Il canguro suona sempre due volte

di Massimo Villone - Il Manifesto - 24/02/2016

Renzi pensa alla fiducia sulle unioni civili. Per mettere la mordacchia alla dissidenza interna che vorrebbe definirsi di sinistra? Per blindare lo stralcio della stepchild adoption? Siamo alla soluzione renziana tipica: una legge qualsivoglia, con chi capita, purché si approvi. E ci mette la faccia, purché guardando a destra. Poco importa se sono in gioco diritti ed eguaglianza.
A questo risultato arriviamo dopo il pasticcio del maxicanguro. Si dice che il presidente del senato Grasso vorrebbe fare piazza pulita di tutti gli emendamenti strumentali volti a blindare questa o quella parte del testo. Sarà vero? Comunque, se oggi ha un problema lo deve anzitutto a se stesso.
Il maxicanguro non avrebbe mai dovuto entrare in parlamento. L’emendamento è la chiave del lavoro parlamentare e del rapporto maggioranza opposizione. Strozzare la fase emendativa significa negare il ruolo del parlamento. Per questo era tanto pericolosa la prima formulazione della proposta di riforma costituzionale — poi parzialmente corretta — che consentiva al governo di far mettere in votazione l’originaria proposta dell’esecutivo azzerando il lavoro parlamentare fatto sul testo (AS 1429, art. 12 ult. co.).
Il maxicanguro punta allo stesso risultato. È un bavaglio a senso unico messo nelle mani della maggioranza, in aula e in commissione. E che parlamento è mai quello in cui la battaglia sugli emendamenti non è svolta in base ai regolamenti di fronte a un arbitro imparziale che presiede, ma è chiusa dalla maggioranza prima ancora che possa iniziare, togliendo all’opposizione persino la possibilità di esporre al paese le proprie ragioni?

Per questo il precedente del disco verde al maxicanguro Esposito all’Italicum era grave e pericoloso. Si poteva e doveva decidere diversamente. Come è stato spiegato su queste pagine, c’era la via della inammissibilità. Infatti, con il maxicanguro i casi sono due: o l’emendamento è sovrapponibile al testo e ne ripete il contenuto normativo, o non funziona. Se funziona, e preclude tutti gli emendamenti presentati al testo, per definizione non ha un autonomo contenuto normativo, perché diversamente non precluderebbe alcunché. Ma allora può e deve essere dichiarato inammissibile proprio perché privo «di ogni reale portata modificativa» (art. 100, co. 8 reg. Sen.).
Con l’Italicum e il maxicanguro Esposito il presidente Grasso decise per l’ammissibilità senza considerare che le regole di una istituzione non si scrivono per le convenienze del momento. Quel maxicanguro è diventato l’art. 1 della legge elettorale (52/2015). Può darsi che oggi siano i dubbi di Grasso a spingere Matteo Renzi verso la questione di fiducia. Dispiace comunque, e molto, la possibilità che la legge sulle unioni civili sia varata al ribasso. C’è un solo modo giusto di guardare al tema, ed è attraverso la lente dei diritti fondamentali della persona e del bambino, e dell’eguaglianza. La parte più retriva del cattolicesimo nostrano non crede a diritti ed eguaglianza, ed anzi vuole e cerca la differenza. Non è una Chiesa di accoglienza, inclusione, compassione, coraggio. È una Chiesa di arroccamento e di paura. E le forze politiche che ne seguono le indicazioni hanno fatto della diversità rispetto al matrimonio e alla famiglia tradizionale la chiave della loro accettazione delle unioni civili. È un atteggiamento solo un gradino al di sopra del razzismo che vede nel diverso un essere inferiore. E ancora una volta il Pd si mostra senza nerbo e senza linea. Fa rabbia che sulla stepchild si alzino barricate di cui non si è vista alcuna vera traccia per la legge elettorale e la Costituzione.

Bene ha fatto Sinistra Italiana al Palacongressi di Roma a mettere i referendum al centro di una delle sessioni. Il parlamento del Porcellum non perde occasione di mostrarsi pessimo, con le leggi già varate e quelle in itinere. Quello dell’Italicum e della riforma costituzionale sarebbe anche peggiore. Per questo una stagione referendaria che parta in primavera con la raccolta delle firme per referendum abrogativi da votare nel 2017 su alcune leggi emblematiche del renzismo è essenziale, e serve anche a lanciare il no nel referendum costituzionale.
Ma nemmeno bastano i referendum, come dimostra la vicenda dell’acqua pubblica, che dopo la vittoria nel voto popolare vede una nuova spinta alla privatizzazione. Il referendum abbatte una singola legge, non l’indirizzo politico che la produce. Bisogna allora ridisegnare le istituzioni in cui nascono leggi regressive come la cattiva scuola e il Jobs Act, per impedire che si riproducano. Quindi il no alla riforma costituzionale, in ottobre, e un referendum (parzialmente) abrogativo dell’Italicum nel 2017. Una lunga stagione referendaria per contrastare la concentrazione del potere, rifiutare la favola di un paese che seguendo il capo esce dal tunnel un giorno sì e l’altro pure, riaffermare la partecipazione democratica. Non bastano manifestazioni e appelli.
Il potere non è una parolaccia, dice Renzi, e senza dubbio ciò è vero per il segretario di un partito. Se dicesse il contrario andrebbe messo in cassa integrazione a zero ore. Ma molto dipende dai fini, dai metodi, dal contesto. Se si costruisce un potere autocratico e personale attraverso pubblicità ingannevoli allora definirlo parolaccia è persino generoso.

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