Signor Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo,
la discussione su questo argomento ci pone di fronte ad un punto centrale
della vita democratica, perché tocca in modo incisivo e per certi aspetti,
forse, anche pericoloso la disciplina della libertà della persona.
Un antico adagio della vita legislativa,
di cui non ricordo la provenienza ma che cito a memoria, dice che «i casi
difficili producono leggi sbagliate». La storia del caso Englaro lo dimostra.
Il fatto sta sotto ai nostri occhi: si propone una legge sul testamento
biologico il cui risultato effettivo certo è quello di rendere impossibile
il testamento biologico. I promotori, è vero, l'hanno presentato continuano
a presentarlo come un provvedimento che deve riuscire a risolvere un problema
di natura universale, però hanno costruito un dispositivo che, al contrario,
lo complica ed aggrava.
I promotori di questa legge hanno affermato
e ripetuto la necessità di colmare un vuoto legislativo. Qui si incontra
un primo punto decisivo della questione. Dire che c'è un vuoto legislativo
significa infatti poggiarsi su un espediente per sostenere che i giudici
che si erano occupati variamente della vicenda Englaro sono stati protagonisti
di forzature indebite, hanno creato in modo illegittimo un diritto marginale
e hanno invaso l'ambito riservato al solo legislatore. È questa un'accusa
grave, che è stata presa per buona dal Senato.
Non molto tempo fa, sulla scia dell'affermazione
per cui siamo di fronte a un vuoto legislativo, il Senato ha voluto sostenere
che la Cassazione, avendo a suo tempo confermato la sentenza della corte
d'appello (che permetteva finalmente al padre di Eluana Englaro di avviare
alla sua fine naturale la povera figlia), si era così sostituta al potere
legislativo. L'accusa era che la Cassazione si era sostituta al potere
legislativo e aveva quindi violato il principio fondamentale della separazione
dei poteri. Su questa base il Senato ha voluto sollevare un temerario conflitto
davanti alla Corte costituzionale ed è stato giustamente bacchettato dalla
suprema Corte. In un certo senso, noi abbiamo esposto il Senato a una figuraccia
- viviamo ancora sotto questa aura - perché la Corte costituzionale ha
dichiarato inammissibile il conflitto che il Senato ha proposto e, con
la massima chiarezza e in pochissimo tempo, ha stabilito che i provvedimenti
della magistratura non sono stati usati per esercitare funzioni di produzione
normativa o per menomare l'esercizio del potere normativo da parte del
Parlamento. Ho citato l'ordinanza n. 334 del 2008, che è inequivocabile.
Cosa significa ciò? Significa che i giudici
avevano agito in piena legittimità. Quando la Cassazione ha confermato
la sentenza della corte d'appello, essa ha agito nella piena disponibilità
dei suoi poteri. I giudici hanno agito in piena legittimità, ispirati non
già a un diritto inventato, ma al diritto vigente, a norme già esistenti
e adeguate a risolvere nel presente e nel futuro casi come quello che abbiamo
di fronte (più tardi ricorderò tali norme). Non c'era quindi un vuoto legislativo,
bensì un pieno legislativo; non vi era un vuoto di diritto, ma un pieno
di diritto su cui non vi era alcun bisogno di intervenire. Il Senato è
invece voluto intervenire su quel pieno di diritto per sfigurarlo con nuove
norme aggiuntive, che, anziché disciplinare l'esercizio di un diritto,
di fatto lo impediscono.
Dopo l'ordinanza della Corte costituzionale
era in realtà dovere del Senato fermarsi. Potevamo e dovevamo fermarci
e se proprio pensavamo fosse davvero necessario un sostanziale miglioramento
normativo, ci saremmo potuti concedere il tempo necessario per ragionare
sul tema e, soprattutto, per ascoltare l'opinione della scienza. Questo
è un altro punto fondamentale, in quanto in questa sede si ragiona senza
tenere in conto l'opinione della scienza. Stiamo parlando di cose che intimamente
non conosciamo e non ragioniamo in termini di diritto, pretendendo di mettere
bocca dentro una materia di esclusivo carattere scientifico. Volendo entrare
nel merito di questioni complesse e di straordinaria specializzazione disciplinare,
noi saremmo dovuti ricorrere alla ricerca scientifica e avremmo dovuto
avere l'umiltà di ascoltarla per un certo tempo e in maniera approfondita.
Niente di tutto questo è avvenuto.
I colleghi della maggioranza hanno voluto
misurarsi con il problema scientifico, con esiti penosi, mentre non hanno
voluto invece misurarsi con il problema di diritto.
Il caso Englaro, a guardarlo controluce,
ha prodotto una strana conversione. Molti ambienti culturali italiani,
tra cui la Chiesa in primo luogo - non voglio essere offensivo, in verità
la Chiesa è più di un ambiente culturale - erano stati a lungo contrari
all'idea di legiferare sul testamento biologico, probabilmente per una
forma di saggezza: erano preoccupati di evocare orizzonti probabilmente
temibili.
