Cambiare si può ancora?

di Francesco Baicchi - 30/12/2012
Preso atto che la 'lista Ingroia' non corrisponde all'originario progetto di alcuni dei suoi iniziali promotori di 'Cambiare si può', l'atteggiamento dei delusi non potrà ora che dipendere da valutazioni individuali nelle quali siamo tutti chiamati a tenere conto, più che delle nostre reazioni emotive, dell'interesse del nostro Paese.

Sarebbe impossibile negare che l'annuncio della candidatura di Antonio Ingroia, per le sue modalità, abbia costituito una delusione per quanti, come chi scrive, negli ultimi mesi si sono impegnati affinché agli elettori italiani il prossimo 24 febbraio venisse presentata una reale alternativa all'ormai logoro schieramento dei soliti partiti.

Il progetto 'Cambiare si può' non intendeva limitarsi a presentare un programma alternativo alla visione liberista della economia e della società espressa dal governo Monti e dai suoi sostenitori, sin troppo ovvio nelle sue grandi linee: ritorno al dettato costituzionale con le sue conseguenze sul piano delle politiche sociali, del lavoro, culturali e soprattutto fiscali, impegno per una Europa non ostaggio della speculazione finanziaria, lotta al crimine e alla corruzione. Si sarebbe trattato senza dubbio di un programma ambizioso, dopo venti anni di vergogna berlusconiana, ma non difficile da formulare e su cui sarebbe stato facile prevedere la confluenza, almeno a parole, di tanti diversi 'soggetti politici'.

Molto meno scontato era invece l'obiettivo della definizione (e sperimentazione immediata) di un metodo nuovo di 'fare politica' e la ricerca del coinvolgimento dei rappresentanti di quella 'società civile' impegnata e responsabile che costituisce una 'riserva' colpevolmente trascurata del nostro Paese.

E' su questo secondo piano, anche se a parole confermato, che il risultato sembra più deludente; anche se una valutazione finale potrà essere compiuta solo sulla composizione delle liste e in base al peso che in esse manterranno o meno quei professionisti della politica che molti speravano (forse ingenuamente, ammettiamolo) si sarebbero limitati a un sostegno esterno.

Certo fin da ora deve essere riconosciuto il fallimento del tentativo di presentare una 'cosa' totalmente nuova e rappresentativa solo delle varie forme dell'impegno civico. Ed è difficile fugare il timore che per i quattro eterogenei partiti coinvolti (IDV, PRC, PdCI e Verdi) tutto si riduca a un temporaneo armistizio indispensabile a salvare qualche presenza in Parlamento e i conseguenti finanziamenti. Specialmente dopo che alcuni di essi hanno tentato inutilmente un riavvicinamento allo stesso PD.

Credo anche che la rinuncia ai vari simboli non abbia costituito un compromesso da parte dei partiti, che forse avevano proprio la necessità di presentarsi in modo diverso per invertire la tendenza alla perdita di consenso degli ultimi anni.

Meno giustificate appaiono le critiche alla presenza nel simbolo (con grande evidenza) del nome di Ingroia, perché un soggetto completamente nuovo e con scarse risorse a disposizione da investire in 'comunicazione' non può permettersi il rischio di essere confuso fra i fantasiosi marchi delle tante liste di comodo o di disturbo che troveremo sulle schede.

Rimangono ora alcune incognite: la prima è ovviamente l'accoglienza che gli elettori riserveranno a questa iniziativa. Sarà sufficiente la presenza pulita e fortemente simbolica di Ingroia (e del figlio di La Torre, di Libera, ecc....) e la centralità dei temi della lotta alla criminalità e dell'etica per richiamare la vasta area dell'astensionismo di sinistra e almeno una parte del voto di pura protesta?

L'altra incognita riguarda la possibilità, in caso di successo e quindi di elezione di una pattuglia di parlamentari, di mantenere unito e coerente con gli obiettivi annunciati un gruppo oggettivamente diversificato, condizione ineludibile per sperare di superare i limiti della pura testimonianza (o del diritto di tribuna) e riuscire ad impedire la semplice ripresa delle politiche del precedente governo che si profila già all'orizzonte. Quanti temono che il nome sul simbolo sia segno di un leaderismo esasperato dovrebbero forse invece temere proprio il contrario.

Preso atto che la 'lista Ingroia' non corrisponde all'originario progetto di alcuni dei suoi iniziali promotori, l'atteggiamento dei delusi (fra i quali mi arruolo senza esitazione), chiamati a decidere fra rifiuto assoluto, voto 'obtorto collo' e sostegno convinto, non potrà ora che dipendere da valutazioni individuali nelle quali siamo tutti chiamati a tenere conto, più che delle nostre reazioni emotive, dell'interesse del nostro Paese.

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