I nemici della democrazia

di Nadia Urbinati, da Repubblica - 20/11/2012
Ammalata di un invecchiamento precoce, la democrazia sembra avere molti nemici, in Europa

I mercati finanziari che condizionano i bilanci degli Stati costringendo i governi a falcidiare i servizi sociali e ad alzare le tasse, una correlazione che non è più giustificabile; i "pochi" potenti che non hanno più intenzione di condividere lo stesso destino di chi è sempre meno uguale perché più bisognoso e vogliono cancellare gli obblighi della solidarietà nazionale; i movimenti populisti che hanno tutto l'interesse a far esplodere le contraddizioni per lucrarne posizioni politiche; i leader demagogici che cercano il consenso mediatico e si fanno rappresentanti della causa della rivolta ' chiamando i poliziotti a disertare e a unirsi alla guerriglia, ad ammutinarsi; i movimenti violenti che generano la paurosa illazione che lo stato democratico sia il nemico principale dei cittadini democratici, non gli accumulatori di rendite (del resto invisibili e senza un nome).

Non aiutano i governi che, venuti a promettere buona amministrazione e decisioni giuste benché amare, hanno col tempo dimostrato di non aver molto altro da offrire se non tagliare risorse alle spese sociali, colpire la già umiliata scuola, falcidiare la sanità; senza nulla proporre se non tagli e austerità, in un crescendo che sembra non fermarsi mai e non è più giustificabile. Così, in un'Italia impoverita e dalle enormi difficoltà economiche, cresce la percentuale di cittadini che non si sente più rappresentata, ed esplodono le rivolte, si accendono le piazze.

La democrazia che è nata dopo la guerra non voleva essere un corredo di politiche liberiste integrato con lo stato repressivo. Per reagire allo statalismo corporativo e fascista non ha promesso uno Stato minimo ma uno Stato sociale giusto. Non ha promesso una società votata all'impoverimento progressivo, ma una società capace di elevare le condizioni dei molti. Non ha promesso uno Stato che tassa le rendite alte meno dei redditi da lavoro, che tassa le proprietà immobiliari dei privati cittadini meno di quelle della Chiesa. Infine, non ha promesso che i sacrifici venissero a pesare più su chi ha meno forza. Le violenze che feriscono le nostre città sono un grido d'allarme disperato: dobbiamo condannare la violenza, ma non possiamo dimenticare per questo l'ingiustizia nella quale la democrazia è intrappolata, in Italia come in Europa. Quelle manifestazioni sono una denuncia della spirale di decisioni che sembrano seguire solo una direzione: punitive con i molti e deboli e indulgenti con i pochi e potenti.

È pericoloso pensare che queste prove generali di guerriglia urbana siano solo e semplicemente una questione di ordine pubblico. Sono anche una questione di ordine pubblico e sono anche un segno di scontento popolare. Ma prima di tutto sono una prova che il governo dell'emergenza sta creando nuova emergenza; che è sulla strada sbagliata come lo è non avere una politica sociale ed economica per il futuro del Paese e del continente. Come lo è non sapersi alleare con le forze progressiste europee e americane per reagire al dogma dei mercati finanziari, prendere decisioni coraggiose e quindi rivedere scelte e cambiare direzione di marcia. Senza di esse ogni governo di emergenza è purtroppo un generatore di emergenza. La democrazia, scriveva Tocqueville, ha la capacità di correggersi con più democrazia. È urgente dimostrare che questa non è solo una massima scritta in un libro ottocentesco.

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