Il marcio di Roma. Mafia Capitale e fascismo trasversale

di Annamaria Rivera - Il Manifesto - 09/12/2014

Più volte ho usato nei miei scritti, per intuizione più che per analisi compiuta, l’aggettivo marcescente a definire la fase attuale del capitalismo finanziarizzato. Intendendo quel qualificativo nel senso di ciò che, pur affetto da putredine, sopravvive annunciando un possibile esito di tipo totalitario.

Questa premessa per dire che, sebbene il sistema fascio-mafioso romano non sia una rivelazione (ne avevano parlato alcuni ottimi giornalisti, tra i quali Lirio Abbate dell’Espresso), l’inchiesta della magistratura squaderna sotto i nostri occhi, in tutto il suo lerciume ed orrore, cosa sia divenuta la politica al tempo della lunga crisi economica, che è anche crisi della democrazia, della rappresentanza, della moralità pubblica, perfino della capacità di analisi della sinistra più rispettabile.

Questo ramificato sistema criminale -costituito da una fitta rete di rapporti tra malavita nerissima, imprenditori del Terzo settore, consorzi aderenti a LegaCoop, mazzieri, mercenari, amministratori pubblici e politici di destra e di sinistra, dirigenti di azienda fino ai vertici di Finmeccanica- si è insinuato nei gangli più vitali della vita politica cittadina. Ed è riuscito a sussumere, in perfetto stile postmoderno, per così dire, finanche ciò che si credeva (e in gran parte era) riformatore e innovativo sul piano giuridico, sociale, politico: dall’inserimento sociale degli ex detenuti alla legge del 1991 sulle cooperative sociali, dal Terzo settore ai temi del mutualismo e dei beni comuni, fino al diritto all’accoglienza dei migranti e dei rifugiati.

Basta dire come la cupola abbia saputo volgere a proprio vantaggio, con la compiacenza di taluni amministratori, l’articolo 5 della legge n. 381 che ho appena citato: quello che accorda agli enti pubblici, compresi gli economici, e alle società di capitali a partecipazione pubblica la possibilità di stipulare convenzioni con le cooperative sociali “anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione”.

Sussumendo tutto questo e mercificandolo secondo il proprio interesse, il sistema mafioso ne ha rovesciato il senso e le finalità, sicché il rischio incombente è che ora siano screditati, agli occhi dell’opinione pubblica, ogni attività nel campo del sociale e perfino chi vi dedica il proprio impegno volontario e gratuito.

Se è fenomenicamente trasversale, un tal sistema è intrinsecamente fascista. E non solo perché ricorre a manovalanza neofascista e perché ai suoi vertici vi sono ben noti fascisti dalla lunga e intensa carriera criminale. Ma soprattutto perché esso si avvale del retroterra costituito dal fascistume “del Terzo Millennio”, oggi rafforzato dall’alleanza con i leghisti.

Fra questo retroterra e la cupola mafiosa sembrano esserci state, fino a ieri, una certa sinergia e divisione dei compiti, almeno oggettive. Per esempio, si potrebbe sospettare che il pogrom contro il centro di accoglienza di viale Morandi, a Tor Sapienza, scatenato, secondo testimoni oculari, da una trentina di “fascisti del Terzo Millennio” incappucciati, avesse come obiettivo non tanto i rifugiati e i minori quanto piuttosto la cooperativa “Un sorriso”. Forse perché sfuggita o sottrattasi al controllo della cupola?

In realtà, il blocco fascio-leghista interpreta ed estremizza a suo modo la retorica e la pratica emergenzialiste che caratterizzano l’approccio delle istituzioni al fatto strutturale delle migrazioni, degli esodi, della presenza di popolazioni rom, sinte, camminanti: cioè con la propaganda razzista, le aggressioni, i pogrom, l’infiltrazione progressiva in quartieri popolari, allo scopo di strumentalizzarne il disagio e la rabbia dirottandoli verso i soliti capri espiatori.

Dal canto suo, la cupola fascio-mafiosa ha saputo profittare della tendenza istituzionale a tradurre in termini di emergenze quelli che, in un paese normale, sarebbero semplicemente bisogni e diritti. Così, lasciando incancrenire, per insipienza o intenzionale disegno, le emergenze riguardanti non solo migranti, rifugiati, rom, ma anche periferie, casa, rifiuti, trasporti, salute, si è permesso alla cupola di allungare i suoi tentacoli sui relativi appalti.

Particolarmente scandaloso è aver affidato a cinici manigoldi di tal fatta settori di estrema delicatezza quali l’accoglienza di migranti e richiedenti asilo e la gestione dei campi-rom: è come affidare dei bambini alle cure di una banda di pedofili.

A proposito di campi-rom, non solo questo sistema di segregazione spaziale e sociale –vera specialità italiana– è stato condannato dalle più varie organizzazioni internazionali, ma se ne è anche attentamente analizzato e denunciato il lucroso business: fra il 2013 e il 2014 sono stati pubblicati Segregare costa, l'indagine di OsservAzione (condotta con Lunaria e altre associazioni), e Campi nomadi spa, lo studio dell'Associazione 21 Luglio.

Di fronte a un tale “maleodorante pozzo di nequizie, di corruzione, di oscenità”, il senso di schifo di cui parla Angelo d’Orsi a me sembra non sia condiviso da tutti. Perfino a sinistra si può trovare chi riduce a semplice clientelismo o consociativismo questo solido sistema criminale; chi, ritenendo la corruzione della Capitale un dato così intrinseco da essere quasi-naturale, afferma scetticamente che “mondo è stato e mondo è”; e v’è pure chi disquisisce se “Er Cecato” sia stato o no organico ai Nar o alla banda della Magliana e quanto meritorio sia stato l’esordio della Cooperativa “29 giugno” e del suo ideatore.

Tutte queste propensioni che, ripeto, si ritrovano perfino tra la sinistra che si pretende nuova e/o radicale sono indizio, mi sembra, di scarsa consapevolezza della posta in gioco, d’insufficiente coraggio politico, di subalternità, almeno psicologica, allo stato di cose presenti; se non di un politicismo di bassa lega, attento più a salvaguardare equilibri politici, peraltro assai fragili, che a prendere atto, con severa lucidità, del baratro in cui siamo precipitati, onde trarne lezioni politiche e morali adeguate.

Una sinistra meritevole di questo nome dovrebbe smetterla di gingillarsi con scempiaggini come la “guerra tra poveri”, rivolgendosi invece a difendere senza indugio i diritti dei penultimi e degli ultimi in assoluto: migranti, rifugiati, rom. E farebbe bene a tentare d’impedire il dilagare dell’estrema destra nei quartieri popolari, con un paziente lavoro politico e anche con presîdi antifascisti e antirazzisti.

Per citare il Pasolini di un articolo del 1962 su Vie Nuove, “prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo”.

Versione modificata e ampliata dell’editoriale del manifesto del 9 dicembre 2014

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