LAND GRABBING: L'assalto dei ricchi alle terre dei poveri

di Chiara Rossi - 05/04/2012
Pubblichiamo di seguito la tesi scritta da Chiara Rossi, laureanda alla Facoltà di Scienze Politiche di Pisa, sul fenomeno del land grabbing, letteralmente furto di terre, che consiste nell'accaparramento di terre in paesi del Sud del mondo, da parte di imprese e governi di paesi a reddito medio alto.

Il fenomeno è partito nel 2008 per iniziativa della Daewoo, multinazionale sudcoreana, che in Madagascar era riuscita ad ottenere, in comodato gratuito per 99 anni, un'estensione di terra grande come il Belgio. Motivo: garantire alla Corea del Sud la fornitura di cibo in vista di un futuro incerto. In seguito vari altri paesi hanno seguito l'esempio (Cina, Arabia Saudita, Qatar) garantendosi terre soprattutto in Africa (Sudan, Etiopia, Madagascar, Mozambico), Sud Est asiatico (Cambogia, Laos, Filippine, Pakistan, Indonesia), ed anche in Europa orientale (Ucraina), per la produzione di derrate agricole destinate ai propri paesi, sia per motivi alimentari che per la produzione di bio-etanolo.

Il fenomeno, che ha tutta l'aria di un ritorno al colonialismo vecchia maniera, pone gravi problemi non solo di indipendenza politica ed equo trattamento economico, ma anche di fame e autosufficienza alimentare, perché la terra accaparrata è quella migliore sottratta ai contadini del luogo.

La tesi di Chiara fornisce informazioni minuziose e puntuali su ogni aspetto del fenomeno. Di seguito la versione sintetica della tesi.

VERSIONE SINTETICA

Con Land Grabbing, che letteralmente significa “furto di terra”, ci si riferisce alla tendenza sviluppatasi negli ultimi 10 anni verso l’acquisto di terreni da parte di investitori stranieri.
Diversi sono i fattori che sembrano alla base di queste acquisizioni di terra.
Questi includono principalmente preoccupazioni in materia di sicurezza alimentare.
A causa della diminuzione della produzione agricola in alcune aree, legata a fattori ambientali negativi (qualità del suolo e risorse idriche), delle modifiche del prezzo del petrolio (impiegato in agricoltura -fertilizzanti- e per la spinta che da alla produzione di biocarburanti), e dell’aumento della domanda di prodotti alimentari derivante dalla crescita della popolazione, dall’aumento dell’urbanizzazione e dai cambiamenti nelle diete, un certo numero di Paesi, che dipendono dalle importazioni alimentari, cercano di esternalizzare la propria produzione acquisendo il controllo di terreni agricoli in altri Paesi. A questo è da associare un uso non-alimentare del terreno causato dalla produzione di biocarburanti e da coltivazioni di prodotti agricoli di base non alimentari necessari per il modello di industrializzazione di alcuni Paesi.

Mentre la sicurezza energetica e quella alimentare emergono come le motivazioni chiave degli investimenti agricoli sostenuti dai governi, la partecipazione del settore privato sembra principalmente guidata da aspettative di rendimenti competitivi dell’agricoltura e della terra.
In questo contesto, la crisi economico-finanziaria del 2007 ha agito da detonatore per diversi motivi: le terre coltivabili sono viste come una nuova opportunità per fare profitti e, d’altra parte, le impennate dei prezzi agricoli hanno spinto alcuni governi a rendersi indipendenti dal mercato per quanto riguarda l’approvvigionamento di cibo.
L’Est asiatico (Cina, Corea del Sud)e il Golfo (Arabia Saudita, Qatar, EAU) emergono come le principali fonti di investimenti: la dipendenza dalle importazioni di cibo e la disponibilità di grandi riserve ufficiali (sovereign wealth found derivanti dal petrolio o da eccedenze commerciali) sono caratteristiche comuni.

Secondo i rapporti dei Media, Sudan, Etiopia, Madagascar e Mozambico sono tra i principali destinatari degli investimenti in Africa; significativi anche in Pakistan, Kazakhstan, Sud Est asiatico (Filippine, Cambogia,Laos, Indonesia) e in parti dell’Europa orientale (Ucraina). I Paesi destinatari hanno la caratteristica di offrire terra fertile, una certa disponibilità di acqua, e un certo potenziale di crescita della produttività agricola.

In molti Paesi in via di sviluppo c’è un motivato interesse per l’agricoltura, in quanto fonte di occupazione, di crescita e di entrate, e come risposta alle preoccupazioni per la sicurezza alimentare. In questo contesto l’investimento estero, più che come trasferimento finanziario, è visto come in grado di portare nuove tecnologie, sviluppare il potenziale produttivo, sviluppare infrastrutture (non necessariamente correlate al progetto agricolo), creare posti di lavoro, e come fornitore di prodotti alimentari ai mercati locali; in alcuni Paesi, inoltre, vi è anche una specifica strategia di diversificazione dalla dipendenza dalla singola merce, e l’agricoltura è considerata come una valida alternativa.

