Intervento di Pardi al Senato del 19 marzo su testamento biologico

di Pancho Pardi - Intervento al senato - 20/03/2009
Legislatura 16º - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 176 del 19/03/2009

Signor Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, la discussione su questo argomento ci pone di fronte ad un punto centrale della vita democratica, perché tocca in modo incisivo e per certi aspetti, forse, anche pericoloso la disciplina della libertà della persona.
Un antico adagio della vita legislativa, di cui non ricordo la provenienza ma che cito a memoria, dice che «i casi difficili producono leggi sbagliate». La storia del caso Englaro lo dimostra. Il fatto sta sotto ai nostri occhi: si propone una legge sul testamento biologico il cui risultato effettivo certo è quello di rendere impossibile il testamento biologico. I promotori, è vero, l'hanno presentato continuano a presentarlo come un provvedimento che deve riuscire a risolvere un problema di natura universale, però hanno costruito un dispositivo che, al contrario, lo complica ed aggrava.
I promotori di questa legge hanno affermato e ripetuto la necessità di colmare un vuoto legislativo. Qui si incontra un primo punto decisivo della questione. Dire che c'è un vuoto legislativo significa infatti poggiarsi su un espediente per sostenere che i giudici che si erano occupati variamente della vicenda Englaro sono stati protagonisti di forzature indebite, hanno creato in modo illegittimo un diritto marginale e hanno invaso l'ambito riservato al solo legislatore. È questa un'accusa grave, che è stata presa per buona dal Senato.
Non molto tempo fa, sulla scia dell'affermazione per cui siamo di fronte a un vuoto legislativo, il Senato ha voluto sostenere che la Cassazione, avendo a suo tempo confermato la sentenza della corte d'appello (che permetteva finalmente al padre di Eluana Englaro di avviare alla sua fine naturale la povera figlia), si era così sostituta al potere legislativo. L'accusa era che la Cassazione si era sostituta al potere legislativo e aveva quindi violato il principio fondamentale della separazione dei poteri. Su questa base il Senato ha voluto sollevare un temerario conflitto davanti alla Corte costituzionale ed è stato giustamente bacchettato dalla suprema Corte. In un certo senso, noi abbiamo esposto il Senato a una figuraccia - viviamo ancora sotto questa aura - perché la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il conflitto che il Senato ha proposto e, con la massima chiarezza e in pochissimo tempo, ha stabilito che i provvedimenti della magistratura non sono stati usati per esercitare funzioni di produzione normativa o per menomare l'esercizio del potere normativo da parte del Parlamento. Ho citato l'ordinanza n. 334 del 2008, che è inequivocabile.
Cosa significa ciò? Significa che i giudici avevano agito in piena legittimità. Quando la Cassazione ha confermato la sentenza della corte d'appello, essa ha agito nella piena disponibilità dei suoi poteri. I giudici hanno agito in piena legittimità, ispirati non già a un diritto inventato, ma al diritto vigente, a norme già esistenti e adeguate a risolvere nel presente e nel futuro casi come quello che abbiamo di fronte (più tardi ricorderò tali norme). Non c'era quindi un vuoto legislativo, bensì un pieno legislativo; non vi era un vuoto di diritto, ma un pieno di diritto su cui non vi era alcun bisogno di intervenire. Il Senato è invece voluto intervenire su quel pieno di diritto per sfigurarlo con nuove norme aggiuntive, che, anziché disciplinare l'esercizio di un diritto, di fatto lo impediscono.
Dopo l'ordinanza della Corte costituzionale era in realtà dovere del Senato fermarsi. Potevamo e dovevamo fermarci e se proprio pensavamo fosse davvero necessario un sostanziale miglioramento normativo, ci saremmo potuti concedere il tempo necessario per ragionare sul tema e, soprattutto, per ascoltare l'opinione della scienza. Questo è un altro punto fondamentale, in quanto in questa sede si ragiona senza tenere in conto l'opinione della scienza. Stiamo parlando di cose che intimamente non conosciamo e non ragioniamo in termini di diritto, pretendendo di mettere bocca dentro una materia di esclusivo carattere scientifico. Volendo entrare nel merito di questioni complesse e di straordinaria specializzazione disciplinare, noi saremmo dovuti ricorrere alla ricerca scientifica e avremmo dovuto avere l'umiltà di ascoltarla per un certo tempo e in maniera approfondita. Niente di tutto questo è avvenuto.
I colleghi della maggioranza hanno voluto misurarsi con il problema scientifico, con esiti penosi, mentre non hanno voluto invece misurarsi con il problema di diritto.
