Eversione con dialogo

di Daniela Gaudenzi - Liberacittadinanza - 01/02/2011
Massimo D’Alema non ha nessun titolo e nessuna buona motivazione per pontificare “in un paese civile non si deve andare in piazza per difendere i giudici”, anche se bisogna riconoscergli perfetta coerenza con quanto aveva riferito all’ambasciatore americano Spogli come riportato da Wikileaks e cioè che “la magistratura è la più grande minaccia per lo Stato italiano”

Ora siamo alla lettera per riagganciare il PD costretto, volente o nolente, a mobilitarsi nelle piazze per raccogliere le firme della cacciata di quello che, nell’arco di bene diciassette anni, ha sempre ostinatamente considerato autorevole interlocutore politico, statista con cui riformare la Costituzione, competitore da non nominare, creatore “di un patrimonio del paese” (Mediaset), sul presupposto che “gli avversari non si scelgono” e dei processi di Berlusconi non si parla.

Qualcosa di incredibile, se non si conoscesse il personaggio, la sua tecnica, il suo entourage e soprattutto il percorso tortuoso e remissivo del “principale partito dell’opposizione” nei confronti del suo strapotere, del suo conflitto di interessi esasperato, della sua eversione tendenziale o esibita a secondo delle priorità del momento.

Un Berlusconi probabilmente animato da un mix “di arroganza e disperazione” come ha detto puntualmente Vendola, scrive una conciliante ad articolata lettera al Corriere per rilanciare un patto all’insegna delle liberalizzazioni, per “frustare il cavallo” dell’ economia, per modificare l’art. 41 della Costituzione “bolscevica”, quello che prevede insieme alla libertà di iniziativa economica privata il limite che non si svolga in contrasto con “l’utilità sociale”. Poi annuncia “gli stati generali dell’economia entro febbraio e l’obiettivo mirabolante di un aumento del Pil del 4 o 5% entro i prossimi anni, qualcosa di analogo al mitico milione di posti di lavoro delle scorse campagne elettorali.

Il Berlusconi conciliante e super dialogante in assetto bipartisan sparisce immediatamente sul far della sera non appena Bersani e Letta rispondono con misura eccedente che “il tempo è scaduto” e che a questo punto, mentre l’opinione pubblica mondiale ci tratta come un paese da barzelletta e le piazze italiane si mobilitano, “lui deve fare un passo indietro e togliere dall’imbarazzo il paese”.

Così i toni ritornano quelli che gli sono più consoni e che abbiamo subito nei videomessaggi da raìs mediorientale e nelle telefonate intimidatorie in prima persona o tramite portavoce alle trasmissioni “postribolo” che non si adeguano alla regia arcoriana di Signorini o di Alessio Vinci.

Nell’arco di meno di 24 ore Bersani, da politico avveduto e pragmatico, autore di quelle liberalizzazioni contro cui Berlusconi a suo tempo aveva cavalcato le reazioni più corporative delle categorie interessate, ritorna il solito comunista “insolente ed irresponsabile” che si vuole alleare con il traditore Fini e con le toghe rosse per impedirgli di governare nonostante il consenso degli italiani.

Tutti si domandano se l’uscita di Berlusconi all’inizio di una settimana cruciale in cui si avvicina considerevolmente per lui la richiesta formale di giudizio immediato da parte dei Pm, dopo l’interrogatorio di Nicole Minetti che qualcosa è comunque andata a dire ai magistrati di Milano, sia l’estremo tentativo di rilanciare un governo in agonia stornando l’attenzione dal Rubygate oppure l’apertura della campagna elettorale addossando la responsabilità delle elezioni anticipate sui suoi avversari che preferiscono trastullarsi con “il gossip” mentre lui pensa all’economi e al paese.

Forse in estrema sintesi è un’altra declinazione di quello che gli è riuscito meglio da diciassette anni a questa parte e cioè la pratica del bunga bunga politico con i suoi avversari ed in special modo con il principale partito dell’opposizione che come lui sa fin troppo bene è caduto infinite volte nelle trappole del “confronto” con manganello e del dialogo dove l’interlocutore deve limitarsi ad acconsentire, magari con voce fioca per “abbassare i toni”.

Ora sembra che “il tempo sia scaduto” anche per il Pd. Ma per impedire che per l’ennesima volta sia ancora lui a poter dettare l’agenda, è auspicabile che i cittadini, magari senza bandiere e simboli di partito, riempiano le piazze per difendere l’indipendenza della magistratura, la libertà di informazione e, perché no, anche per manifestare solidarietà il 13 febbraio a Milano ai pm aggrediti e minacciati dall’offensiva mediatica del presidente del Consiglio.

Con buona pace di Massimo D’Alema che non ha nessun titolo e nessuna buona motivazione per pontificare “in un paese civile non si deve andare in piazza per difendere i giudici”, anche se bisogna riconoscergli perfetta coerenza con quanto aveva riferito all’ambasciatore americano Spogli come riportato da Wikileaks e cioè che “la magistratura è la più grande minaccia per lo Stato italiano”.

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