Alto profilo di fine regime

di Daniela Gaudenzi - Liberacittadinanza - 20/07/2011
Forse di tutto il pantano maleodorante che ci sta ammorbando, in un vero crescendo rossiniano, uno dei segnali più emblematici, mentre “i casi” Papa, Milanese, Romano, si accavallano ed i nodi vengono al pettine, è l’impossibilità per il Governo dei complici di trovare un ministro della Giustizia.

Il povero Angelino non riesce a liberarsi della maledizione di una carica che l’ha inchiodato al Lodo, fulminato dalla Corte Costituzionale, e alla riforma “epocale” finita nel cassonetto della cronaca da bassissimo impero.
Il nuovo segretario per acclamazione su imput del capo, non riesce a dedicarsi a tempo pieno alla rifondazione del “partito degli onesti” impresa che gli richiederebbe di lavorare 48 ore su 24 e rimane inchiodato a quel ministero ingestibile e contraddittorio con le finalità del governo in carica, interessato per motivi molto stringenti solo ad un ministero dell’impunità permanente. Ma l’impresa ha subito un duro colpo d’arresto perché l’alleato di ferro sempre, la Lega che rischia di estinguersi con il tira e molla schizofrenico di Bossi sull’arresto di Papa, non è certamente nelle condizioni di votarsi alla guerra totale contro la magistratura che pretenderebbe Berlusconi per esigenze vitali, strettamente personali.
A chi gli domanda quale sia il nodo più spinoso per Berlusconi, se la crisi economica o “le bizze” della Lega, un Giuliano Ferrara particolarmente accigliato risponde molto “candidamente” ai microfoni del TG3 che il problema non è né l’economia, né il rapporto con l’alleato, ma la questione è più che mai quella di sempre: e cioè “il circuito mediatico giudiziario” e soprattutto “il rapporto magistratura politica”. Il già consigliere e ghostwriter del principe, aggiunge anche che di “questo Papa non gli piace niente”, in particolare che sia un ex “magistrato napoletano”, anche se come ha ricordato De Magistris si è sempre prodigato per mettersi di traverso nelle indagini su politica e affari, particolare che dovrebbe renderglielo decisamente più simpatico. Ma il punto per lui “drammatico” è che “consegnar Alfonso Papa al PM Henry Woodckok significherebbe la resa al partito dei magistrati, il partito più forte che vuole tutto il potere”.
Detto altrimenti e cioè al di fuori della “manomissione delle parole”, per usare la bellissima espressione con cui Enrico Carofiglio ha stigmatizzato il ribaltamento metodico della realtà, Ferrara ha capito perfettamente come il suo “protetto” che se si apre la diga Papa e cioè se in Parlamento dovesse irrompere per una volta la legalità, allora la fine di Berlusconi e del suo governo non sarebbe più rinviabile.
Nelle ultime 24 ore prima di un voto che deve valutare esclusivamente l’esistenza di un eventuale intento persecutorio da parte dei magistrati, ipotesi già valutata come “grottesca” dalla giunta per le autorizzazioni che ha detto sì all’arresto,  è stata tutta una sceneggiata con tanto di crisi di nervi della lega che in extremis dice sì all’arresto, lasciando però libertà di coscienza. Dal PDL il deputato Corsaro afferma che non saranno loro a chiedere il voto segreto, mentre “il sotterfugio all’italiana” del voto segreto diventa, come da copione,  appannaggio, della operosa disponibilità del salvifico, insostituibile Scilipoti.
Nell’incontro con il Capo dello Stato in cui Berlusconi ha prospettato a Napolitano un “rimpasto” di Governo con la scusa di sostituire il ministro della Giustizia, mentre Saverio Romano all’agricoltura e formalmente imputato di associazione mafiosa si incolla tenacemente alla poltrona, il presidente del consiglio gli ha anche sciorinato un elenchino di possibili aspiranti guardasigilli.
Il catalogo inizia con due avvocati onorevoli che rappresentano rispettivamente la continuità con due numi tutelari del partito ormai poco spendibili, nonostante l’imbarbarimento imperante: Donato Bruno sodale e compagno di studio di Cesare Previti nonché suo strenuo difensore fino alla condanna in Cassazione ed oltre e Francesco Nitto Palma già promotore di leggi molto personalizzate e vicino a Dell’Utri. Ed in omaggio alla quote rosa e alla fede comprovata nel capo, l’elenco include anche una figlia d’arte, Anna Maria Bernini, il padre era nel primo governo Berlusconi, lanciata come logorroica kamikaze televisiva nella vulgata di Ruby nipote di Mubarak e come pasdaran contro le donne indignate dal bordello di Arcore. Ma non manca nemmeno un veterano del partito come Enrico La Loggia, già vice presidente dei deputati di FI, nonché socio con Schifani nella Sicula Brokers insieme a futuri condannati in via definitiva per mafia e uomo politico che aveva concordato il piano regolatore di Villabate, comune commissariato per mafiosità, con il potentissimo boss Nino Mandalà.
Ed infine tra i papabili, tanto per assecondare la richiesta di un ministro di “alto profilo” esplicitata da Napolitano, anche “il cretino” Renato Brunetta, già fustigatore dei giudici scansafatiche da raddrizzare con i tornelli  per costringerli a lavorare anche il pomeriggio: naturalmente in tribunali chiusi, senza cancellieri e personale per mancanza di fondi ed impossibilità dichiarata di pagare gli straordinari.
Peccato che Napolitano non abbia colto “l’altezza” dei profili e abbia rimandato tutti a settembre sempre che, per nostra sventura, dopo l’estate, esista ancora questo governo. 

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