Il caso Englaro, a guardarlo controluce, ha prodotto una strana conversione. Molti ambienti culturali italiani, tra cui la Chiesa in primo luogo - non voglio essere offensivo, in verità la Chiesa è più di un ambiente culturale - erano stati a lungo contrari all'idea di legiferare sul testamento biologico, probabilmente per una forma di saggezza: erano preoccupati di evocare orizzonti probabilmente temibili.
All'improvviso il caso Englaro fa esplodere la necessità della legge. Tuttavia quello che accade in questi giorni dimostra che non si persegue una legislazione necessaria, si cerca una rivincita: questo è quello che sta facendo il Senato, sta cercando la rivincita dello scappellotto preso dalla Corte costituzionale.
In quest'Aula abbiamo dovuto ascoltare un'oratoria scomposta, che è arrivata a sostenere che Eluana è stata ammazzata (non dico da chi, ma è stato detto), e che la decisione legittima che ha posto fine al suo calvario si trasformerà nell'autorizzazione a far morire di fame e di sete i pazienti nella sua condizione: è una fantasia orribile.
Chi usa questo argomento non sa di che cosa parla e affida la capacità di persuasione soltanto alla mistificazione retorica. Basterebbe ascoltare ciò che può spiegare la comunità scientifica, che si occupa per professione delle cure palliative e del trattamento di fine vita, e si vedrebbe allora - a saper ascoltare - che equiparare la rinuncia ad idratazione ed alimentazione artificiali alla negazione di acqua e pane (questo è stato detto, che noi volevamo togliere acqua e pane ad una povera paziente che stava morendo) rappresenta un'autentica falsificazione della realtà.
In questa maniera si è giunti all'esasperazione di un conflitto che produce una legge che punta in modo esplicito - è dichiarato, è scritto negli articoli - a limitare il diritto all'autodeterminazione riconosciuto dalla Costituzione. C'è una retorica sulla vita e sul bene indisponibile, e su questo anch'io voglio dire la mia.
A costo di essere pedante, voglio che sia messo agli atti che la parola vita compare in Costituzione al comma 2 dell'articolo 38, in cui si dice: «I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio». Questa è la vita che entra nel testo della Costituzione.
Quando poi si parla di inviolabilità, si bara, perché al comma 1 dell'articolo 13 non è la vita, ma è la libertà personale ad essere inviolabile. (Applausi dei senatori Perduca e Poretti).
Nella stessa Dichiarazione dei diritti dell'uomo, all'articolo 3 si dice che ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona. Nessuno dice che la vita è un bene indisponibile. All'articolo 12, ancora, si stabilisce che nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata: non sarebbe male ascoltare un po' queste indicazioni.
Che cos'è allora l'indisponibilità? In realtà l'idea di prevedere nella legge che la vita è inviolabile ed indisponibile è una netta forzatura di tutti i principi costituzionali, con un sottofondo rovescio pericolosissimo perché, se la vita è indisponibile per il soggetto che la vive, ciò significa - non si dice, ma è implicito, per cui in questo senso c'è anche un'ipocrisia - che essa è disponibile per qualcun altro. Allora, poiché nella legge non si può scrivere che è disponibile per Dio, non può che essere disponibile per lo Stato. Stabiliamo dunque questo principio assurdo che, in un certo senso, fa riemergere dalla morte filosofica l'idea dello Stato etico, cioè lo Stato che ci dice cosa dobbiamo fare, cosa dobbiamo pensare, come dobbiamo muoverci, perché a questo punto noi stabiliamo che la vita è disponibile per lo Stato. È un'orribile prospettiva e credo che se qualcuno riflettesse su questo, davvero si fermerebbe in tempo.
In realtà il quadro delle norme che oggi in Italia consente di rifiutare le cure e di morire con dignità - espressione costituzionale - è estremamente chiaro. La decisione della Corte di Cassazione, ricordata prima, era ancorata ad una larga serie di norme: ricordo in particolare gli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione; la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina del Consiglio d'Europa; la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; la legge sul Servizio sanitario nazionale del 1978; gli articoli del Codice di deontologia medica, al quale ha fatto riferimento il nostro stimatissimo collega Veronesi l'altro giorno nel suo limpido intervento. In quell'occasione Veronesi ha voluto dichiarare - personalmente credo che abbia fatto benissimo e l'ho apprezzato enormemente - che, se anche passerà questa pessima legge e fallirà persino il referendum, (e lo ha detto con la calma dell'uomo di cultura dello scienziato) i medici rispetteranno comunque la volontà del paziente, perché il Codice deontologico della medicina fa sì che il medico debba farlo quando quella volontà sia stata dichiarata.
