la sua costituzione con lo spirito arrogante e intollerante delle maggioranze, rifiutando il confronto con le opposizioni e perfino con il dissenso interno, strozzando il dibattito, pervenendo all'approvazione contro le proteste di tipo aventiniano. Non si potrebbe immaginare anticipazione più illuminante di quelli che saranno i rapporti tra governo e parlamento se questa riforma andasse in porto: un parlamento ancor più umiliato, espropriato delle sue classiche funzioni, di fatto una propaggine dell'esecutivo.

 

Il terzo aspetto riguarda i contenuti, più sopra illustrati. Ci dicono che la riforma riguarda solo la seconda parte della Costituzione e non anche la prima, dedicata ai diritti dei cittadini. Ma è chiaro che il rafforzamento dell'esecutivo determinato dalla trasformazione del Parlamento in un organo di


ratifica consentirà al governo mani libere nelle aggressioni allo stato sociale e ai diritti dei lavoratori. “Ce lo chiede l'Europa”, affermano i nuovi costituenti a proposito delle loro riforme. Purtroppo è vero: tramite l'Europa i mercati ci chiedono l'involuzione autocratica delle nostre democrazie, affinchè i nostri governi abdichino al loro ruolo di governo dell'economia e della finanza, eseguano i dettami di questi nuovi sovrani che sono i mercati e possono quindi liberamente aggredire i diritti sociali e del lavoro.

 

Perchè a suo giudizio, le Costituzioni sono “scomparse dall'orizzonte della politica”?

 

Perchè la subalternità dei governi ai mercati impedisce loro di attuare il progetto costituzionale disegnato dalle Costituzioni, come invece fu fatto nei primi trenta anni della nostra Repubblica. Aggressioni al lavoro, alla sanità e alla scuola pubblica sarebbero state inconcepibili fino a tutti gli anni settanta, allorquando era ancora vivo il ricordo della mancanza di limiti al potere esecutivo. Oggi il crollo dei partiti e il credo liberista rendono del tutto inattuale la Costituzione e l'insieme dei suoi valori, dell'uguaglianza al lavoro e ai diritti sociali.

 

Lei ritiene che la Costituzione vigente necessiti di interventi di modifica? Se sì, in quale direzione?

 

La prima e più importante modifica dovrebbe essere l'aggravamento della procedura di revisione, quanto meno elevando ai due terzi dei membri del parlamento la maggioranza qualificata per la sua approvazione.

 

Occorrerebbe poi quantomeno dimezzare o ridurre ad un terzo gli attuali parlamentari (duecento o al massimo trecento deputati e cento senatori sarebbero sufficienti).

 

Si potrebbe anche riservare la fiducia alla sola Camera dei deputati, lasciando al Senato le attuali funzioni legislative, attribuendogli in materia di inchieste poteri esclusivi, che certamente uscirebbero rafforzati dalla mancanza del rapporto di fiducia con il governo e, ovviamente, garantendo il carattere elettivo dei senatori.

 

Da anni propongo inoltre di porre fine all'inflazione legislativa introducendo, in una serie di materie

 

– innanzitutto in materia penale, ma anche in tema di lavoro, di urbanistica, di sanità, di ambiente e simili, - il principio della riserva di codice o di legge organica, che imponga al parlamento di inserire ogni nuova legge all'interno del relativo codice o della relativa legge organica. Ne verrebbero accresciute la certezza, la coerenza e la conoscibilità del diritto, la soggezione dei giudici alla legge, l'efficienza della Pubblica Amministrazione e le garanzie dei cittadini contro l'arbitrio.

 

Purtroppo, rispetto a simili riforme, non è lecito nessun ottimismo. E' la volontà politica che manca, anche per il crollo della rappresentanza avvenuto in questi anni. Per questo, o si rifondano i partiti, separandoli dallo Stato e restituendoli alla società – imponendo loro statuti democratici e, soprattutto, l'incompatibilità tra cariche di partito e funzioni pubbliche di governo – oppure la crisi della nostra democrazia è destinata ad essere irreversibile.


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