Riforme, il potere di Mattarella

di Gianni Ferrara - Il Manifesto - 14/02/2015

Va medi­tato molto il discorso tenuto dal Pre­si­dente della Repub­blica il 3 feb­braio al Par­la­mento in seduta comune. Anche al di là del rispetto e della stima che si devono a Ser­gio Mat­ta­rella per la sua indi­scu­ti­bile one­stà morale e poli­tica. Va con­te­stua­liz­zato, que­sto discorso, alla par­ti­co­lare con­giun­tura isti­tu­zio­nale che stiamo vivendo, aggra­va­tasi con i fatti, gli atti, e le omis­sioni di atti, che hanno dato seguito alle ele­zioni poli­ti­che del 2013.

Con­giun­tura che merita par­ti­co­lare atten­zione: E non sol­tanto da parte dei costi­tu­zio­na­li­sti e dei poli­to­logi. Gli eventi che si suc­ce­dono sem­brano caden­zati da ano­ma­lie spe­ci­fi­che della crisi tren­ten­nale che atta­na­glia insieme Costi­tu­zione, sistema poli­tico, etica pub­blica. Di que­sta crisi infatti quel discorso è, insieme, denun­zia, giu­di­zio, prova. Coglie esat­ta­mente i fat­tori della crisi, ne indica l’ampiezza allar­mante, elenca le tante esi­genze da sod­di­sfare per supe­rarla e lo spi­rito con cui andrebbe affron­tata. Ma di que­sta crisi quel discorso è anche espres­sione, la rap­pre­senta. Come? Come con­trad­di­zione o invece come ras­se­gna­zione alla deriva delle isti­tu­zioni che que­sta crisi determina ?

I meriti di quel discorso vanno rico­no­sciuti. È enco­mia­bile la con­cre­tezza con cui il Pre­si­dente ha voluto dispie­gare il valore e la por­tata dei prin­cipi e dei diritti san­citi nella nostra Costi­tu­zione e riaf­fer­mare l’obbligo di inne­starli nel vis­suto quo­ti­diano di cia­scuno e di tutti. Il richiamo all’eguaglianza come con­ce­pita e san­cita dalla Costi­tu­zione quale com­pito della Repub­blica non poteva essere più netto e impe­gna­tivo. E non c’è da dubi­tare della piena ade­sione a quei valori di Ser­gio Mat­ta­rella. Ne è testi­mone il suo pas­sato.
Pre­ge­vole e, a fronte dell’attuale declino, quanto mai oppor­tuno è il richiamo alla respon­sa­bi­lità ed alla essenza stessa della rap­pre­sen­tanza poli­tica. Dal che si dovrebbe dedurre la neces­sità di non distor­cerne natura e ruolo e di ren­derla cre­di­bile, raf­for­zan­dola. Uguale giu­di­zio va dato sulle aper­ture a forme nuove di par­te­ci­pa­zione popo­lare alla vita poli­tica. Espli­cita e forte la neces­sità di restau­rare l’efficacia delle norme costi­tu­zio­nali in mate­ria di rap­porti Parlamento-Governo. Quanto mai con­di­vi­si­bile è l’impegno a scor­zare dalla figura del Pre­si­dente della Repub­blica le stra­ri­panti escre­scenze che la hanno defor­mato negli ultimi anni. Ne è seguita però l’affermazione che «non spetti al Pre­si­dente della Repub­blica di entrare nel merito delle sin­gole solu­zioni che com­pe­tono al Par­la­mento nella sua sovra­nità … quanto alla ampia ed inci­siva riforma della seconda parte della Costi­tu­zione» e quanto alla nuova legge elettorale.

