Fine del G8 retorica del successo

di Pancho Pardi - 11/07/2009
Il G8 ha messo in evidenza una legge decisiva della politica di oggi: se un evento politico è nella sua natura essenziale fatto pubblicitario, è prevedibile e inevitabile che il successo tocchi alla pubblicità

Alla fine del G8 il coro del successo, intonato con insopportabile retorica laudatoria, lascia come unico risultato certo il successo del coro. Ma, senza volere, mette in evidenza una legge decisiva della politica di oggi: se un evento politico è nella sua natura essenziale fatto pubblicitario, è prevedibile e inevitabile che il successo tocchi alla pubblicità.

Quale la differenza tra realtà e pubblicità? Basta guardare in altre pagine dello stesso quotidiano. Sotto il nome di Cai, la rinnovata Alitalia avrebbe garantito, secondo la pubblicità berlusconiana, il salvataggio della compagnia aerea di bandiera. La realtà è che la compagnia salvata fa imbestialire migliaia di utenti: ne sanno qualcosa i poveretti del volo Roma-Torino. Intanto, per decenni, gli italiani pagheranno una tassa invisibile per coprire quel salvataggio fasullo.

Importante è promettere. Poi con il possesso e il controllo dei maggiori mezzi d’informazione, e la compiacente connivenza di parte di quelli non controllati, si riesce benissimo a far dimenticare le promesse o a nasconderne la mancata realizzazione. Tra un anno o due Bob Geldof tornerà alla carica: che ne è stato di quei venti miliardi per l’Africa? Ma tutti nel frattempo se ne saranno dimenticati.

Berlusconi era già riuscito, data la storica insipienza della classe dirigente di centrosinistra, a trasformare la politica italiana in un set televisivo. Ed è tipico del nostro mondo che molti maestri di pensiero indulgano a esaltare la sua capacità di utilizzare i media invece di ricordare che ne è soprattutto il padrone.

All’Aquila ha imposto il set al G8 e ai suoi protagonisti. Tutti in fila per le foto di scena. Grandi sorrisi e grandi promesse. La stampa internazionale non ha potuto o voluto porre le più elementari domande imbarazzanti. La connivenza si allarga fuori confine? Oppure i giornalisti stranieri tornati a casa scrollando la testa preferiscono che gli italiani risolvano da soli i loro pasticci?

Intanto il cosiddetto ministro della giustizia Alfano aggiunge altro tassello all’iniziativa contro i magistrati provando a modificare i criteri di formazione del Consiglio superiore della magistratura. Ostellino se la prende, tanto per cambiare, con Di Pietro per l’annuncio a pagamento sul giornale inglese e si affanna a difendere l’irreprensibile assetto democratico delle nostre istituzioni. Ma ricordando che il Lodo Alfano sarà giudicato dalla Corte Costituzionale non gli viene in mente di dedicare neanche un pensiero ai due giudici costituzionali che, a pochi mesi da quel giudizio hanno pensato bene, guarda un po’, di andare a cena con il beneficiario del Lodo.

Nel retroscena su La Stampa Ugo Magri registra la mutazione seria e sobria di Berlusconi, senza cerone e senza tacchi, con la mascella indolenzita dal torcicollo. E si spinge a citare ignoti collaboratori i quali, con comprensibile unzione, si chiedono se la metamorfosi del loro capo non possa evocare “addirittura la parabola del manzoniano Fra Cristoforo prima grande peccatore e poi praticamente santo”. Insomma: Berlusconi, definito da Ghedini l’utilizzatore finale, potrebbe non porre limite alcuno alla sua capacità di utilizzo. Per aspera ad astra, santo subito.

 

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