Nella maggior parte dei contratti, la terra è fornita dal governo ospitante o da un ente parastatale; l’acquirente varia da un governo straniero, a un’organizzazione intergovernativa, a un investitore privato (nazionale o internazionale).
Ogni trattativa può comprendere più contratti o strumenti giuridici, a partire da un accordo quadro che definisce le principali caratteristiche dell’intera operazione e per mezzo del quale il governo ospitante si impegna, in primis, a mettere il terreno a disposizione dell’investitore, fino agli strumenti più specifici che effettivamente trasferiscono il terreno.
Il passo successivo è l’ottenimento di una licenza di investimento dal governo centrale; quindi è opportuno procedere per trovare il terreno adatto nell’area di destinazione. Questo può comportare dei negoziati con i leader dei clan o con gli anziani locali.

Dopo che un contratto di leasing è stato firmato da un ufficio sub-nazionale per gli investimenti, la terra è trasferita all’investitore. Com’è comprensibile, ogni transazione commerciale in genere coinvolge una vasta gamma di parti attraverso le molteplici fasi di progettazione, negoziazione, redazione dei contratti, e resa operativa del progetto.
Nonostante le riforme politiche a livello nazionale per migliorare le condizioni per gli investitori stranieri (adozione di codici di investimento, riforma della
normativa sulla terra, dei sistemi bancario, fiscale e doganale) che si traducono in un allentamento delle restrizioni sull’acquisizione della terra e in una semplificazione dei processi amministrativi, il processo di acquisizione è di solito complicato e poco chiaro per chi ne è coinvolto a causa dei problemi di coordinazione e comunicazione tra le agenzie governative interessate e del confuso regime di proprietà in molti dei Paesi destinatari. Le acquisizioni possono assumere la forma di piena proprietà o di leasing a vario termine (da 99 anni ad altri concordati per periodi più brevi con riserva di rinnovo).

La maggior parte dei piani di investimento su larga scala documentati sono basati su un unico modello di produzione, che concentra l’attività all’interno di un’unica piantagione gestita direttamente dall’investitore straniero per ottenere la massima efficienza. Sta tuttavia emergendo la tendenza a coinvolgere gli investitori locali e le imprese di piccole dimensioni (attraverso contract farming e/o joint venture) nella catena di approvvigionamento.
I dispositivi legali per proteggere il patrimonio degli investitori rispondono alla natura di lungo termine degli investimenti e alla necessità di tutelare l’investitore nei confronti dello Stato ospitante. Questi comprendono clausole limitative per l’esproprio, clausole di stabilizzazione e clausole di arbitrato. C’è da considerare, però, che se non correttamente formulate, queste disposizioni possono limitare la capacità dello Stato ospitante di agire nel pubblico interesse.

Passando a parlare della popolazione locale, troviamo che le disposizioni della legislazione nazionale in materia di difesa dei diritti di proprietà e di
accesso alla contrattazione sono deboli o raramente applicati.
Per quanto riguarda la proprietà, raramente la popolazione può mettere in campo diritti fondiari sicuri: di solito possiede solo diritti d’uso (talvolta subordinati all’aspecifico uso produttivo del territorio) e quindi la terra rimane, in ultima analisi, di proprietà dello Stato. C’è da considerare che, oltre a fornire i mezzi di sussistenza ad un gran numero di persone, la terra tende ad avere anche un importante valore spirituale e a fornire una base per l’identità e le reti sociali: diritti fondiari sicuri possono contribuire a proteggere le popolazioni locali da un arbitrario spossessamento e anche fornire loro un bene che possono utilizzare nei negoziati con il governo e gli investitori.

Questa è la chiave per mantenere e migliorare il livello di vita locale, ma anche per realizzare l’effettivo godimento dei diritti fondamentali: il diritto al cibo, per esempio, prevede che, come minimo, le prese di territorio in cui le persone dipendono dalla terra per la loro sicurezza alimentare, debbano assicurare lo stesso livello di sicurezza alimentare.
Per quanto riguarda la consultazione e il consenso locale, il sistema più forte a livello internazionale è il principio del consenso libero, preventivo e informato (FPIC): le popolazioni indigene hanno il diritto di dire si o no agli sviluppi proposti per le loro terre; il consenso deve rispettare le culture dei popoli, le consuetudini e le pratiche, ed essere garantito attraverso una negoziazione interattiva con le istituzioni rappresentative della popolazione.
Inoltre, i governi sono responsabili di fare in modo che sistemi efficaci di reclamo, di ricorso e di mitigazione siano in vigore.
I provvedimenti legali a favore delle popolazioni locali si limitano di solito ad una compensazione in denaro o in natura per la perdita dei raccolti. Nel caso
in cui le popolazioni locali ritengano di aver subito un torto in seguito alle acquisizioni di terra, le tutele contro il governo o l’investitore sono solitamente
definite dalla legislazione nazionale del Paese ospite.

Sono rari i casi di azioni legali contro società nel loro Paese d’origine (controversie internazionali), mentre sono assai diffuse quelle contro le società affiliate nel Paese ospite.
Nel caso di investimenti sostenuti dal governo, un principio chiave che sta emergendo nella legislazione consuetudinaria internazionale e nella maggior parte degli ordinamenti, è la distinzione tra gli atti compiuti nell’esercizio della sovranità dello Stato e le transazioni commerciali, e secondo il quale l’immunità copre solo i primi.
In ultima analisi c’è da considerare l’evidente contraddizione esistente in molti Paesi beneficiari degli investimenti: spesso sono i Paesi in cui la popolazione non riesce a sfamarsi e che sono destinatari di aiuti internazionali (Cambogia, Filippine, Etiopia, Sudan, Birmania) quelli che cedono le proprie terre a investitori stranieri per produrre cibo che sarà venduto all’estero.

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