LA “QUESTIONE MORALE” E IL DISAGIO DI UNA “GIOVENTU’ SPRECATA”

di Pippo Quattrocchi – Liberacittadinanza Acireale - 04/07/2011
Da sei mesi stiamo festeggiando i primi 150 anni della nostra storia nazionale, forse in questo clima agiografico sono stati trascurati i due aspetti più pregnanti della grave e complessa crisi che stiamo attraversando, una crisi non soltanto economica, che sta proiettando un’ombra sempre più densa e soffocante sul presente e sul futuro della intera nazione.

Negli ultimi decenni si è progressivamente abbassato, nella vita privata e in quella pubblica, il livello della coscienza morale, provocando la destabilizzazione dei valori fondanti della società ed una diastasi, sempre più ampia, tra la politica e l’etica, considerate non più sinergiche e con-correnti, ma antitetiche e conflittuali.

Corruzione a tutti i livelli della vita economica, civile, politica. La pratica endemica degli scambi di favori, a tutti i livelli. Cariche pubbliche a figli e amanti, lo scambio di carriere politiche contro favori privati, i concorsi pubblici (quelli universitari per esempio) decisi sulla base di accordi fra gruppi di pressione o cordate – quando non addirittura di parentele – e non su quella del merito, lo sfruttamento di risorse pubbliche a vantaggio di interessi privati, il familismo, il clientelismo, le caste, la diffusa mafiosità dei comportamenti, la vera e propria penetrazione delle mafie in tutto il tessuto economico e nelle istituzioni, la perdita stessa del senso delle istituzioni da parte dei governanti … (Roberta De Monticelli, “La questione morale”, Raffaello Cortina Ed., Milano 2010, pag. 11-12).

Tutte queste belle cose non sono opinioni personali o considerazioni teoretiche soggettive, improntante ad un amaro pessimismo o ad un gratuito disfattismo, ma esprimono soltanto la cronaca di questi anni, una cronaca quotidiana ed amara, alla quale non facciamo più caso, grazie ad una sorta di mitridatismo che ci ha reso insensibili alla tossicità di eventi così gravi e nauseanti.


Notiamo che in questa fase storica, mentre le scelte politiche di chi ci governa sono diventate sempre meno coerenti con l’ethos fondante del nostro paese, “l’economia svolge un ruolo totalizzante. Viviamo nell’epoca dell’economia totale. Economia totale significa che l’economia non gode soltanto di un primato o anche soltanto di un’egemonia su tutto il resto, ma che essa ha acquistato un tale potere dispotico da legittimare l’uso del termine dittatura per designare il suo ruolo nella società. Tutto è subordinato, piegato alle trame del tessuto economico” (Mario Alcaro, “La società azienda e la biopolitica. Ipotesi per discutere di alternativa”, Dipartimento di Filosofia Università di Cosenza, Dibattito pubblico, Cosenza 7.02.2011, in www.globalproject.info/it/community/La-societa-azienda-e-la-biopolitica/7334 ).

Noi siamo convinti che l’economia debba servire l’Uomo, e che l’Uomo non sia stato creato per servire l’economia.

Noi siamo fermamente convinti, in coerenza con il pensiero kantiano, che l’Uomo, nella sua pienezza e dignità ontologica, debba essere considerato sempre come il fine di ogni attività politica e che Egli, in ogni caso, non possa mai essere considerato come un mezzo, uno strumento per il conseguimento di altri fini, pertanto l’Uomo non può essere immolato, come vittima sacrificale, sull’altare dell’economia.


Una politica orientata soltanto dall’economia ha prodotto nella nostra società dei cambiamenti epocali in tutti i settori, particolarmente gravi sono quelli avvenuti nel rapporto lavorativo dove, da qualche lustro, è stato introdotto il principio della “flessibilità”.

La flessibilità ci venne presentata come una riforma indispensabile ed irrinunciabile del diritto del lavoro, in quanto essa sarebbe stata capace di risolvere tutti i problemi degli imprenditori e dei lavoratori, di incrementare la produzione e l’occupazione, di migliorare i profitti e le retribuzioni. In sintesi la flessibilità rappresentava il “deus ex machina” che avrebbe risolto conflitti sociali e crisi produttive, neutralizzando, contemporaneamente, la concorrenza dei paesi emergenti.


Purtroppo la tanto osannata flessibilità ha prodotto, soprattutto a carico dei giovani, soltanto precarietà, discontinuità e incertezza per il futuro. I problemi occupazionali invece di migliorare si sono ulteriormente appesantiti e i livelli della disoccupazione giovanile sono giunti, in questi giorni, a quasi il 30% nella media nazionale, con punte di oltre il 40% in Sardegna e Sicilia.

Soltanto una sparuta minoranza dei nostri figli riesce ad accedere alle rarissime occasioni lavorative, rappresentate, per altro, quasi esclusivamente, da un lavoro precario, part-time, con un contratto a tempo determinato, con una retribuzione inferiore oltre il 30%, rispetto al lavoratore più anziano.


L’attuale crisi occupazionale ed esistenziale della nostra gioventù è ancora più grave perché il governo, invece ammettere il fallimento della propria politica economica ed occupazionale, rivolta le carte in tavola colpevolizzando le proprie vittime, i giovani precari, qualche settimana fa, spudoratamente definiti, da un ministro in carica “l’Italia peggiore”!

L’incertezza è il dato saliente del loro lavoro e con esso della loro vita. L’impossibilità di progettare il proprio futuro li condanna ad essere soggetti ansiosi, angosciati, smarriti: soggetti la cui esistenza è deturpata dall’incertezza permanente cui sono costretti” (Mario Alcaro, ibidem).

 

La profonda sofferenza di una intera generazione da esistenziale e psicologica si sta gradatamente trasformando in patologica, sconfinando, molte volte nella nosografia psichiatrica. I dati epidemiologici aumentano la nostra angoscia per quanto sta accadendo nei giovani, dove, proprio in questi anni si sta verificando:

  1. Un notevole incremento di prescrizioni e consumo di farmaci antidepressivi e ansiolitici;

  2. Una aumentata incidenza delle “vecchie” e “nuove” forme di “dipendenza”;

  3. Il raddoppio della frequenza degli “eventi autolesionistici”, anche mortali.

Non occorrono inutili dibattiti nei salotti televisivi o costose consulenze specialistiche per comprendere la causa di questo gravissimo disagio psichico, affettivo e comportamentale in cui è sprofondata un’intera generazione di giovani, per la prima volta nella storia, condannati a stare peggio dei loro genitori, e costretti a sopravvivere nel presente restando in standby , sognando un futuro sempre più confinato nel mondo onirico.


Noi abbiamo sempre considerato la giovinezza come il periodo più bello della vita. In effetti essa, nella nostra cultura e nel nostro vissuto, esprime quegli anni in cui, completato lo sviluppo fisico e psichico, abbiamo acquisito la capacità di giudizio e di scelta, ci siamo resi autonomi e abbiamo cominciato vivere la nostra vita in tutta la sua pienezza affettiva, relazionale e spirituale.

Nei 150 anni della nostra storia nazionale ci sono state delle generazioni di giovani che, senza alcuna colpa, non ebbero la fortuna di invecchiare in quanto la loro verde esistenza fu “anzi tempo travolta all’Orco” da una delle tante guerre che, scelleratamente, hanno cadenzato il primo secolo e mezzo della nostra nazione.

Nell’attuale fase storica, la generazione dei nostri figli giungerà, un giorno, alla vecchiaia senza mai essere stata giovane, perché la loro giovinezza, non per colpa loro, è stata, semplicemente, … sprecata!


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