Libera l'informazione: la proposta di riforma della Società Pannunzio

di Samuele Bartolini - 07/06/2010
Lo stato dell'arte dell'informazione in Italia? Evitiamo giri di parole. L'informazione pubblica è ostaggio del potere dei partiti.

L'informazione privata è avvolta e dominata dalla pubblicità e, in parte, dalle incursioni del potere politico. Dappertutto impazzano connivenze, contratti e convenzioni e la libertà del cronista è tenuta costantemente al guinzaglio. Statistiche alla mano, il pubblico-lettore arretra, abbandona gli strumenti più “difficili” e soggiace a quelli più “facili”. Si leggono meno giornali e si bevono più notizie improbabili dalla tv che offre sul tavolino del nostro divano di casa indigesti cocktails di fiction e news. Con l'era berlusconiana, poi, i media televisivi hanno avuto un tracollo e se prima c'era una situazione oligopolistica ora assistiamo silenziosi ad un monopolio quasi perfetto. Da presidente del Consiglio Berlusconi controlla la quasi totalità delle tv private, la tv pubblica, la proprietà di produzioni di format, domina il mercato pubblicitario, ha una posizione dominante nell’editoria e tra gli istituti di sondaggio. Facile, allora, per lui puntellare il potere che ha in mano, inquinare la formazione della volontà politica e manomettere i requisiti base della democrazia. Il clima è asfittico. La democrazia è a rischio perché non c'è vera informazione indipendente. Senza informazione indipendente, infatti, non c'è cittadino liberamente informato, quindi, non in grado di avere un'opinione liberamente formata.

Quali soluzioni allora? Il 'libro blu' del giornalista Enzo Marzo, presidente della 'Società Pannunzio per la libertà d'informazione', avanza una proposta concreta. Lancia l'idea di una riforma legislativa, e ne getta le basi. Vediamo quali. Primo. Dell’informazione si deve mettere fra parentesi lo status di merce e potenziare lo status di bene specifico. In questa direzione Marzo ritiene un intervento dell’autorità politica più che legittimo, non nel senso di gestore di una presunta neutralità dell'informazione, che appare ridicola vista l'ingerenza devastante dei partiti nella Rai, ma di garante di un'informazione corretta e plurale. Secondo. Per le grandi imprese editoriali, è legittimo il conflitto concorrenziale tra soggetti privati all’interno del mercato. Il “libro blu” non mette in discussione la componente industriale dei mass media, ma riconosce all'industria mediatica la peculiarità che il fine produttivo e di lucro è secondario rispetto alle sue finalità pubbliche. I soggetti privati dell'informazione - sottolinea Enzo Marzo - devono essere svincolati da poteri politico ed economico perché l'informazione ha una rilevanza pubblica e il libero contributo alla formazione dell'opinione pubblica è e deve essere considerato clausola necessaria perché una democrazia possa definirsi tale. Uscendo così dall'unica dimensione di scambio di merci e sterilizzando il controllo economico sull'impresa mediale, si afferma il principio che la proprietà di un giornale deve essere di chi ci lavora e dei suoi lettori.

Definiti i cardini base della riforma, Marzo entra nel tecnico. “La separazione – citando dal 'libro blu' - si realizza con la formazione di 'pseudo-public companies', cioè di società prive di azionisti di riferimento e non scalabili dall’azionariato”. E ancora. “La pseudopublic company è definita 'un modello in cui, come nella public company, il controllo è esercitato da un soggetto che dispone di una quota limitata o nulla del capitale e la proprietà è diffusa, ma che, a differenza della public company, non prevede la possibilità di ricambio del controllo contro la volontà di chi lo esercita'”. Lo Stato, poi, deve porre dei vincoli per evitare la concentrazione del potere mediatico nelle mani di pochi o di uno solo. Quali? Un primo vincolo, considerato il più importante, è che le proprietà attuali del settore mediale (carta stampata, televisione, altre forme di comunicazione) possano possedere un solo vettore in ciascuna area produttiva: un solo quotidiano, una sola rete televisiva, un solo portale in Internet, ecc.. Un secondo vincolo è l’obbligatorietà della quotazione in Borsa. Il punto d'arrivo della pseudo-public company non scoraggerebbe la partecipazione dell’azionariato diffuso e nemmeno l’intervento degli investitori istituzionali. Terzo vincolo: l'immissione di limiti al possesso azionario.

Riassumendo. La nuova società mediale può possedere un solo vettore in ciascun canale della comunicazione. La sua struttura societaria è quella di una pseudo public company con alcune caratteristiche della public company come la quotazione in Borsa e l’obiettivo d’un azionariato diffuso. Gestita nella parte industriale dal management e nella parte editoriale dai giornalisti, che si differenzia, però, dalla public company in quanto la gestione è prevista autoreferenziale nel senso che risponde solo agli investitori per gli aspetti patrimoniali e ai lettori per gli aspetti giornalistici. Una società mediale di questo tipo, dunque, non è contendibile e non fa capo ad azionisti di riferimento. “Come avviene per le public companies tradizionali - dal capitolo 12 del 'libro blu' - la nuova impresa mediale deve rispondere ad alcuni requisiti “quadro” e a uno Statuto d’impresa in grado di garantire, di fronte ai lettori e all’azionariato, efficienza e vera autonomia. Il Consiglio d’amministrazione, espressione del nucleo stabile, rappresentativo dunque del management e delle maestranze da un lato, e dei giornalisti dall’altro, è distinto in due parti: una parte manageriale, con i normali compiti amministrativi, e un Consiglio editoriale”.

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