LA LEGGE DEL PIÙ FORTE

di Massimiliano Perna – ilmegafono.org - 18/04/2010
La parola legalità in questa Italia è abusata soprattutto da chi dovrebbe garantirla, da quelle istituzioni come il governo che invece di combattere la mafia preferiscono colpire i deboli e chi li difende: a Napoli aggredito padre Zanotelli

La prospettiva dei discorsi che ruotano attorno al tema della legalità, oggi, è profondamente cambiata. Se negli anni ’90, dopo le stragi, ad assumere centralità era la lotta alla mafia, nei giorni nostri la battaglia per la legalità ruota attorno alle logiche repressive di uno Stato autoritario ai danni di un mondo di esseri umani in cammino a cui quotidianamente vengono scippati diritti che sono fondamentali e che andrebbero tutelati nel rispetto della Costituzione e delle Convenzioni internazionali.

Di mafia si parla sempre meno (oppure a sproposito come ha fatto Berlusconi attaccando Saviano e gli autori de La Piovra), forse perché, come molte inchieste stanno cercando di dimostrare, tra le istituzioni e il crimine organizzato c’è un rapporto perverso ed estremamente intimo, che partorisce sospetti legittimi sulla natura di alcune nuove leggi o proposte di legge, le quali non sembrano di certo scalfire o infastidire le mafie presenti in Italia.

Ciò su cui invece questo governo, con il ministro dell’Interno in testa, sembra voler puntare ogni sforzo, è la lotta contro i disperati, gli ultimi, i deboli del momento. La priorità scelta dall’esecutivo è quella di azzannare chi si trova in una condizione di maggiore fragilità. Da ogni regione, da ogni città arrivano continuamente notizie di soprusi compiuti ai danni di migranti, sempre più stritolati dalla morsa dell’orientamento autoritario e violento scelto da chi detiene il potere in questo Paese. Pestaggi, insulti, violenze fisiche e psicologiche, ma anche violazioni dei diritti da parte di organi dello Stato, pagati dai cittadini per garantire il rispetto innanzitutto dell’essere umano, poi delle leggi.

In molti uffici si gioca con il destino dei migranti, tra sorrisetti arroganti, urla e spintoni. L’uomo non esiste, esiste solo il possessore di un documento, il “cliente” da sbrigare rapidamente, anche se non ha capito bene quel che gli dicono, anche se esce da quelle porte sempre più smarrito e solo. E se qualcuno cerca di difendere questi uomini umiliati, allora la forza della legge si scaglierà anche contro di lui. Abbiamo decine e decine di esempi di gente perseguitata in questa Italia razzista: abbiamo persone sotto processo per aver difeso gli immigrati da violenze e sopraffazioni, per aver protestato con gli organi competenti di fronte all’illegalità delle procedure seguite, alle interpretazioni fantasiose e malevolmente restrittive delle leggi, al mancato rispetto dei principi basilari della Costituzione e delle Carte internazionali.

L’ultimo a doversi scontrare contro la mano violenta della legge è stato padre Alex Zanotelli, missionario comboniano da anni accanto agli ultimi in diverse parti del mondo. Un uomo giusto, un uomo di fede, un pacifista, un non-violento, protagonista di numerose battaglie civili. La sera del 14 aprile, padre Alex si trovava a Napoli, dove da una settimana si svolge la drammatica vicenda della nave “Vera D.”, approdata al porto di Napoli il 7 aprile. A bordo, nascosti in un container, vengono trovati 9 migranti, i cosiddetti “clandestini”: sei sono nigeriani, tre ghanesi. Tutti giovanissimi, quasi tutti minorenni. La nave viene fermata, non può lasciare il porto.

Scatta la contesa tra comandante ed armatore, da una parte, e istituzioni italiane, dall’altra. Alla fine le autorità italiane, dopo aver trattenuto a bordo per una settimana i ragazzi, senza mai dar loro la possibilità di parlare con dei legali per avanzare richiesta di asilo politico, decide di far scendere dalla nave i “clandestini” e di portarli in questura per l’identificazione. Il bastimento viene lasciato partire, mentre i nove africani restano a terra. A questo punto, si pensa che i migranti possano restare a Napoli, così come chiedono i militanti delle associazioni antirazziste e la Cgil, che hanno presidiato il porto sin dalla sera dell’approdo della “Vera D.”. Purtroppo, però, il ministero dell’Interno decide di trasferire i nove africani nel Cie di Brindisi, una struttura di identificazione ed espulsione in cui non possono andare minori o richiedenti asilo.

E qui la tensione sale, perché quei ragazzi sono in gran parte minorenni. In ospedale li hanno visitati e dall’esame risulta un’età di 18 anni, ma si tratta di un test che ha un margine di errore di due anni, e i ragazzi assicurano di essere minori. Non vengono creduti, o meglio alla questura non importa. Dall’alto hanno deciso così, ignorando anche la proposta del Comune di Napoli di prendersi in carico i nove migranti.