Infine, faccio riferimento alle sentenze della Corte costituzionale precedenti. Il criterio di partenza è elementare, vale a dire è il principio del consenso informato da cui deriva il potere della persona di disporre del proprio corpo. Qui sì c'è la disponibilità., lo si afferma. Non si parla di indisponibilità ma di disponibilità, vale a dire del potere della persona di disporre del proprio corpo e quindi l'illegittimità di qualsiasi intervento che prescinda dalla sua volontà. Qui incide l'articolo 32 della Costituzione, che vieta qualsiasi trattamento che possa violare il rispetto della persona umana e su ciò si fonda il diritto di rifiutare qualsiasi cura.
Il Senato non può prescindere da questo quadro costituzionale. L'intervento del Senato nella legge ha senso solo se consente a ciascuno di esprimere in piena libertà e consapevolezza la propria volontà sulle proprie condizioni di fine vita, nel caso in cui si trovi impedito ad esercitare in quel momento il suo diritto al rifiuto di trattamenti, come hanno potuto fare di recente Welby e Nuvoli. È già successo e dovrà continuare a succedere!
Non c'era alcun bisogno di una legge sul testamento biologico. Poi, se proprio si deve predisporre una legge sul testamento biologico, allora bisogna che essa sia lineare, chiara e comprensibile, senza sbavature, dichiarando con la massima semplicità di affermare il diritto di scelta del singolo cittadino.
L'articolo 408 del codice civile è chiarissimo, tanto che prevede che, in previsione della propria futura incapacità, il cittadino possa designare un amministratore di sostegno affinché siano rispettate le sue indicazioni nel caso in cui si trovi ii uno stato vegetativo permanente. Al contrario, la legge qui in discussione vuole proprio impedire il diritto di scelta. Questo è il punto finale. Noi, che difendiamo il diritto di scelta, non vogliamo imporre a nessuno una soluzione che ripugni alla sua coscienza, mentre è proprio una grave lesione della democrazia che la maggioranza voglia imporre con una legge a tutti la propria unica soluzione, il prodotto della propria coscienza. Qui compare, lo ricordo ancora una volta, lo Stato che prescrive a tutti i comportamenti che invece dovrebbero essere dettati dalla coscienza individuale.
Ma se non bastano questi richiami, che qualcuno potrebbe considerare laicisti, voglio ricordare alle persone di fede che Paolo VI, in una lettera pontificale del 1970 ai medici cattolici, così scriveva: «Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice». Vorrei che fosse apprezzata la potenza semantica dell'espressione del Pontefice quando parla di «una scienza instancabilmente creatrice», che sposta indefinitamente i confini tra la vita e la morte.
Prosegue poi: «In molti casi non sarebbe forse un'inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana» - non lo dicono dei laicisti maledetti, lo dice Paolo VI - «e che va naturalmente verso il suo epilogo». Quanta saggezza in questa espressione e quanta saggezza questa maggioranza in Senato non ha voluto ascoltare.
Per non parlare poi del catechismo, scritto quasi di suo pugno dall'attuale pontefice Joseph Ratzinger, che ricorda al numero 2278: «L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'"accanimento terapeutico". Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha competenza e capacità o, altrimenti, da coloro che ne hanno legittimamente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi del paziente».
Questa legge è pessima, è anticostituzionale e probabilmente passerà. Forse sarà cosmeticamente migliorata con l'approvazione di qualche specifico emendamento, ma passerà perché la maggioranza ha la forza per farla passare, però si troverà di fronte un protagonismo civile che non rinuncerà alla sua battaglia.
Molti cittadini, da poco tempo, hanno cominciato a depositare il proprio testamento biologico. La collega Poretti l'ha fatto in questa sede, ma in tutta Italia vi sono occasioni pubbliche in cui si raccoglie il testamento biologico dei cittadini che hanno voglia di farlo.
Questa iniziativa avviene senza pubblicità, senza grande assembramento, con la massima tranquillità, come si compete all'esercizio del libero intendimento della singola persona. Non sono in gioco le masse, ma i destini dei singoli individui. Questa operazione umile e tranquilla rafforzerà la causa della libertà di scelta nel futuro, sicuramente inevitabile se la legge passerà qui, rinvio della stessa legge alla Corte costituzionale. Perderemo una votazione e ci appronteremo a sostenere una battaglia civile in tutta la società. (Applausi dai Gruppi IdV e PD).

Questo articolo parla di:

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