Discontinuità

di Francesco Baicchi - 15/07/2012
La possibilità per Berlusconi di riproporsi come leader politico nonostante gli scandali e la scarsa o nulla credibilità internazionale, e il fatto che i sondaggi dimostrino ancora la sopravvivenza di un suo personale ampio elettorato impongono però soprattutto una riflessione seria sulla insufficiente presa d'atto, da parte della opinione pubblica italiana

La ri-candidatura di Silvio Berlusconi per il 2013 non può certo essere considerata una sorpresa, vista la nota psicologia del personaggio, ulteriormente rafforzata dall'interessata adulazione di quanti/e dal suo mostruoso egocentrismo traggono la ragione della loro sopravvivenza economica.

Non possiamo però ignorare gli altri significati che essa assume.

In molti hanno già sottolineato come la presenza dello 'spauracchio' Berlusconi potrebbe favorire l'ennesimo ricorso all'argomento del 'voto utile' moderato e penalizzare la scelta in favore di forze maggiormente alternative, ma è anche lecito ritenere che essa finirebbe col favorire soggetti incapaci di presentare programmi chiari e coerenti, abbassando il livello del confronto politico e riportando al centro solo l'inadeguatezza morale e etica dell'uomo di Arcore.

La possibilità per Berlusconi di riproporsi come leader politico nonostante gli scandali e la scarsa o nulla credibilità internazionale, e il fatto che i sondaggi dimostrino comunque la sopravvivenza di un suo personale ampio elettorato impongono però soprattutto una riflessione seria sulla insufficiente presa d'atto, da parte della opinione pubblica italiana, della nostra storia recente e della necessità di ripensare radicalmente il quadro politico, sostanzialmente immutato da decenni, nonostante il continuo cambiamento della denominazione dei partiti.

Le dichiarazioni di esponenti del PD (Letta e Tonini in testa) dimostrano in effetti l'assenza di una vera dialettica fra le forze politiche 'tradizionali', impegnate esclusivamente nella difesa delle loro posizioni di potere e manifestamente inadeguate ad affrontare la sfida che l'attuale crisi mondiale ci propone.

Se la scelta del 'governo tecnico' ha infatti consentito al nostro Paese di evitare la catastrofe verso la quale Berlusconi lo stava allegramente guidando, l'inefficacia sul medio-lungo periodo delle sue ricette neo-liberiste è ormai innegabile e nessuna forza politica sembra in grado di proporre una strategia alternativa e credibile.

E' invece ormai evidentemente necessario ripensare globalmente gli attuali rapporti politici ed economici.

L'accettazione del massimo utile come unica motivazione dell'iniziativa umana e dell'accumulazione di beni materiali come unica scala di valore finisce inevitabilmente col causare una intollerabile accentuazione della distanza fra i più e i meno fortunati, all'interno delle singole società come fra gli Stati. In una fase storica in cui la tecnologia ha cancellato le distanze e il tempo, queste crescenti sperequazioni e l'esasperata ricerca di mano d'opera a basso costo non potevano che sfociare in rivendicazioni violente e in migrazioni di massa.

Inoltre la presenza di soggetti economici in grado di manovrare a fini puramente speculativi masse finanziarie di dimensioni superiori al bilancio di molti Stati pone con urgenza la questione del loro controllo, oggi impossibile con normative rimaste a livello nazionale.

In questo quadro la politica rischia di perdere il suo ruolo di guida dei destini degli uomini, ridotti a semplici pedine di un gioco di cui non percepiscono nemmeno le dimensioni, e le istituzioni democratiche perdono il loro significato di strumento di autodeterminazione dei popoli, riducendosi a mere formalità rituali.

Siamo probabilmente di fronte a uno dei momenti di discontinuità che periodicamente la storia propone, e che troppo spesso sono stati risolti in modo violento, con costi altissimi.

In questa fase l'Europa, con tutte le sue debolezze e contraddizioni, può svolgere un ruolo fondamentale, dimostrando nei fatti che è possibile superare le dimensioni nazionali ed egoistiche per costruire una società contemporaneamente evoluta e solidale. La condizione è resistere alle pressioni internazionali non rinunciando al percorso di integrazione e alla costruzione di una Europa dei popoli, selezionando nuove classi dirigenti, sperimentando nuove forme di democrazia partecipativa e di equità sociale, promuovendo nuovi modelli di consumo meno orientati ai beni materiali e più alla qualità della vita, all'ambiente e alla cultura. E riportando le scelte che abbiamo di fronte alla loro vera dimensione, che è politica e democratica e non soltanto finanziaria.

Questo non può essere il compito di 'tecnici', che per definizione non possono che applicare (magari al meglio) regole preesistenti; solo nuovi soggetti politici nati dalla passione civile e dalla lungimiranza, guidati dall'etica e dalla tolleranza, capaci di essere credibili per la loro storia e di ottenere la fiducia degli elettori possono essere protagonisti di una stagione di ridefinizione della utopia di una società pacifica, più giusta e evoluta.

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