Pessima scelta avallata dal Colle

di Marco Lillo - Il Fatto Quotidiano - 16/01/2017
Mai visto - Il generale sotto accusa per aver danneggiato l’Arma viene confermato al comando

La conferma per un anno del comandante dei Carabinieri Tullio Del Sette è una scelta scellerata.

Non si è mai visto un indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento ai danni della propria Arma (l’inchiesta sulla Consip danneggiata dalla fuga di notizie è del Noe dei Carabinieri) confermato nel suo incarico. Soprattutto se del governo che lo ha confermato fa parte anche un ministro indagato nella stessa inchiesta per un’accusa uguale: Luca Lotti.

C’erano una mezza dozzina di generali di brigata con i titoli di Del Sette. Tutti senza macchia e senza l’età della pensione. Eppure Renzi, Lotti e Gentiloni non si sono vergognati di proporre Del Sette e Mattarella ha firmato.

Questo atto segna uno spartiacque nel suo settennato. Quello di ieri non è un decreto qualsiasi, visto che Mattarella è il capo supremo delle Forze Armate e poteva esercitare la moral suasion impedendo al ministro Roberta Pinotti di prorogare per il terzo anno il suo ex capo di gabinetto su una poltrona che, almeno ai tempi del suo predecessore, valeva una retribuzione annua di 460 mila euro lordi. Se Mattarella avesse voluto, Del Sette ora sarebbe ai giardinetti come i suoi coetanei. Invece da viale Romania potrà continuare a guidare i Carabinieri, compresi quelli del Noe che dovrebbero riferire per via gerarchica le notizie sull’inchiesta in ipotesi danneggiata da lui.

Il punto non è tanto che Del Sette è indagato. Il punto è che Del Sette è accusato da un manager pubblico apicale che lo stesso Governo tiene al suo posto.

Il Capo dello Stato avrà avuto rassicurazioni dalla Procura di Roma che il comandante sarà archiviato. Ciò non toglie che l’amministratore della società pubblica Consip, Luigi Marroni ha scoperto e neutralizzato le cimici poste dai Carabinieri del Noe per indagare su Alfredo Romeo e sui suoi traffici con un amico di Tiziano Renzi, Carlo Russo, proprio grazie a una soffiata. E Marroni ha detto sotto giuramento ai pm che la soffiata era arrivata (oltre che da Luca Lotti e dal generale Saltalamacchia) anche dal presidente della Consip Luigi Ferrara il quale gli aveva detto di avere saputo da Del Sette che erano in corso le intercettazioni telefoniche. Certo, Ferrara, convocato dai pm, ha sminuito le confidenze ricevute a un generico allarme di Del Sette sull’imprenditore indagato, tipo: “Attenti a incontrare un imprenditore come Romeo”. Certo, Del Sette conferma la versione che lo scagiona.

Ma il dubbio resta. Mentono Del Sette e Ferrara (che potevano essere accusati di favoreggiamento se avessero ammesso di avere parlato dell’esistenza di un’indagine con intercettazioni) oppure mente Marroni?

Questo è il punto. Mattarella e Gentiloni sono certi che Marroni – da testimone obbligato a dire la verità – menta? E sono proprio certi che Del Sette – da indagato abilitato a mentire – dica la verità? Proviamo ad analizzare meglio i due scenari. Se Marroni dice la verità ieri Mattarella ha nominato un reo bugiardo, proposto da un Governo che ospita un altro reo bugiardo. Se Marroni invece mente, Mattarella accetta una situazione in cui un calunniatore seriale viene lasciato dal Governo a gestire la centrale acquisti della Consip, un Giuda che accusa chi lo ha messo in quel posto e chi voleva proteggerlo. Se Marroni mente sul suo colloquio con Ferrara e su Del Sette non può assegnare lui a Romeo e compagni la gara da 2 miliardi e 700 milioni che è in scadenza. Lo capisce anche un bambino.

Forse è il caso di ricordare che le accuse di Marroni devono essere confermate in giudizio, altrimenti non valgono. Se Marroni e anche il presidente di Publiacqua Davide Vannoni che ha accusato Lotti non saranno cacciati e denunciati, tutti saranno autorizzati a sospettare che i vertici delle istituzioni si reggono sul silenzio e sul ricatto.

13 aprile 2019

La reazione a catena del caso Assange

Barbara Spinelli - Il fatto Quotidiano
19 marzo 2019

Lettera aperta al segretario generale del PD Nicola Zingaretti

Massimo Villone, Alfiero Grandi, Silvia Manderino, Domenico Gallo