Governo tecnico e democrazia

di Francesco Baicchi - 02/01/2012
L'esistenza del governo presieduto dal professor (e recente senatore) Monti costituisce certamente una novità assoluta nella storia della Repubblica Italiana

Anche se tutte le procedure previste dalla nostra Costituzione sono state formalmente rispettate e il Presidente Napolitano ha correttamente interpretato il proprio compito, evitando lo scioglimento anticipato delle Camere, si tratta innegabilmente di un governo di emergenza, sostenuto da una inedita convergenza parlamentare resa possibile dalla anomalia dell'attuale situazione italiana.

Proprio questa anomalia impone, in questo inizio del 2012, una riflessione a mio avviso non più rinviabile, perché una lunga sequenza di errori ha portato il nostro Paese ai limiti estremi della democrazia, da cui rischiamo di uscire rapidamente.

L'equivoco di fondo è stato accettare che il rapporto fra gli elettori e i loro rappresentanti nel sistema parlamentare debba fondarsi essenzialmente sull'esaltazione dell'interesse egoistico del primo. Il candidato, per ottenere consenso, viene così spinto a prospettare continuamente un miglioramento delle condizioni di vita, legato alla disponibilità di beni materiali, in una prospettiva di eterna 'crescita'.

Oggi sappiamo che questo scenario non è più realistico, che la limitatezza delle fonti energetiche, dei beni alimentari, dell'acqua impone di arrestare e ridurre i consumi dei Paesi più sviluppati, anche a fronte delle legittime aspirazioni a una migliore qualità della vita degli altri.

Oltre all'etica e alla solidarietà ce lo impone la nostra stessa sicurezza e il rifiuto di regolare con la forza i flussi migratori.

Una compressione generale dei consumi, che nelle nostre società opulente riguarderebbe una maggioranza della popolazione, potrebbe però essere accettabile solo in presenza di rigidi sistemi di giustizia sociale, di una redistribuzione della ricchezza, di una assoluta equità fiscale e, soprattutto di una cultura fondata sulla solidarietà.

Ma, appunto, l'attuale classe dirigente politica, che necessita del consenso popolare per essere rieletta, non appare in grado di prospettare agli elettori gli atti concreti necessari alla costruzione di questo nuovo scenario, né tantomeno di far loro accettare la rinuncia al miraggio della crescita infinita e preferisce affidare questo compito ingrato ai 'tecnici'.

 

La scelta di un 'governo di tecnici', che ha consentito all'Italia di riacquistare un minimo di credibilità a livello internazionale, e ha probabilmente impedito un crollo del nostro sistema finanziario, è stata una soluzione contemporaneamente inevitabile e pericolosa.

Inevitabile per il discredito assoluto di un Parlamento lontano dalla opinione pubblica, composto a causa di una assurda legge elettorale in ampia parte di mercenari non scelti dagli elettori e indisponibile ad accettare la responsabilità dei propri errori passati; pericolosa perché dimostra che la classe politica non è disponibile a farsi carico della impopolarità che deriva dal dire la verità agli elettori.

Ma ora il Parlamento, compresa l'opposizione anti-berlusconiana, non può fare a meno di approvare le decisioni che l'attuale governo ci pone di fronte, anche se ampiamente criticabili perché scarsamente solidaristiche e redistributive, e perché mancano ancora seri interventi contro l'evasione e per il ritorno a un sistema fiscale progressivo, dopo che negli ultimi venti anni si sono sistematicamente ridotte le aliquote sui redditi più alti, si è aumentata la quota di entrate derivanti dall'imposizione indiretta, si sono cancellate norme essenziali come l'imposizione sulle grandi successioni e il reato di falso in bilancio.

 

Ai partiti politici che sostengono Monti non rimane che la difficile strategia di cercare di dissociarsi a parole da ciò che approvano di fatto, nella speranza che passata la bufera gli elettori tornino a votarli.

Ma cosa resta del sistema democratico, in cui 'la sovranità appartiene al popolo', se gli elettori non vengono messi in grado di compiere le scelte fondamentali per il loro futuro e il Paese viene affidato a decisioni che si vorrebbero 'tecniche' (e pertanto sottratte al loro giudizio), ma in realtà sono anch'esse assolutamente politiche?

Il rischio reale è dunque che il fallimento di una classe dirigente che ha piegato la nostra Costituzione alle proprie esigenze di conservazione del potere finisca col rilanciare modelli istituzionali populistici ed autoritari.

Per scongiurare questa involuzione non serve scaricare sul governo Monti tutte le responsabilità, occorre con urgenza ripristinare le condizioni affinché il sistema democratico funzioni: leggi elettorali che restituiscano agli elettori il potere di scegliere da chi farsi rappresentare a tutti i livelli, la massima trasparenza sulla condotta degli eletti e la fine di privilegi assurdi, precise regole di responsabilità su chi svolge funzioni di pubblico interesse, garanzie reali sulla libertà di informazione, una legislazione che assicuri autonomia ed efficienza alla Magistratura e certezza sulle pene.

L'iniziativa in questa direzione non può essere assunta da un governo 'tecnico', ma è un preciso dovere delle forze politiche che attualmente sono in Parlamento. Auguriamoci che il 2012 sia l'anno in cui questi argomenti possano essere civilmente affrontati.

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