All'improvviso il caso Englaro fa esplodere
la necessità della legge. Tuttavia quello che accade in questi giorni dimostra
che non si persegue una legislazione necessaria, si cerca una rivincita:
questo è quello che sta facendo il Senato, sta cercando la rivincita dello
scappellotto preso dalla Corte costituzionale.
In quest'Aula abbiamo dovuto ascoltare
un'oratoria scomposta, che è arrivata a sostenere che Eluana è stata ammazzata
(non dico da chi, ma è stato detto), e che la decisione legittima che ha
posto fine al suo calvario si trasformerà nell'autorizzazione a far morire
di fame e di sete i pazienti nella sua condizione: è una fantasia orribile.
Chi usa questo argomento non sa di che
cosa parla e affida la capacità di persuasione soltanto alla mistificazione
retorica. Basterebbe ascoltare ciò che può spiegare la comunità scientifica,
che si occupa per professione delle cure palliative e del trattamento di
fine vita, e si vedrebbe allora - a saper ascoltare - che equiparare la
rinuncia ad idratazione ed alimentazione artificiali alla negazione di
acqua e pane (questo è stato detto, che noi volevamo togliere acqua e pane
ad una povera paziente che stava morendo) rappresenta un'autentica falsificazione
della realtà.
In questa maniera si è giunti all'esasperazione
di un conflitto che produce una legge che punta in modo esplicito - è dichiarato,
è scritto negli articoli - a limitare il diritto all'autodeterminazione
riconosciuto dalla Costituzione. C'è una retorica sulla vita e sul bene
indisponibile, e su questo anch'io voglio dire la mia.
A costo di essere pedante, voglio che sia
messo agli atti che la parola vita compare in Costituzione al comma 2 dell'articolo
38, in cui si dice: «I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed
assicurati i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio».
Questa è la vita che entra nel testo della Costituzione.
Quando poi si parla di inviolabilità, si
bara, perché al comma 1 dell'articolo 13 non è la vita, ma è la libertà
personale ad essere inviolabile. (Applausi dei senatori Perduca e Poretti).
Nella stessa Dichiarazione dei diritti
dell'uomo, all'articolo 3 si dice che ogni individuo ha diritto alla vita,
alla libertà e alla sicurezza della propria persona. Nessuno dice che la
vita è un bene indisponibile. All'articolo 12, ancora, si stabilisce che
nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella
sua vita privata: non sarebbe male ascoltare un po' queste indicazioni.
Che cos'è allora l'indisponibilità? In
realtà l'idea di prevedere nella legge che la vita è inviolabile ed indisponibile
è una netta forzatura di tutti i principi costituzionali, con un sottofondo
rovescio pericolosissimo perché, se la vita è indisponibile per il soggetto
che la vive, ciò significa - non si dice, ma è implicito, per cui in questo
senso c'è anche un'ipocrisia - che essa è disponibile per qualcun altro.
Allora, poiché nella legge non si può scrivere che è disponibile per Dio,
non può che essere disponibile per lo Stato. Stabiliamo dunque questo principio
assurdo che, in un certo senso, fa riemergere dalla morte filosofica l'idea
dello Stato etico, cioè lo Stato che ci dice cosa dobbiamo fare, cosa dobbiamo
pensare, come dobbiamo muoverci, perché a questo punto noi stabiliamo che
la vita è disponibile per lo Stato. È un'orribile prospettiva e credo che
se qualcuno riflettesse su questo, davvero si fermerebbe in tempo.
In realtà il quadro delle norme che oggi
in Italia consente di rifiutare le cure e di morire con dignità - espressione
costituzionale - è estremamente chiaro. La decisione della Corte di Cassazione,
ricordata prima, era ancorata ad una larga serie di norme: ricordo in particolare
gli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione; la Convenzione sui diritti
umani e la biomedicina del Consiglio d'Europa; la Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea; la legge sul Servizio sanitario nazionale del 1978;
gli articoli del Codice di deontologia medica, al quale ha fatto riferimento
il nostro stimatissimo collega Veronesi l'altro giorno nel suo limpido
intervento. In quell'occasione Veronesi ha voluto dichiarare - personalmente
credo che abbia fatto benissimo e l'ho apprezzato enormemente - che, se
anche passerà questa pessima legge e fallirà persino il referendum, (e
lo ha detto con la calma dell'uomo di cultura dello scienziato) i medici
rispetteranno comunque la volontà del paziente, perché il Codice deontologico
della medicina fa sì che il medico debba farlo quando quella volontà sia
stata dichiarata.
