Grecia, la prima vittima

di Die Zeit, Hamburg, ediz. online - (traduzione dal tedesco di José F. Padova) - 29/05/2012
Tutti hanno colpa per il disastro greco – Berlino, Bruxelles e Atene. Come Eurolandia ha trascinato un suo membro fino allo stato di bisogno, ciò che mai si sarebbe potuto veramente accettare

Si tratta di una grande onorificenza, ma arriva in un momento singolare. Giovedì 17 maggio Wolfgang Schäuble riceverà il Premio Internazionale Carlomagno nella Sala dell’Incoronazione presso il Municipio di Aquisgrana. Si faranno grandi discorsi e ci sarà una cerimonia importante, e sempre l’argomento saranno il ministro delle Finanze e le sue benemerenze per l’unità europea e la tenuta dell’euro.

Tuttavia, esattamente 1.990 chilometri in linea d’aria, a sud-est, ad Atene, si mostra precisamente quanto sia disunita questa Europa e compromessa l’intera unione monetaria. E proprio Wolfgang Schäuble, destinatario del Premio Carlomagno per il 2012, in tutto questo ha la sua parte [di responsabilità].

L’Europa non si unisce crescendo. Crolla.

Adesso tutto si concentra sulla Grecia. Come attraverso una lente di focalizzazione si evidenziano le conseguenze della politica di salvataggio fin qui condotta: agitazione sociale, instabilità politica, decadenza economica. Da due anni si tratta di mantenere questo Paese nell’Unione monetaria europea. Eppure innumerevoli vertici sul salvataggio e promesse di crediti miliardari non hanno migliorato la situazione, al contrario. Perciò i greci non ne vogliono più sapere. E sempre più membri dell’Unione Europea non vogliono più sapere di questi greci.

I litigiosi partiti politici ad Atene non ce l’hanno fatta a formare un governo. Dopo le fallite consultazioni tutto corre verso nuove elezioni a metà giugno. Comunque queste vadano a sboccare, il risultato alla fine dovrebbe suonare così: la Grecia abbandona l’Unione monetaria. Sarebbe una decisione le cui conseguenze nessuno potrebbe calcolare. La fine che tutti volevano evitare.

Anche Wolfgang Schäuble. Tutto ciò che il ministro delle Finanze e la Cancelliera hanno fatto negli ultimi due anni seguiva il filo di una logica politica: aiutare i greci senza per questo perdere i tedeschi. Eppure proprio questa logica ha peggiorato molte cose.

Le crisi della politica sono sempre un succedersi di momenti “o… oppure…”: si decide per l’una o l’altra alternativa, sovente vi sono motivi buoni e perfino coercitivi – che tuttavia possono condurre al punto di prendere una direzione al cui capolinea non si voleva proprio arrivare.

Wolfgang Schäuble adesso parla della Grecia in modo diverso da quello di un tempo: non esclude più l’uscita di Atene dall’euro a breve termine. Questo serve ancora come scenario di minacce per mantenere i greci in qualche modo sulla giusta rotta, ma indica anche che il Governo federale da tempo si prepara in caso di emergenza.

 

L’aiuto deve essere allo stesso tempo punizione

E così è questa la storia di come l’Europa perse uno Stato.

 

I. Aiutare e punire

Il 26 febbraio 2010 Josef Ackermann aveva un appuntamento alla Cancelleria. I mercati finanziari sono nervosi, poche settimane prima il governo greco aveva dovuto ammettere che il suo debito di bilancio appariva essere molto più alto di quanto si era supposto fino ad allora. Ackermann, capo della Deutsche Bank e presidente dell’Associazione delle Banche mondiali, in quel venerdì porta con sé una proposta: banche e Stati dovrebbero a breve termine portare aiuti.

A questo scopo la Deutsche Bank vuole raccogliere 15 miliardi sul mercato dei capitali, i governi dell’eurozona dovrebbero partecipare con altri 15 miliardi. Atene e Parigi hanno già segnalato il loro consenso e così anche rinomati investitori internazionali. Ma l’allora consigliere economico di Angela Merkel, Jens Weidmann, non accetta. Così, semplicemente, i greci non debbono arrivare al denaro dei contribuenti tedeschi.

Il governo greco rivede verso l’alto la valutazione del deficit statale per il 2009– dal sei a più del dodici percento del PIL. Già in precedenza la statistica del debito greco conteneva gravi errori: nel 2004 fu reso noto che il nuovo indebitamento degli anni 1998 e 1999 – quindi poco prima dell’introduzione dell’euro – si situava nettamente al disopra del 3% del PIL, prescritto nel Trattato di Maastricht. Alla fine del 2010 i debiti della Grecia avrebbero raggiunto più del 140 percento del prodotto interno lordo.