Que­sta affer­ma­zione suscita per­ples­sità. La deon­to­lo­gia dei costi­tu­zio­na­li­sti impone di dif­fi­dare del potere chiun­que lo eser­citi, come ben sa il pro­fes­sor Mat­ta­rella. I ter­mini usati con quell’affermazione vanno quindi veri­fi­cati. Ne con­se­guono alcune pre­ci­sa­zioni sui poteri-doveri del Pre­si­dente della Repub­blica secondo la Costi­tu­zione ancora vigente. Che il tito­lare di quest’organo non debba inter­ve­nire nel corso del pro­ce­di­mento di for­ma­zione delle leggi, sia che siano ordi­na­rie sia che siano costi­tu­zio­nali, è certo. Che rien­tri nell’esclusivo ambito dei poteri par­la­men­tari quello della deter­mi­na­zione degli oggetti e dei fini dell’attività legi­sla­tiva, atti­vità che noi costi­tu­zio­na­li­sti deno­mi­niamo indi­rizzo poli­tico di mag­gio­ranza, è altret­tanto certo. Ma è anche certo che le leggi devono essere pro­mul­gate ed è il Pre­si­dente della Repub­blica che le pro­mulga. Se non deve influire sull’esercizio della fun­zione legi­sla­tiva, per eser­ci­tare il potere-dovere di pro­mul­gare le leggi deve invece valu­tarle (come oppor­tu­na­mente sot­to­li­neava Vil­lone su que­sto gior­nale il 4 scorso). Valu­tarle sapendo di essere tito­lare del potere-dovere di chie­dere alle Camere una nuova deli­be­ra­zione della legge, ordi­na­ria o costi­tu­zio­nale che sia, se essa infrange uno dei prin­cipi fon­da­men­tali della Costi­tu­zione. Prin­cipi che la Corte costi­tu­zio­nale (sent. 1146/1988) ha dichia­rato immo­di­fi­ca­bili. Quale altra fun­zione avrebbe altri­menti il potere di rin­vio delle leggi attri­buito dall’articolo 74 della Costi­tu­zione? A che ser­vi­rebbe altri­menti l’istituto della pro­mul­ga­zione? L’astensione pro­gram­mata dall’esercizio attivo di que­sti due poteri scon­vol­ge­rebbe l’ordinamento. Ren­de­rebbe asso­luto il potere del Par­la­mento che asso­luto non è. Per­ché nes­sun potere è asso­luto nelle demo­cra­zie costi­tu­zio­nali, fin quando restano demo­cra­zie e fin quando sono fon­date su una costi­tu­zione che sia tale.
Ora, defi­nire col ter­mine «sovra­nità la fun­zione legi­sla­tiva del Par­la­mento da parte poi di un giu­ri­sta quanto mai rigo­roso allarma. In via gene­rale, per­ché sup­por­rebbe la piena assun­zione avve­nuta «di fatto» da parte del Par­la­mento della sovra­nità popo­lare. Nella spe­cie, per­ché il rife­ri­mento è «all’ampia e inci­siva riforma della seconda parte della Costi­tu­zione». Riforma che, nella for­mu­la­zione in discus­sione, spe­cie se poi col­le­gata a quella della legge elet­to­rale già appro­vata dal Senato, assem­blando il legi­sla­tivo ad un ese­cu­tivo mono­cra­tico, si pre­senta «mani­fe­sta­mente» in con­tra­sto con il prin­ci­pio costi­tu­zio­nale della divi­sione dei poteri. Prin­ci­pio imme­dia­ta­mente dedu­ci­bile dall’articolo 1 della Costi­tu­zione che defi­ni­sce la sovra­nità popo­lare come potere da eser­ci­tare «nelle forme e nei limiti della Costi­tu­zione». Potere non tra­sfe­ri­bile, non acqui­si­bile, non disponibile.

È da spe­rare per­ciò che il ter­mine «sovra­nità» sia stato usato enfa­ti­ca­mente per riba­dire che, durante il «per­corso» volto a rifor­mare la seconda parte della Costi­tu­zione, la pote­stà par­la­men­tare non subirà inter­fe­renze pre­si­den­ziali. E che il garante assi­cu­rerà «la pun­tuale appli­ca­zione delle regole», tutte, quindi. E anche da spe­rare che sia allora un monito inte­stare al pro­ce­di­mento di riforma l’obiettivo di ren­dere «più ade­guata la nostra demo­cra­zia». Più ade­guata. Per­ciò non com­pressa, distorta, muti­lata. Come risul­te­rebbe sia dall’approvazione della riforma del Senato che vuole Renzi, sia dall’Italicum.

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