Infine, faccio riferimento alle sentenze
della Corte costituzionale precedenti. Il criterio di partenza è elementare,
vale a dire è il principio del consenso informato da cui deriva il potere
della persona di disporre del proprio corpo. Qui sì c'è la disponibilità.,
lo si afferma. Non si parla di indisponibilità ma di disponibilità, vale
a dire del potere della persona di disporre del proprio corpo e quindi
l'illegittimità di qualsiasi intervento che prescinda dalla sua volontà.
Qui incide l'articolo 32 della Costituzione, che vieta qualsiasi trattamento
che possa violare il rispetto della persona umana e su ciò si fonda il
diritto di rifiutare qualsiasi cura.
Il Senato non può prescindere da questo
quadro costituzionale. L'intervento del Senato nella legge ha senso solo
se consente a ciascuno di esprimere in piena libertà e consapevolezza la
propria volontà sulle proprie condizioni di fine vita, nel caso in cui
si trovi impedito ad esercitare in quel momento il suo diritto al rifiuto
di trattamenti, come hanno potuto fare di recente Welby e Nuvoli. È già
successo e dovrà continuare a succedere!
Non c'era alcun bisogno di una legge sul
testamento biologico. Poi, se proprio si deve predisporre una legge sul
testamento biologico, allora bisogna che essa sia lineare, chiara e comprensibile,
senza sbavature, dichiarando con la massima semplicità di affermare il
diritto di scelta del singolo cittadino.
L'articolo 408 del codice civile è chiarissimo,
tanto che prevede che, in previsione della propria futura incapacità, il
cittadino possa designare un amministratore di sostegno affinché siano
rispettate le sue indicazioni nel caso in cui si trovi ii uno stato vegetativo
permanente. Al contrario, la legge qui in discussione vuole proprio impedire
il diritto di scelta. Questo è il punto finale. Noi, che difendiamo il
diritto di scelta, non vogliamo imporre a nessuno una soluzione che ripugni
alla sua coscienza, mentre è proprio una grave lesione della democrazia
che la maggioranza voglia imporre con una legge a tutti la propria unica
soluzione, il prodotto della propria coscienza. Qui compare, lo ricordo
ancora una volta, lo Stato che prescrive a tutti i comportamenti che invece
dovrebbero essere dettati dalla coscienza individuale.
Ma se non bastano questi richiami, che
qualcuno potrebbe considerare laicisti, voglio ricordare alle persone di
fede che Paolo VI, in una lettera pontificale del 1970 ai medici cattolici,
così scriveva: «Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico
di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le
risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa
tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che
gli offre una scienza instancabilmente creatrice». Vorrei che fosse apprezzata
la potenza semantica dell'espressione del Pontefice quando parla di «una
scienza instancabilmente creatrice», che sposta indefinitamente i confini
tra la vita e la morte.
Prosegue poi: «In molti casi non sarebbe
forse un'inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase
terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico
è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare
il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione,
una vita che non è più pienamente umana» - non lo dicono dei laicisti maledetti,
lo dice Paolo VI - «e che va naturalmente verso il suo epilogo». Quanta
saggezza in questa espressione e quanta saggezza questa maggioranza in
Senato non ha voluto ascoltare.
Per non parlare poi del catechismo, scritto
quasi di suo pugno dall'attuale pontefice Joseph Ratzinger, che ricorda
al numero 2278: «L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose,
straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere
legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'"accanimento terapeutico".
Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire.
Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha competenza e capacità
o, altrimenti, da coloro che ne hanno legittimamente il diritto, rispettando
sempre la ragionevole volontà e gli interessi del paziente».
Questa legge è pessima, è anticostituzionale
e probabilmente passerà. Forse sarà cosmeticamente migliorata con l'approvazione
di qualche specifico emendamento, ma passerà perché la maggioranza ha la
forza per farla passare, però si troverà di fronte un protagonismo civile
che non rinuncerà alla sua battaglia.
Molti cittadini, da poco tempo, hanno cominciato
a depositare il proprio testamento biologico. La collega Poretti l'ha fatto
in questa sede, ma in tutta Italia vi sono occasioni pubbliche in cui si
raccoglie il testamento biologico dei cittadini che hanno voglia di farlo.
Questa iniziativa avviene senza pubblicità,
senza grande assembramento, con la massima tranquillità, come si compete
all'esercizio del libero intendimento della singola persona. Non sono in
gioco le masse, ma i destini dei singoli individui. Questa operazione umile
e tranquilla rafforzerà la causa della libertà di scelta nel futuro, sicuramente
inevitabile se la legge passerà qui, rinvio della stessa legge alla Corte
costituzionale. Perderemo una votazione e ci appronteremo a sostenere una
battaglia civile in tutta la società. (Applausi dai Gruppi IdV
e PD).
Legislatura 16º - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 176 del 19/03/2009