Fitch, prima fra le agenzie di rating, ha declassato l’affidabilità creditizia della Grecia; le altre agenzie l’hanno seguita. I provvedimenti di austerità della Grecia non sono stati sufficienti a ridurre durevolmente il deficit, così ha motivato Standard & Poor’s la sua decisione. Nell’Unione Europea cresce la paura di una bancarotta di Stato, che potrebbe contagiare gli altri Paesi, mentre in Grecia si è arrivati al primo sciopero contro la politica di austerità del governo.

Alcune settimane più tardi la situazione della Grecia si è aggravata a tal punto che i capi degli Stato e dei governi europei hanno dovuto mettere insieme il primo grande pacchetto di salvataggio. Soltanto che adesso non si tratta più di 30 miliardi di euro, ma di 110 miliardi. E per dare ai greci una cura da cavallo: le pensioni vengono decurtate, i salari degli impiegati statali abbassati, le imposte aumentate. Già solamente nel primo anno il governo di Atene deve risparmiare 16 miliardi di euro. E i greci devono restituire ogni centesimo ricevuto da Bruxelles – più il 4,5 % di interessi.

L’Europa prescrive ai greci uno dei più duri programmi di consolidamento della storia dell’economia. «Atene capitola», scrive il britannico Financial Times. Il programma dovrebbe comprimere i debiti della Grecia – e ottiene il risultato contrario: la congiuntura si avvita e i debiti aumentano ulteriormente, perché allo Stato vengono meno le entrate. Pochi mesi dopo gli europei preparano il successivo pacchetto di aiuti.

Gli esperti del Fondo Monetario Internazionale coinvolti nelle trattative avevano paventato proprio questo. Essi hanno risanato innumerevoli Stati indebitati in tutto il mondo – e nel fare questo maturato l’esperienza che talvolta meno equivale a più. Essi sono tutti d’accordo sul fatto che i greci hanno vissuto al disopra delle loro possibilità e che adesso devono risparmiare e riformare. La questione è solamente: quanto velocemente.

Per Merkel e Schäuble le cose non vanno mai abbastanza in fretta. Se la si mette sul troppo facile i greci non fanno le riforme. E poi, domani, i portoghesi vogliono altrettanto denaro e dopodomani gli spagnoli. Quindi nessuno si dà più da fare, perché tutti affidano i problemi finanziari ai tedeschi. E le cose vanno avanti così, a scopo intimidatorio dei potenziali imitatori.

L’aiuto dovrebbe essere contemporaneamente punizione – questo è il dilemma della politica tedesca di salvataggio.

La storia avrebbe forse preso un altro corso se i tedeschi avessero deciso o di aiutare o di punire. In questo caso la Grecia avrebbe ottenuto una chance realistica per mettere in riga la sua economia all’interno dell’unione monetaria. Oppure avrebbe già allora rinunciato all’euro e dovuto abbandonare l’unione monetaria – oppure nel frattempo si sarebbe messa sulla strada del miglioramento. Ma oggi l’economia greca si restringe drammaticamente e allo stesso tempo i greci potrebbero veramente perdere l’euro.

 

II. Che cosa accadde prima di tutto questo?

Naturalmente non ci sarebbe tutto questo pasticcio se la Grecia non fosse diventata membro dell’eurozona. Proprio questo è stato il punto di partenza del dramma, l’errore originario, che nessuno può rinfacciare alle attuali parti in causa. L’adesione della Grecia era un progetto politico, nel quale la realtà economica non ebbe alcun ruolo. Per entrare nell’unione monetaria il Paese aveva rimaneggiato i suoi conti abbellendoli. E per fare entrare la Grecia nell’eurozona né gli altri Stati né la Commissione europea avevano troppo approfondito i controlli.

Il taglio del debito avrebbe dovuto alleggerire la Grecia – in realtà ha gravato su tutti

È importante tenere ancora sotto osservazione l’errore originario, perché è totalmente decisivo per il management dell’attuale crisi. Infatti proprio per un Paese che dà, come lo è la Germania, si tratta ora di ristabilire la propria credibilità.

