Berlusconi e le stragi di mafia: altri due pentiti accusano

di Donato De Sena - giornalettismo - 29/12/2009
Romeo e Ciaramitaro confermano la storia raccontata da Spatuzza al processo Dell’Utri. E dicono di più: dipingono il “politico milanese” come uno dei mandanti della strategia della tensione di Cosa nostra

Il pm Antonio Gatto, nell’ambito del processo di appello per concorso esterno in associazione mafiosa a Marcello Dell’Utri ha chiesto di riascoltare Pietro Romeo e Giovanni Ciaramitaro. Due affiliati a Cosa Nostra, due manovali della cosca di Brancaccio ad inizio anni ’90 guidata dai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, che potrebbero prossimamente confermare quando dichiarato da Gaspare Spatuzza ad inizio dicembre. E’ il Fatto Quotidiano a sottolineare come possano le loro dichiarazioni essere rilevanti più di quelle di Spatuzza, in quanto già rese in tempi non sospetti, nell’ambito delle stragi del ’93.

QUAL E’ IL PUNTO? - Cosa potranno dire di così importante i due pentiti? Qualcosa di sostanzialmente simile, ma in qualche modo anche molto diverso rispetto a quanto detto in aula dal killer dei Graviano, il quale ha parlato di un incontro tra lui e Giuseppe nel quale quest’ultimo gli diceva semplicemente di aver trovato un accordo con qualcuno a Milano, e nominandogli poi Berlusconi e Dell’Utri. La mente corre alle dichiarazioni rese da Romeo 13 anni fa: “Prima di essere arrestato Giuseppe Graviano aveva raccontato a Giuliano e ad altri che bisognava fare gli attentati di Roma, Firenze e Milano e che un politico a Milano gli diceva che così andava bene e che dovevano mettere altre bombe”. Qualche tempo dopo gli verrà chiesto di specificare chi fosse il politico citato: “Lei nel precedente verbale il nome del politico non ce l’ha fatto. Ora ci vuole dire qualcosa di più?”. Romeo è inequivocabile: “Io quel nome l’ho sentito da Spatuzza. Un giorno eravamo io, Francesco Giuliano e Gaspare Spatuzza in un campo di mandarini a Ciaculli. Quel giorno Giuliano disse: ‘ma sarà Andreotti il politico che ha fatto mettere tutti questi esplosivi?E Spatuzza rispose: ‘No. Così è nato questo discorso.. Allora Giuliano fece il nome di Berlusconi e Spatuzza disse che quel politico era Berlusconi. Il colloquio avvenne intorno a ottobre del 1995”.

MANDANTI DELLE STRAGI? - Le rivelazioni di Romeo e Ciaramitaro, insomma, potrebbero riconfermare l’ipotesi che vede Berlusconi e Dell’Utri come protagonisti di una regia occulta delle stragi del ’93, l’ipotesi emersa dalla deposizione di Gaspare Spatuzza e finora mai concretamente presa in considerazione. Le dichiarazioni che finora sono andate in quella direzione, infatti, sono state sempre considerate generiche e prive di riscontri particolarmente robusti. Riscontri che oggi potrebbero arrivare. Ma anche no, visto che potrebbero riecheggiare anche altre parole andate al vento. Erano stati già i pentiti Gioacchino Pennino e Maurizio Avola a fare i nomi di Berlusconi e Dell’Utri in un’ aula di tribunale in riferimento alla azione terroristica di Cosa Nostra che vide l’organizzazione criminale siciliana piazzare ordigni per colpire obiettivi sensibili in tutt’Italia. Scriveva il Gip della Procura di Caltanissetta nel 2002: “Pennino ha escluso di essere a conoscenza di fatti specifici mentre ha sottolineato di aver appreso da fonti che Silvio Berlusconi era il mandante delle stragi del 1993: la prima fonte si identificava nel dottore Giuseppe Ciaccio, uomo d’onore di una famiglia dell’agrigentino, di professione radiologo; la seconda era Pinuzzo Marsala, uomo d’onore della famiglia di Santa Maria di Gesù”. Pennino avrebbe reso queste dichiarazioni nel 1998.

DELL’UTRI L’UOMO OMBRA? - Un anno più tardi, nel 1999, un altro collaboratore di giustizia, Maurizio Avola, ascoltato, così come Pennino, nell’ambito delle stragi di Capaci e via D’Amelio, parlerà invece di un coinvolgimento di Dell’Utri. “I primi progetti erano di colpire in alta Italia – disse Avola riferendosi ai sopralluoghi da lui svolti a Firenze in epoca antecedente alla strage di Capaci – Poi i palermitani hanno deciso così, di dare questo colpo di mano”. La strategia, stando al suo racconto, era motivata dal fatto che “stava nascendo questo… partito e si doveva appoggiare questa forza politica nuova che poi doveva aiutare un po’ tutta la situazione di Cosa Nostra”. Avola identificò la nuova forza politica nel movimento “Forza Italia”. “Ma lei si riferisce a Forza Italia perché lo deduce da quello che è successo dopo o perché le venne detto ad un certo punto?”, gli chiederanno i giudici. “E’ mia moglie che me lo conferma – dirà Avola – al colloquio, perché il D’Agata mi manda a dire che se il partito, il partito era nato… io sto parlando già del 1993… il partito era nato e tutti ‘sti pentiti ce li legavamo alle caviglie e non ti preoccupare che Maurizio… esce con i suoi piedi! Era la fine del ‘93”. Un’accusa ancora più grave rispetto a quella mossa da Spatuzza, e che però soffre dello stesso difetto intrinseco: non è stata finora suffragata da nessuna prova documentale, e quindi, se mai verrà davvero mossa in via ufficiale, dovrà leggersi solo sulle parole dei pentiti. Che i boss però smentiscono, come ha fatto Filippo Graviano con Spatuzza. Mentre Giuseppe non sembra ancora aver trovato la voglia di parlare, anche solo per smentire. Finora.

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