Grillo oppure B. Il Pd deve scegliere

di Flores D'Arcais - Il Fattoquotidiano - 28/02/2013
Non è affatto vero che la situazione sia ingovernabile

Se renderla tale o voltare democraticamente pagina è nella mani dello sconfitto di queste elezioni, Pier Luigi Bersani. Che deve scegliere tra i due vincitori, Beppe Grillo e Silvio  Berlusconi, o l’uno o l’altro, aut aut, e ha di fronte a sé tre ravvicinate scadenze istituzionali, come tali ineludibili, in cui perciò non potrà neppure cavarsela alla Ponzio Pilato. 

Seconda scadenza, cronologicamente, ma prima sotto il profilo politico e logico: la Giunta delle elezioni del Senato dovrà decidere se convalidare o meno l’elezione di Berlusconi, che la legge 361 del 1957 dichiara inequivocabilmente NON eleggibile, legge che maggioranze “bulgare” bipartisan hanno sistematicamente violato (un solo voto per la legalità, nel 1994, quello di Luigi Saraceni, che ovviamente l’Ulivo non confermò nella Giunta delle elezioni    due anni dopo). La destra putiniana sosterrà che il suo Cavaliere è eleggibile, perché il suo nome non risulta negli organigrammi di Mediaset, benché la legge chiarissimamente spieghi che vale il beneficiario reale della concessione pubblica, non solo i suoi manager (“coloro che in proprio    o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese…”).

I neo-eletti del M5S (a meno di un improvviso e impensabile virus partitocratico) ovviamente chiederanno il rispetto della legge, e  dunque che Berlusconi venga dichiarato decaduto, ed escluso dal Parlamento (il che significa anche dall’immunità rispetto a eventuali mandati d’arresto). E il Pd? Farà, una volta di più, il violante della legge, o la rispetterà? Per dirla col malinconico eloquio bersaniano, smacchierà il giaguaro o salverà il caimano una volta di più (perseverare diabolicum!)? E VENIAMO alla prima scadenza, l’elezione dei presidenti dei due rami del Parlamento.

I precursori del Pd (Pci e sinistra democristiana) nel 1976 riuscirono a far passare il principio che una delle due presidenze spettasse all’opposizione. Oggi il M5S è il primo partito per numero di voti (si conteggiano quelli della Camera, dove votano anche i diciottenni), dunque secondo tale logica ha diritto a una presidenza. Del resto, Bersani  non può pensare di averle entrambe, in una delle due camere dovrà scegliere tra l’accordo con  Berlusconi e l’accordo con Grillo, la matematica del Senato dice che tertium non datur. E non vale l’alibi che Grillo rifiuta ogni accordo “a    prescindere”: in Sicilia, per le cariche istituzionali (vicepresidenza    dell’assemblea), i voti altrui il M5S li ha accettati, come era ovvio e giusto.    Terza scadenza: elezione del presidente della Repubblica.

Qui il dilemma si ripropone in termini ancora più incalzanti, al Colle più alto deve risiedere il Custode della    Costituzione, scegliendo tra il dia-    logo con Berlusconi e il dialogo    con Grillo Bersani deve in sostanza decidere se accordarsi con i ne-    mici dichiarati della Costituzione,    che considerano “i magistrati peggiori della mafia” e la Carta repubblicana carta da cesso, o con una forza politica nuova che fin qui ha invece denunciato ogni violazione della Costituzione come infamia partitocratica. Certo, dover discutere con i “ragazzi” del M5S,  e con Grillo e Casaleggio, il nome del futuro inquilino del Quirinale,  sarebbe per Bersani e i maggiorenti del Pd peggio che andare a Canossa. Se l’ha fatto un imperatore sarà bene che ci facciano un pensiero anche loro, perché l’alternativa è - anche solo accennando a un pourparler col putiniano – di infangare, calpestare, tradire la memoria di chi ha dato la vita per ché nascesse una Costituzione tra le più democratiche del mondo.  Bersani è pronto a tanta scelleratezza?

Non sarebbe invece ovvio  chiedere al M5S una rosa di nomi, e avanzarne una in proprio, cercando le possibili assonanze, visto    che su personalità come Dario Fo,    Andrea Camilleri, Gustavo Zagrebelsky, Barbara Spinelli, o personalità di analoga caratura democratica e repubblicana, non è irragionevole pensare che Grillo e  i suoi “ragazzi” già stiano rimuginando? Tutto questo non risolve il problema della ingovernabilità, si di- rà, per il quale si tratta di trovare    un governo che ottenga la fiducia anche al Senato, dove è inimmaginabile che i senatori a cinque stelle esprimano un voto positivo. E dunque – ecco l’apparente realismo di Bersani & Co. – non resta che il “governissimo” e insomma l’ennesimo scambio di favori e amorosi sensi con Berlusconi, do ut des, una mano lava l’altra, un inciucio al giorno leva il medico di torno, trascinando l’Italia nel baratro, come stanno facendo da vent’anni.

CERTO, SE BERSANI pensa di poter formare il suo governo, e  ottenere un via libera da Beppe Grillo, con “aperture” e altri rituali partitocratici, si illude di grosso. Bersani ha perso le elezioni, e se vuole essere realista davvero, almeno per una volta, deve inventarsi una soluzione di compromesso. Rinunciare a fare il premier, questo è l’abc, e creare il clima per cui lo stesso Grillo manifesti disponibilità o avanzi dei nomi, per un governo tecnico all’incontrario (rispetto all’esperienza Monti): personalità fuori dai partiti, di adamantino spessore etico e professionale, con alcuni punti qualificanti che sono anche nel programma M5S, dal salario di cittadinanza alle grandi misure  ecologiche alla banda larga in sostituzione dei ponti sugli    stretti…

Di fronte a un governo del genere, di rottura con la  morta gora delle nomenklature  partitocratiche, non è da escludere che i senatori M5S decidano di non partecipare al voto,    consentendo la nascita dell’esecutivo, e votando poi volta a volta a seconda che ne condividano le scelte. L’alternativa, un accordo con Berlusconi, a me sembra    di un buio accecante e irresponsabile, mentre tornare a votare tra qualche mese difficilmente farebbe sparire lo “spettro di Grillo”, come spera la partitocrazia. Anzi.

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