«Riflesso condizionato della credibilità» lo chiama il pubblicista Wolfgang Münchau. Ci sono stati governi propensi a decidere «misure ultradure», anche se dubbie sotto l’aspetto politico ed economico: «Così è stato durante la Grande Depressione. È accaduto durante la crisi del meccanismo europeo di definizione dei cambi nell’anno 1992, in Argentina nel 2001 e adesso nuovamente». Il riflesso condizionato della credibilità, afferma Münchau, è «il più grande pericolo nella crisi».

 

III. Tagliare e mettere

All’inizio di dicembre del 2011 Angela Merkel incontra a Parigi il presidente francese Nikolas Sarkozy. I due sono nel frattempo diventati un team affiatato. Nella crisi hanno strappato per sé stessi il ruolo di guida e dettano agli altri le condizioni.

Appena un anno prima, durante una passeggiata sulla spiaggia nella località balneare di Deauville, i due si erano accordati, a proposito di salvataggio di Stati, di battere cassa anche ai creditori privati le banche e gli altri possessori di obbligazioni statali avrebbero dovuto rinunciare a una parte dei loro investimenti. Per il governo federale questo era a quel tempo molto importante. Ma adesso, dopo l’incontro a Parigi, si svolge una conferenza stampa. Sarkozy dice che ciò che in Grecia è accaduto non sarebbe mai dovuto succedere. Merkel afferma che in Europa gli investitori non dovrebbero essere posti in condizioni peggiori di quelle di altre parti del mondo. In altre parole: la partecipazione dei creditori privati è un errore.

Nel mondo della diplomazia una simile virata a 180 gradi è rara.

In quell’occasione l’idea originaria suonava bene. Se i debiti greci sono troppo elevati – che cosa le si avvicinava di più, se non prendere il denaro mediante una riduzione del debito a carico di coloro che lo avevano prestato ai greci? Chi accetta rischi finanziari deve in caso di emergenza esserne anche responsabile. Su questo principio si basa in fondo l’economia di mercato.

Purtroppo succede che con i principi astratti è tutt’altra faccenda, non appena si scontrano con la concreta realtà. Quando gli investitori capirono di essere minacciati da perdite, subito tirarono via il loro denaro. Dapprima dal debito greco, poi da quello portoghese, spagnolo e italiano. Per il governo ad Atene divenne ancora una volta più difficile coprire il suo debito con i prestiti esterni. Ma anche banche, imprese e famiglie non ebbero più accesso al credito. Fino a oggi gran parte della Grecia è tagliata fuori dalla circolazione dei capitali. E la crisi morde sempre più in profondità nell’economia greca.

 

Il taglio del debito avrebbe dovuto alleggerire la Grecia – in realtà gravò su tutti. A causa di ciò gli europei dovettero mettere insieme sempre nuovi aiuti di miliardi.

 

Giorgos Papakonstantinou era ministro greco delle Finanze quando Merkel e Sarkozy si accordarono a Deauville sul taglio del debito. Oggi dirige la Divisione per l’Ambiente ad Atene. Papakonstantinou conosce le discussioni che si svolgono negli altri Paesi europei, ha studiato a Londra e lavorato a Parigi. «Non ho nulla contro il principio di coinvolgere le banche», dice. «Ma il metodo era errato».

 

Vi erano alternative. Come l’idea che gli europei assumessero a loro carico una parte del debito greco e ricuperassero il loro denaro mediante imposte [greche] più elevate sulle attività finanziarie. Si sarebbero dovuti modificare i contratti europei che vietano la socializzazione dei debiti. Suona come difficile, ma avrebbe probabilmente salvato i greci – e per i tedeschi sarebbe eventualmente stata una soluzione perfino più a buon mercato.

 

IV. Crisi debitoria? Fallimento di Stato?

Quando vuole spiegare la situazione nel suo Paese, Mikalis Chrisokoides racconta una storia. Egli proviene da una regione agricola. Si lavorava molto e si mangiava bene. Poi è arrivato l’euro. Improvvisamente tutti guidavano auto costose di fabbricazione tedesca e trascuravano i loro campi. «Non si produce più niente», dice Chrisokoides. «Noi importiamo addirittura il 70 % dei pomodori che vi si vendono».

 

Il denaro è al sicuro, il Paese è perduto

Mikalis Chrisokoides era stato ministro dell’Economia ad Atene, adesso lo è per gli Interni. È un politico di professione, entrato a 19 anni nel Partito socialdemocratico Pasok e divenuto poco dopo governatore della sua provincia natale. Fa parte dell’establishment politico che i greci hanno punito alle recenti elezioni.

