CHI HA PAURA DELLA VERITÀ?

di Massimiliano Perna – ilmegafono.org - 28/11/2009
Il collaboratore di giustizia, Gaspare Spatuzza, ha indicato in Berlusconi e Dell’Utri i mandanti politici delle stragi del ’92-’93, ed ha gettato ombre sul presidente del Senato, proprio mentre il governo elabora leggi “sospette”

Per chi appartiene alla generazione che è cresciuta avendo davanti agli occhi le terribili immagini di uno Stato ferito, smembrato, affondato nel sangue di Capaci e di via D’Amelio, sepolto sotto le macerie ed il fuoco di Firenze e Milano, è davvero difficile accettare quanto sta accadendo, rimanere calmi di fronte a ciò che si legge sui quotidiani. Nessuno di noi avrebbe mai immaginato che la grande ondata di indignazione, le fiaccolate, i lenzuoli bianchi alle finestre, le urla di rabbia e gli insulti diretti alle autorità-coccodrillo presenti ai funerali di Falcone e Borsellino, le assemblee e gli incontri con esponenti dell’antimafia, le campagne culturali e le attività di Libera e di altre associazioni, tutto ciò potesse essere accantonato e fagocitato da un potere spudorato, sfacciato, deciso a riconoscere all’elettorato “influente” lo scambio promesso, il premio pattuito.

I collaboratori di giustizia, nell’ambito di alcuni importanti processi sul periodo più buio della democrazia italiana, stanno raccontando ai magistrati la loro verità sulle stragi del ‘92-’93: il pentito Gaspare Spatuzza, le cui rivelazioni sono state confermate anche da altri importanti collaboratori, ha indicato i presunti mandanti politici delle stragi di mafia, mandanti che rispondono all’identità di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.

E non finisce qui. Spatuzza ha anche tirato in ballo un altro rappresentante delle istituzioni il quale, all’epoca dei fatti, svolgeva l’attività di avvocato. Si tratta del presidente del Senato, Renato Schifani. Quest’ultimo, secondo quanto afferma Spatuzza (che apparteneva allo spietato clan di Brancaccio, guidato dai fratelli Graviano), avrebbe incontrato più volte il boss Filippo Graviano, in compagnia del discusso imprenditore palermitano Pippo Cosenza, cliente dell’avvocato Schifani.

Dichiarazioni importanti che hanno spinto il presidente del Senato ad annunciare querela sostenendo che si tratta di falsità. Motivazione che, però, non convince il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, il quale sostiene che la seconda carica dello Stato debba “spiegare nel merito se conosce o ha avuto incontri con Graviano, perché “senza spiegazioni convincenti si creerebbe un gravissimo corto circuito istituzionale che imporrebbe le dimissioni di Schifani”.

Mentre i collaboratori parlano e accusano, il mondo politico non si limita a ribattere, ma va ben oltre e mette in campo una strategia chiara, eloquente, precisa. La paura di essere beccati, di essere scoperti e processati o arrestati come ogni comune cittadino si tramuta in leggi che mirano all’impunità totale, leggi ingiuste e immorali, come quella che il premier Berlusconi, terrorizzato forse dalle possibili conseguenze delle deposizioni di Spatuzza, starebbe per mettere in cantiere, facendo un favore a sé e all’amico di sempre, Marcello Dell’Utri, già condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ultima trovata dello staff “giudiziario” del premier, oltre al ripristino del vecchio art. 68 della Costituzione (sull’immunità parlamentare), sarebbe infatti quella di intervenire proprio sul concorso esterno, il reato contestato a Dell’Utri, a Cuffaro, a tanti politici coinvolti localmente in rapporti oscuri con la criminalità organizzata, tra cui il sottosegretario all’Economia, Nicola Cosentino, accusato di concorso esterno in associazione camorristica, per il quale la Giunta delle autorizzazioni a procedere della Camera ha respinto la richiesta d’arresto presentata dai giudici della Procura di Napoli.

Il timore di Berlusconi di finire tra gli indagati con la stessa accusa e l’amicizia stretta con Dell’Utri e Cosentino spingono quindi il Cavaliere a chiudere le finestre prima che arrivi la tempesta. Il concorso esterno non è un reato previsto nel codice penale, ma si è definito attraverso numerose e coerenti pronunce della Cassazione e, dunque, fa pienamente parte dell’ordinamento giuridico. Un pericolo da eliminare con un provvedimento ad hoc, l’ennesima misura ad personam da adattare a più persone. Un’idea che, a quanto pare, ha creato perplessità e sonori mugugni in molti esponenti ex An, con i finiani in prima linea.

D’altra parte, sarebbe impudico e scandaloso per quei tanti membri di An che per anni si sono schierati accanto ai giudici antimafia, partecipando alle fiaccolate, alle iniziative contro la mafia, urlando al Paese, per voce del presidente Fini, la propria voglia di legalità, rimangiarsi tutto in nome di un’alleanza che è ormai divenuta una prigione imbarazzante.

Berlusconi ha oltrepassato il limite e andargli dietro significherebbe esserne complici e gettare in un pozzo putrido buona parte della propria identità ideologica. Allo stesso modo, diventa impossibile appoggiare la scelta del governo di inserire in Finanziaria una norma che prevede la vendita all’asta dei beni confiscati alla mafia, nel caso in cui non vengano riassegnati entro novanta giorni. Un favore bello e buono ai clan, che avrebbero così vita facile nel riacquistare il proprio patrimonio servendosi di un sistema, quello delle vendite giudiziarie, che è viziato, troppo spesso, da procedure poco trasparenti e da pressioni ed ingerenze di ogni sorta.

Al di là delle responsabilità, che la magistratura dovrà accertare (se gliene daranno modo), quello che di certo si evince dalle azioni del governo è la paura della verità. E questa paura alimenta molti sospetti e fa crescere la percezione che la mafia abbia in mano il potere politico, che sia in grado ormai di ottenere ciò che vuole, di ricevere in dono le leggi che servono, sul piano processuale come su quello patrimoniale. E ciò, in chi ha vissuto direttamente il periodo dell’attacco allo Stato, crea rabbia, indignazione, consapevolezza di essere ormai ad un punto in cui il limite della decenza è stato abbondantemente valicato.

Allora si spera che, per difendere la giustizia e la democrazia, le fiaccole tornino a brillare, così come il bianco dei lenzuoli: insomma, si spera che quel grande movimento civile che ha scosso l’Italia ferita dei primi anni ’90 torni a popolare le piazze ed il dibattito politico, liberando la vera coscienza di questo Paese in pieno declino e magari trovando più sponde in quella parte della politica che ancora ha una verginità da difendere e che alle tante parole adesso deve far seguire fatti concreti.

Questo è il momento. Non si può attendere oltre senza apparire bugiardi o vigliacchi.

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