Si è scelta la linea dura, come sempre. Si è deciso di infischiarsene delle leggi, delle Convenzioni, del rispetto di quelli che nei paesi civili sono considerati come diritti umani e per questo tutelati. A questo punto, i manifestanti presenti hanno protestato. C’era anche padre Zanotelli, che, dopo aver appreso la decisione delle istituzioni, ha deciso di non spostarsi di un millimetro, di non andare via, di non arrendersi. Semplicemente non ha accettato il verdetto ingiusto sulla vita di quei nove giovani migranti: “Sono bambini. Li state mandando in un lager. Dovete passare su di me!”. Ed è quello che i poliziotti hanno fatto, caricandolo e scaraventandolo a terra.

Nessun rispetto per un uomo di fede, per un pacifista, per un giusto dei nostri tempi. Accanto a lui c’era una sua collaboratrice, Felicetta Parisi, che a Repubblica ha raccontato quanto accaduto: “Quando Alex è sceso noi ci siamo messi davanti al garage da dove doveva uscire la camionetta. Zanotelli voleva stendersi per terra, voleva protestare contro questo sopruso. E ha detto ai poliziotti: ‘Nessuno ha chiesto a questa gente che cosa ha fatto nell’ultimo mese, come ha vissuto, di che cosa ha bisogno. È una vergogna. Per me potete passare sul mio corpo, prima di prenderli’.

Allora è scoppiato un tafferuglio, i poliziotti si sono lanciati verso di noi e Alex è stato scaraventato per terra”. Lo stesso padre comboniano racconta, in una lettera, quanto gli è successo: “Il dirigente dell’Ufficio immigrazione ci disse che i nove dovevano essere trasportati al CIE di Brindisi. Insistemmo sul fatto che c’erano dei minorenni. ‘Se ci sono dei minorenni- replicò il dirigente- me ne dispiace’. A quel punto persi le staffe. ‘Ma in che paese viviamo?’, urlai. ‘Devo ubbidire’, mi rispose. Uscimmo con tanta rabbia in corpo. E ci disponemmo davanti al portone dell’Ufficio, da dove dovevano uscire i nove per essere trasportati a Brindisi. La Questura inviò un primo scaglione della Celere, guidato da una donna tutta sorrisi.

Nel frattempo, altri attivisti arrivavano: eravamo circa un centinaio. Allora inviarono un secondo squadrone della Celere, armato di tutto punto. Ci confrontammo così, faccia a faccia, per mezz’ora. Poi l’ordine di caricarci. Tentammo di resistere, ma fummo travolti. Alcuni di noi sono riusciti a svincolarci e a ritornare davanti al portone. ‘Dovrete passare sul mio corpo -urlai- Voi non potete portare dei minorenni in un lager’. Uno spintone mi fece barcollare e cadere. ‘Vergognatevi!- dissi al dirigente dell’Ufficio Immigrati. ‘Vai via, sobillatore!’- mi gridò, mentre le gazzelle della polizia sfrecciavano via portando gli immigrati”.

Evidentemente, ha prevalso l’orientamento autoritario e non la legge, la voglia di punire dei disperati e non l’umanità necessaria. Per fortuna, però, il 16 aprile, grazie all’impegno degli attivisti e dei legali, il giudice ha accolto l’istanza e ha riconosciuto la minore età di 6 dei 9 migranti, disponendo che venissero immediatamente rilasciati dal CIE di Brindisi in cui erano stati rinchiusi. Padre Zanotelli ha accolto così la notizia: “Giustizia fatta per gli immigrati, una vittoria per gli attivisti napoletani che hanno difeso passo passo i nove immigrati.

La notizia ci conforta e ci fa sentire che non abbiamo lavorato invano”. Al di là della notizia positiva, resta però da riflettere su cosa sia diventato lo Stato italiano. Viviamo il dramma di una nazione in cui i giusti si trovano stretti in una morsa asfissiante: da un lato c’è l’oppressione del crimine e dall’altro quella dello Stato. Due entità che troppo spesso coincidono. Non c’è legalità, così come non c’è in alcun regime autoritario. Non è un caso che i regimi comincino a colpire i più deboli, coloro che non hanno voce e, al contempo, coloro che stanno accanto a loro per cercare di prestare un po’ della propria voce. E per colpirli usano tutti i mezzi, da quelli più o meno legali a quelli più spiccioli.

In Italia non c’è legalità. Qui vige una sola legge, quella del più forte. Ad applicarla non è solo la mafia, ma anche lo Stato, quell’ente che dovrebbe garantire uguali diritti a tutti, cittadini e non. L’oscurità si è impadronita di questo Paese, bisogna resistere ma soprattutto fare la propria parte, non rassegnarsi e non delegare, altrimenti saremo complici di questo scempio.

29 aprile 2013

Costruiamo l'alternativa al governo Berlusconi

Giorgio Cremaschi-www.micromega.net
13 marzo 2014

Quello che non c'è

Francesco Baicchi
30 aprile 2013

La coerenza

Francesco Baicchi