 

La storia di come l’Europa ha perduto uno Stato non è solamente la storia di una crisi per debiti, ma anche quella di uno Stato che come tale non funziona.

 

Un’unione monetaria esige importanti impegni dai propri membri, poiché gli errori politici non possono più essere riparati mediante una svalutazione della moneta. In Grecia si sono commessi errori, uno dopo l’altro. Il danaro a basso costo [d’interessi passivi], che con l’introduzione dell’euro si è messo in circolazione nel Paese, non è fluito in investimenti produttivi, ma è stato impiegato nei consumi e in prestigiosi progetti. Non ha quindi reso ricco il Paese nel suo insieme, ma solamente alcuni, pochi, suoi cittadini.

 

Fallimenti di Stati ve ne sono dappertutto nel mondo, ma in Grecia il caso è particolarmente eclatante. Lo Stato greco è un gigante illusorio: grande, ma debole. L’apparato amministrativo è gonfiato, ma il governo non è in condizioni anche solo di imporre le sue decisioni. Una boscaglia di regole e prescrizioni paralizza le imprese, ma la proprietà terriera non viene toccata. Le spese dello Stato sono fra le più elevate dell’Unione Monetaria Europea, ma le entrate pubbliche sono fra le più basse. A tutt’oggi non si è riusciti a far partecipare i greci benestanti ai costi della crisi.

 

Anche questo ha fatto diminuire la disponibilità dei Paesi datori [di aiuti] ad aiutare i greci.

 

Quando l’anno scorso gli esperti dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico) si recarono in Grecia per esaminare la qualità dell’Amministrazione pubblica ne furono inorriditi. Economia ondivaga, strutture organizzative inafferrabili, insufficiente trasparenza. L’apparato di governo non ha «né la capacità né l’attitudine per grandi riforme», questa la loro conclusione finale. Per questa situazione finora nulla si è fatto, ma molto invece per l’autoarricchimento delle elite.

 

Nel frattempo coloro che ne erano in grado hanno portato all’estero i loro risparmi, che si trovano ora su conti presso le banche svizzere o nascosti in immobili di proprietà a Londra. Il denaro è al sicuro, il Paese è perso.

 

V. La forza delle parole

È il bad guy della corrispondenza giornalistica tedesca sulla Grecia: Paul Ronzheimer, 26 anni, reporter della Bild-Zeitung. Ronzheimer è stato uno dei tre autori che sulla Bild hanno incitato i «Greci bancarottieri» a vendere una buona volta le loro isole. Ha scritto sugli impiegati delle imprese statali greche, che ricevono «un bonus per la puntualità, le mani ben lavate e per lavori con temperature fra 0 e 8 gradi» (vedi Darum kriechen die Griechen nie aus der Krise – Perché i greci non strisciano mai fuori dalla crisi). Nell’aprile 2010 si è messo in mezzo alla strada nel quartiere governativo di Atene e ha distribuito vecchie banconote fra la gente (Bild gibt den Pleite-Griechen die Drachmen zurück – Bild restituisce ai greci bancarottieri le vecchie dracme).

 

Qualcosa nei due ultimi anni è caduto, scivolando, in Grecia allo stesso modo di qui. Ecco la copertina di Focus edizione tedesca: Afrodite col dito medio alzato e vicino la riga del titolo Truffatori nella famiglia dell’Euro. E poi vi è stata un’immagine diffusa sui media greci: la Cancelliera tedesca in uniforme nazista. O anche un rapporto sui mancati pagamenti da parte tedesca delle riparazioni per i danni di guerra. O il consiglio: i tedeschi non dovrebbero mettersi per favore così contro di noi, li abbiamo pur aiutati a suo tempo nella ricostruzione postbellica.

 

Guerra. Riparazioni. Uniforme nazi. Quando il dibattito affonda così profondamente non si può più veramente parlare di una unione monetaria comune.

 

Se si parla al telefono con Paul Ronzheimer si conosce una persona tranquilla, obiettiva, bene informata. Quando scrive, Paul Ronzheimer acuisce, esagera, mette in rilievo. Così funziona in strada. Egli dice di riprodurre semplicemente la realtà: «Io annoto quello che vedo e sento. Osservo e racconto. Tutto questo non deve avere alcun influsso sulle decisioni della politica». Naturalmente potrebbe anche essere che questo giornalista avesse avuto buon fiuto, quando consigliò ai greci di vendere le loro isole. Nel frattempo le cose stanno veramente andando in questa direzione, perché il Paese deve mettere insieme soldi anche con la vendita delle proprietà dello Stato. E è possibile che Ronzheimer avesse avuto tempestivamente la giusta percezione, quando offerse ai greci per strada le vecchie dracme. Oggi il ritorno alla vecchia valuta è proprio vicino.

 

Ma è molto più verosimile che le sue corrispondenze non soltanto nei due Paesi [Grecia e Germania] abbiano descritto lo stato d’animo esistente, ma che l’abbiano anche cambiato. E quindi che il giornalista Paul Ronzheimer non abbia solo semplicemente osservato e riferito, ma che abbia anche contribuito a decidere ciò che realmente è avvenuto.

 

Quando tutto va bene, i muri tagliafuoco reggono

In fondo con i giornalisti non è diverso che con i commercianti sul mercato dei capitali. Anche questi dicono di volere vendere soltanto titoli – e provocano poi quei fallimenti che presumibilmente temevano.

 

Per il governo federale [tedesco], conservatore-liberale, in ogni caso nei due anni appena trascorsi ha costituito una difformità il fatto che proprio la stampa conservatrice vedeva con occhio molto critico l’intera politica di salvataggio dell’euro. Il ministro delle Finanze CDU [Christliche Demokratische Union, il partito della Merkel] può non essere indifferente, se la Frankfurter Allgemeine Zeitung [giornale dell’establishment conservatore] lo chiama «un anti-europeo». E del tutto certamente qualcosa tocca anche Angela Merkel, se Bild [il quotidiano più diffuso in Germania, di livello popolare] scrive: Siamo ancora una volta i gonzi dell’Europa! 750 miliardi per i vicini di casa in bancarotta, ma la riduzione delle imposte qui da noi: annullata.

 

VI. Crepuscolo degli eroi

Quando i ministri delle Finanze dell’eurozona lunedì sera di in questa settimana si incontrano a Bruxelles, gli attori principali non siedono al tavolo insieme agli altri. Infatti, contemporaneamente, ad Atene si lotta per un nuovo governo – e con ciò anche per il futuro dell’euro. Fondamentalmente i ministri non tengono più in pugno lo sbocco della storia.

 

Si tratta della mescolanza fra la crisi di Stato greca e il riflesso tedesco di credibilità, fra durezza finanziaria e risentimento nazionale, che ha portato l’Europa a questo punto. Se tutto va bene, allora i muri spartifuoco anche dopo l’uscita della Grecia tengono – e gli Stati che restano nell’unione monetaria si accostano l’un l’altro più strettamente. Se tutto va storto, i risparmiatori più spaventati portano al sicuro i loro capitali, le banche crollano e tutta l’eurozona.

 

Alla consegna del Premio Carlomagno, giovedì, non si ascolterà nulla di questo scenario da incubo. Ma soltanto per non danneggiare il premiato.

 

Fa parte della personale tragicità di Wolfgang Schäuble che egli riceva questo onore un paio d’anni troppo tardi. Schäuble ha fatto precoce propaganda per l’Europa, nel suo partito aveva sempre un ruolo di precursore. E in questa crisi ha talvolta lasciato trasparire di voler procedere volentieri in modo diverso da quello della Cancelliera. Solamente: quando si arrivava veramente alle decisioni, Schäuble ha condiviso tutto. Anch’egli voleva seguire la direzione che questo governo seguiva. Che cosa dunque dirà Schäuble giovedì prossimo?

 

Nell’anno 1919 un ambizioso economista inglese pubblicò un libretto sulla sue esperienze alla Conferenza per la pace di Versailles, dopo la Prima guerra mondiale. Il suo nome: John Maynard Keynes. Trattare duramente e spremere finanziariamente un Paese avrebbe portato tutti gli altri Stati al disastro, scriveva Keynes nella sua opera polemica The Economic Consequences of Peace [Le conseguenze economiche della pace]. Forse è questo il titolo adatto per il discorso di ringraziamento di Schäuble ad Aquisgrana: The Economic Consequences of Greece [Le conseguenze economiche della Grecia].

 

 

Segue una lunga, precisa cronologia delle misure, politiche e finanziarie, prese successivamente negli ultimi due anni – e dei relativi, disastrosi errori.

Potrei tradurla a richiesta da almeno 10 interessati: emilpad@teletu.it.

 

Interessanti i commenti dei lettori tedeschi alla notizia della premiazione di Schäuble sui principali fogli della Germania: ne ho letti una trentina, dal Bild al Tagesspiegel e non ne ho trovato uno positivo sulla parte avuta da S. nell’esacerbare la crisi.

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